Undici cose da sapere sui nomi dei personaggi, se non volete che il lettore editoriale getti il vostro romanzo nel cestino

Scrittura creativa

di Giulio Mozzi

1. Se il vostro romanzo ha intenti realistici, evitate i nomi parlanti. Non è necessario che un personaggio molto pigro si chiami dottor Pelandra, che il giocatore di scacchi si chiami Alfieri o Della Torre, che lo scopatore seriale si chiami Uccello (come Paolo), che l’impiegata delle assicurazioni si chiami Laura Modulo. Il fatto che dei Pelandra esistano (pochissimi, in Emilia Romagna); che Alfieri e Della Torre siano cognomi assai diffusi (Uccello un po’ meno); che io conosca un agente delle assicurazioni che effettivamente si chiama Modulo: tutte queste non sono buone ragioni. (Più sottile può essere il gioco con le etimologie. Peraltro, se il vostro personaggio si chiama Gisella e viene tenuto in ostaggio da un gruppo di rapinatori in fuga, quanti lettori capiranno il vostro gioco?).

2. Se il vostro romanzo ha intenti realistici, state attenti ai nomi ridicoli e, in generale, ai nomi troppo reboanti. Vale il principio: tutto ciò che è troppo visibile ha bisogno di una spiegazione; e nei romanzi le spiegazioni non sono – in genere – particolarmente attraenti. Vale anche il principio: tutto ciò che è troppo visibile ha bisogno di una conseguenza; e se il vostro personaggio si chiama, che so, Geronimo Stupacchioni o Mariavergine Tarantelli, prima o poi qualcosa dovrà conseguirne. Non, per piacere, una scena in cui qualcuno deliberatamente o no storpia il nome.
Un esempio interessante è quello del romanzo I quindicimila passi, di Vitaliano Trevisan, dove si racconta di un uomo che va a piedi da un paese alla città; attraversando una zona che un tempo era stata bosco, e oggi è tutta urbanizzata. Nel romanzo compaiono personaggi che si chiamano Boschiero, Dal Bosco, Magnabosco, Boschetti e simili. La cosa funziona perché il romanzo non è del tutto realistico (è, per così dire, la trascrizione di un delirio: quindi noi percepiamo la voce che parla come svincolata da un impegno di verità).

3. Se il vostro personaggio è un geometra di nome Luca Rossi, evitate di fare cose del tipo (avviso: l’esempio è esagerato): “Quella domenica Luca si svegliò di buonumore. Il cielo era sereno e non faceva troppo caldo. Il giorno ideale per una bella passeggiata, pensò il geometra. Fece una doccia prima bollente, poi fredda. Rossi si sentiva il corpo scoppiare d’energia”.

4. Negli anni Sessanta (e, tra i ritardatari, anche nei Settanta) andavano molto di moda questi personaggi che si chiamavano A., F., M., eccetera, o magari anche C, così, senza nemmeno il punto (nel romanzo Tristano di Nanni Balestrini). Una volta mi fu presentato un dattiloscritto nel quale tutti i personaggi si chiamavano X. Se fate cose di questo genere, dovete averci delle gran buone ragioni. E comunque non è detto che un personaggio che si chiama K. sia più letterario di uno che si chiama Emilio.

5. Non è indispensabile che un personaggio milanese si chiami Brambilla, uno torinese si chiami Pautasso, uno palermitano si chiami Lo Iacono. Però tenete conto che in linea di massima – spero che le ragioni siano evidenti – un Lo Iacono a Torino non ha bisogno di spiegazioni, un Pautasso ad Agrigento forse sì. Conosco tre Amedeo Savoia non piemontesi (un trentino, due siciliani) e non di famiglia regale: tutti e tre con bisnonni o trisnonni – ecco spiegato il fatto – trovatelli.
(E già che ci siamo: non è indispensabile che un personaggio veneziano intercali continuamente un ciò, che uno triestino chiami le ragazze mule, che uno salentino chiami i bambini vagnoni, eccetera).
Se volete un bell’esempio di nominazione accuratamente “territoriale”, e nel contempo non disturbante, leggete (è un bellissimo romanzo) Effetto Domino di Romolo Bugaro: Rampazzo, Colombo, Guarnieri, Fabris, Carraro… una sequenza di cognomi pertinentissimi al territorio veneto, eppure non esageratamente marcati.

6. Non solo i cognomi, ma anche i nomi hanno una pertinenza geografica. Per esempio, metà circa delle Ornelle italiane sta nella Pianura Padana; un altro otto per cento sta nel Lazio (che, contenendo la capitale, è una regione tutta per conto suo per ‘ste cose). Il quaranta abbondante per cento dei Nicola sta tra Puglia e Campania, più un altro otto per cento in Lazio (per la ragione già detta). Eccetera. Però un Ambrogio Brambilla a Milano può essere troppo pertinente e quindi macchiettistico; un Ambrogio Lo Iacono può richiedere una spiegazione a Milano, e probabilmente anche a Palermo; un Antonio Tosatto a Padova, o tra Novara e Varese, o a Torino, non fa problema (perché Antonio è un nome meno marcato di Ambrogio).
Esistono strumenti non so quanto affidabili, ma almeno utili per farsi un’idea: Gens per la distribuzione dei cognomi, Nomix per la distribuzione dei nomi.

7. I nomi non hanno solo una geografia, ma anche una storia e – soprattutto – un profilo di classe. Un personaggio che ha dieci anni nel 2012 può tranquillamente chiamarsi Giulia; uno che nel 2012 ne ha cinquanta ha bisogno probabilmente, per chiamarsi Giulia, di appartenere a un ceto piuttosto alto. Un Kevin figlio di Thomas sarà quello che potete immaginare (e speriamo che sua madre non si chiami Sue Ellen). Nel 2001 è stata eletta una Luana alla Camera dei deputati, ed è stata una felice novità. Ma la realtà, non mi stancherò mai di ripetere, è una cosa; la finzione credibile un’altra.
Queste cose le dico a occhio, perché appunto non conosco strumenti affidabili.
L’importante è che vi poniate il problema, che ci pensiate su, che facciate qualche ricerca e così via.

Scrittura creativa
James Van Pelt
8. I soprannomi sono spesso stucchevoli, proprio perché o sono eccessivamente parlanti, o perché chiedono irresistibilmente una pedissequa spiegazione. D’altra parte, le spiegazioni vengono spesso immediatamente dimenticate dal lettore. Chi si ricorda perché Replica Van Pelt si chiama così? (Vedi). Manzoni non dice perché il Griso (un evidente soprannome) si chiama così: e fa bene, anche perché non serve molta immaginazione per arrivarci da soli (vita illegale, bisogno di nascondere la propria identità ecc.), benché “Griso” non sia di per sé parlante. Sparafucile (nel Rigoletto di Verdi) è invece, c’è poco da fare, troppo parlante.

9. Se il vostro romanzo è di fantascienza, non necessariamente i personaggi (quelli appartenenti alla specie umana, almeno) devono avere nomi strani, tipo AZ409 o Qwfwq. Oggi sono comuni dei nomi che si usavano già duemilacinquecento anni fa: quindi in un romanzo ambientato nel 4515 potremo avere tranquillamente un Giuseppe (o Joseph, o Josip, ecc.) o una Maria (o Mary, o Miriam, Mariah ecc.). Come si chiamerà il bambino?

10. Non è necessario che ogni personaggio abbia un nome. Io stesso ho scritto un racconto nel quale un giovane apprendista è chiamato “l’apprendista” e basta, un altro nel quale un magistrato è chiamato “il magistrato” e basta. Ma allora l’attributo del personaggio diventa come un nome parlante, anzi di più: diventa un nome allegorico. E va trattato con le opportune cautele, perché un personaggio con una componente allegorica rischia sempre di risultare schematico, banale o ideologico. Manzoni, per una volta esagerando, ci ha dato un anonimo (minuscolo: l’autore del manoscritto che finge di ricopiare-tradurre-adattare) e un Innominato (maiuscolo): e a nessuno sfugge quanto quell’innominazione contribuisca alla forza del personaggio.

11. Immaginate un romanzo nel quale i personaggi femminili si chiamino: Ada, Sara, Vera, Dina, Anna, Lola, Nico (la Nico, probabilmente). Vi sfido, dopo quattordici pagine, a distinguere a prima vista ‘ste povere donne l’una dall’altra. Idem per i cognomi: se infilate così, senza troppo badarci, un Santi, un Denti, un Vinci, un Tenti, e così via, oppure un Mozzi, un Bozzi, un Tozzi, un Nozza, i vostri lettori si disorienteranno; e non vi vorranno bene, per niente; dovranno farsi uno specchietto coi nomi, e non ve ne saranno grati.

3 pensieri riguardo “Undici cose da sapere sui nomi dei personaggi, se non volete che il lettore editoriale getti il vostro romanzo nel cestino

  1. Riguardo ai nomi “bizzarri” e inconsueti, che dire degli Emerenziano Paronzini e simili di Piero Chiara? Lì l’autore usava dei nomi assurdi perché i personaggi erano molto molto reali (pare – da leggenda popolare luinese, che mettesse in piazza le vicende di corna di cui era a conoscenza e quelle sue personali). Per Piero Chiara, usare nomi assurdi era un modo per non farsi accusare dai veri autori degli “scandali” di averli messi in piazza.

  2. Recentemente mi sono trovato a scrivere un racconto con un ambientazione che volevo nordica, ma non facilmente collocabile.
    Ho allora escogitato un sistema semplice che mi ha dato risultati apprezzabili.
    Ho cercato su Facebook un nome tipicamente tedesco, tipo Franz Merkel, e ho poi navigato i profili degli amici e degli amici degli amici finché mi sono imbattuto in una ragazza, credo danese, i cui amici mi hanno infine fornito, opportunamente mischiati, nomi e cognomi a volontà.
    Come logico ho evitato di inserire nomi che richiedessero caratteri speciali: sono scomodi da digitare, troppo caratteristici e fanno un po’ catalogo Ikea.
    Per il resto il risultato è discreto.

  3. Mi hai fatto venire in mente Marcovaldo di Calvino, nel quale tutti gli adulti hanno nomi roboanti mentre i bambini hanno nomi semplici e comuni

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