Dieci cose sulle agenzie letterarie che non è indispensabile, ma comunque è utile, che l’autore alle prime armi sappia

di giuliomozzi

[Nella fotografia qui sopra: un agente letterario tenta di convincere un editore a pubblicare l’opera – corposissima – di un collettivo di ignoti autori mediorientali].

1. Cominciamo dall’inizio. Il primo agente letterario nel senso moderno del termine fu Alexander Pollock Watt, che fondò la sua agenzia in Gran Bretagna nel 1875 (fu agente, tra gli altri, di Arthur Conan Doyle e di Rudyard Kipling; l’agenzia esiste ancora). A quell’epoca l’Impero era grande, gli scrittori britannici erano generalmente (benché non esclusivamente) persone che viaggiavano molto, che abitavano per anni e anni in India o in Africa o in America; e si cominciava a riconoscere l’esistenza di una vera e propria letteratura statunitense. E quindi a tutti questi scrittori di lingua inglese che stavano in giro per il mondo faceva comodo che ci fosse qualcuno, a Londra, che tenesse le fila dei loro affari, che trovasse editori per i loro libri e riviste per i loro articoli, che badasse alla correttezza dei rendiconti e alla puntualità dei pagamenti, e che lottasse contro gli stampatori pirata (in Gran Bretagna la prima legge sul copyright risale al 1710!). Se volete saperne di più, c’è un bel libro: The Professional Literary Agent in Britain, 1880-1920, di Mary Ann Gillies, University of Toronto Press (in copertina c’è James Brand Pinker, altro agente dell’epoca).

2. La prima agenzia letteraria in Italia fu l’Agenzia letteraria internazionale, fondata da Augusto Foà nel 1898. Ma gli editori italiani erano generalmente ostili all’idea di non trattare direttamente con gli autori. Fu solo nel secondo dopoguerra, e grazie al lavoro di Erich Linder, che la Ali diventò una grande agenzia, forse una delle più importanti al mondo. Linder non era semplicemente un commerciante di diritti, tutt’altro; aveva una grande capacità di progettazione editoriale; con Arnoldo Mondadori fu, per un certo tempo, praticamente in simbiosi, e si può dire che la Mondadori diventò quel che fu negli anni Sessanta-Settanta soprattutto grazie a lui; traduceva dal tedesco, sua lingua madre (ho un Effi Briest, di Theodor Fontane), e dall’inglese (ho I sette pilastri della saggezza, di Th. E. Lawrence). Il dio di carta di Dario Biagi, Avagliano, è una biografia di taglio giornalistico e un po’ spettacolarizzante, ma con una seria documentazione alle spalle. Oggi l’Agenzia letteraria internazionale si è fusa con altre agenzie (Marco Vigevani e Associati, Luigi Bernabò e Associati) e si chiama Tila.

3. Avrete sentito parlare di agenti letterari che lavorano con i loro autori, che li tirano su fin da giovanissimi, che indirizzano il loro lavoro, che li invitano a cena nei momenti difficili, eccetera. Ad esempio, per Bonnie Nadell, l’agente che “scoprì” David Foster Wallace, “one of the pleasures of being an agent is building a career, helping authors not only to publish a book but also to help them figure out the trajectory of their career” (vedi). Ora: in Italia, a meno che il vostro talento non sia enorme, non troverete un agente che lavori con questo spirito. Ci sono agenti che lavorano fianco a fianco degli autori per costruire loro una carriera: ma il più delle volte arrivano dopo, quando il “fenomeno” si è già ampiamente palesato e ha dimostrato di avere potenzialità economiche interessanti.

4. Per molto tempo in Italia il panorama delle agenzie letterarie è stato pressoché immobile. C’era l’Ali, c’erano alcune altre agenzie piuttosto grandi (oltre a quelle citate, e ora fuse con Ali, si possono citare Grandi e Associati, Rosaria Carpinelli e Roberto Santachiara); ogni tanto arrivava qualcuno (a es. Piergiorgio Nicolazzini, che ha fatto parecchia strada); ogni tanto qualche persona con lunga carriera nell’editoria decideva di mettersi per conto proprio, solitamente con un numero limitato di autori. Oggi, invece, c’è una quantità di persone che, magari senza esperienza editoriale interna, tentano la via dell’agenzia. La faccenda è spiegata assai bene in un articolo de Il Post, del quale riporto un capoverso:

“La prima ragione della proliferazione degli agenti letterari è che la crisi ha lasciato senza lavoro una quantità di persone – editor, redattori e consulenti – che in mancanza di domanda di lavoro editoriale vero e proprio, hanno pensato bene di reinventarsi come agenti visto che, invece, il numero di aspiranti scrittori rimane costante. Ma il bisogno di intermediazione aumenta anche perché per tentare di contenere i costi, le catene decisionali e burocratiche dei grandi editori si sono allungate rendendo, quindi, decisivo il mestiere di chi riesce a chiedere e ottenere risposte. Fino a dieci anni fa, i direttori editoriali avevano un’autonomia decisionale quasi esclusiva, mentre oggi ogni decisione di tipo editoriale – pubblicazione, anticipo, tiratura – deve passare al vaglio anche dei responsabili amministrativi e commerciali. In un mercato in cui si vendono meno libri, il potere contrattuale degli scrittori diminuisce e gli editori tendono a pagare meno e tardissimo, sempre che paghino”.

Naturalmente molte agenzie nascono e presto muoiono. Per dare un’idea: se l’agenzia preleva il 10% dei compensi ricevuti dagli autori, e i diritti per l’autore sono mediamente il 10% del prezzo di copertina, per ogni copia venduta di un libro che costi al lettore 20 euro l’agente incassa (e mica subito: gli editori fanno un rendiconto annuale, solitamente in giugno-luglio) la bellezza di 20 centesimi. Quanto devono vendere gli autori rappresentati dall’agente, perché l’agente possa mettere insieme il pranzo e la cena? Fate il conto voi. (In realtà ormai gli agenti tendono a prendere il 15%, e i compensi per gli autori partono solitamente dal 7%: volevo solo, appunto, dare un’idea).

Serve una didascalia? No, non serve.

5. In realtà molte agenzie campano non solo della loro quota sui diritti degli autori rappresentati, ma anche (o prevalentemente) d’altro. Per esempio:
– molte agenzie, ormai credo quasi tutte, chiedono agli autori totalmente inediti una “tassa di lettura”. Facendo un giro per i siti, mi pare che stia all’incirca tra i 300 e i 500 euro. Sia chiaro: quando in agenzia arrivano ogni anno due-trecento dattiloscritti provenienti da persone del tutto ignote, la lettura gratuita diventa economicamente insostenibile; e quindi la “tassa di lettura” ha un senso.
– molte agenzie offrono la redazione di “schede di lettura”. L’autore che vuole ricevere un’analisi dettagliata del proprio lavoro, e magari qualche consiglio su come lavorarci su, deve mettere inconto di spendere come minimo 500 euro. Alcune agenzie fanno questo lavoro assai bene, altre no.
– molte agenzie offrono un servizio di editing. I costi crescono ancora, e a questo punto cambiano molto secondo la mole dell’opera e la quantità di lavoro da fare (anche secondo l’ingenuità dell’autore, mi vien da dire).
– esistono ormai molte “agenzie di servizi letterari” (notate la denominazione) che non sono “agenzie letterarie”, ovvero che non offrono il servizio di rappresentanza presso gli editori: anche se, talvolta, forse spesso, fingono di offrirlo.
– alcune di queste “agenzie di servizi letterari” offrono delle consulenze contrattuali: l’autore che abbia già una proposta e che voglia capire bene cosa c’è scritto nel contratto, o spuntare qualcosa di più, può avere un qualche aiuto pagando una cifra fissa (ho trovato in giro dai 150 ai 400 euro).
– e ormai molte “agenzie di servizi letterari” offrono servizi per l’autopubblicazione (a es. la creazione di libri digitali), solitamente a prezzi non elevatissimi ma comunque spesso, rispetto alla consistenza e alla qualità del servizio, sproporzionati.
E’ facile immaginare che qui c’è tutta una “zona grigia”. Presunti agenti che in realtà non hanno nessun contatto col mondo editoriale, presunti agenti che sono in realtà emanazioni di case editrici a spese degli autori, agenzie che per passare attraverso Calibre o per impaginarvi alla buona un pdf di duecento pagine chiedono l’iradiddio, sedicenti “editor indipendenti” che in realtà non hanno quasi nessuna competenza (non avendo mai lavorato davvero per l’editoria), e così via.

6. Un unico criterio: le agenzie che campano (principalmente) con una frazione dei diritti guadagnati dagli autori, sono necessariamente serie. Le agenzie che campano con i soldi che prendono direttamente dagli autori sono dubbie. Almeno dubbie.

7. Per capire se un’agenzia è seria o no, basta dare un’occhiata al sito e vedere che cosa promette. Un’agenzia che prometta una recensione dell’opera (inedita) nel proprio blog, vi pare seria? Un’agenzia che offre un servizio di “valutazione inediti” con due formule, Basic e Premium, che cosa offrirà davvero mai? Un’agenzia che magnifichi la preparazione dei propri collaboratori, ma non ne faccia i nomi, è attendibile? Un’agenzia i cui fondatori o collaboratori abbiano esperienze nel mondo editoriale del tutto marginali, sarà credibile? Eccetera.

8. Una chicca. L’agenzia Studio83 offre un servizio di valutazione di testi poetici, che viene così descritto.

“La poesia si discosta dai canoni tradizionali della narrativa e ha un sistema di proprie regole specifiche. L’editor leggerà la silloge di poesie e redigerà una scheda di valutazione dettagliata, che mette in mostra i punti di forza e di debolezza dei versi.
Tutto viene fatto nel rispetto dello stile personale dell’autore e utilizzando parametri di valutazione tipici:
– stile;
– metrica;
– argomenti trattati;
– figure retoriche;
– in generale, tutto ciò che attiene al linguaggio della poesia.
Tramite la scheda, l’autore potrà comprendere come il suo stile espressivo viene recepito dal lettore, se il senso della sua opera giunge a destinazione e se ci sono dei ritocchi o accorgimenti (relativi anche all’organizzazione interna della silloge) che lo aiuteranno ad aumentare in efficacia.
Nella scheda, le poesie vengono analizzate e commentate sia singolarmente, sia nel complesso, come silloge e come iper-componimento fatto di tutte le sue parti.
Attenzione! Il servizio è pensato per le sillogi e non per i singoli componimenti: avere a disposizione un’intera raccolta di poesie permetterà all’editor di valutare lo stile poetico dell’autore, la sua resa e le sue capacità tecniche da un punto di vista più ampio e completo possibile. È quindi consigliabile richiedere il servizio per raccolte non inferiori ai quindici componimenti”.

Basta l’incertezza dell’italiano in cui la proposta è scritta, credo, a far capire che è meglio cambiare aria.

9. La mia agente ha lavorato trent’anni nella grande editoria (Einaudi, Bollati Boringhieri) e una ventina d’anni fa ha deciso di mettersi per conto proprio. Molti degli autori che rappresenta li conosce da una vita; o li ha seguiti fin dai loro primi passi. Fu lei a cercarmi, credo nel 1996. Io non le ho mai chiesto molto, se non di occuparsi dei contratti (anche perché, va detto, non ho mai avuto il problema di trovare un editore: all’inizio della mia carriera mi correvano dietro; e più o meno nello stesso momento in cui gli editori si rendevano conto che vendevo poco, ho smesso di scrivere). Questa signora è una vera professionista, una persona di grande cultura, di bellissimi modi, di sano realismo, di fine umorismo. Non voglio farle pubblicità, anche perché credo che oggi come oggi non voglia espandere la sua attività. Parlo di lei solo per testimoniare che il rapporto con un agente può anche essere vicino all’ideale (cosa che dipende, devo dirlo, anche dall’autore).

10. Quando scrivo articoli come questo ho spesso la sensazione di spiegare l’ovvio. Ma è tale la quantità di dicerie fasulle che circola in rete, che forse vale la pena, ogni tanto, di farlo. E comunque, se a questo punto vi fosse venuta l’idea di piantare là con la scrittura e mettervi a fare l’agente letterario, consiglio la lettura di questo decalogo scritto da Jonny Geller dell’agenzia Curtis Brown.

Se vi pare di aver trovato errori in questo articolo, vi prego di segnalarli nei commenti. Grazie.

[E se avete avuta la pazienza di leggere fin qui, potreste anche andare a leggere il bando del Corso fondamentale della Bottega di narrazione, che si terrà nei primi mesi del 2018 sia a Cagliari sia a Milano. Grazie]

9 pensieri riguardo “Dieci cose sulle agenzie letterarie che non è indispensabile, ma comunque è utile, che l’autore alle prime armi sappia

  1. “poteste anche andare a leggere il bando […]” -> “potreste anche andare a leggere il bando […]”

  2. Buongiorno a Giulio e ai lettori del blog,
    mi chiamo Giulia Abbate e sono (insieme a Elena Di Fazio) e la fondatrice di Studio83, dalla quale secondo Giulio Mozzi è meglio cambiare aria.

    Ovviamente non sono d’accordo e, se posso, vorrei precisare un paio di cose.

    Intanto noi non siamo un’agenzia letteraria ma, appunto, un’agenzia di servizi letterari. Significa che con gli autori lavoriamo sui testi e sulla qualità della scrittura. Non promettiamo pubblicazioni, né contratti, né fama&milioni. Garantiamo un miglioramento percettibile: sia nel testo sul quale si lavora insieme, sia nella scrittura tout court, sia nell’esperienza dello scrivere.

    Il testo citato da Giulio Mozzi, tacciato di incertezza nella lingua italiana, è corretto sotto tutti i punti di vista.

    Siamo corrette anche noi, lo possono dimostrare i nostri dieci anni di attività, o anche una semplice ricerca su google dalla quale verranno fuori solo pareri positivi. (L’unico parere negativo che abbiamo mai ricevuto è questo. Lo trovo privo di fondamento: non è una critica, non è un’analisi, è una palata di fango).

    C’è una sola cosa poco corretta, qui: è il comportamento di Giulio Mozzi, che cita grossi nomi ma ne attacca uno piccolo, e infanga un competitor appena prima di pubblicizzare il suo corso di scrittura.

    Noi non infanghiamo nessuno. Ci dispiace molto leggere righe come queste e chiediamo a Giulio Mozzi di rettificare ciò che ha scritto, che verrà letto da tante persone che lo stimano, e che getta un’ombra davvero dolorosa su di noi che lavoriamo onestamente ricercando la relazione costruttiva con l’altro.
    Invito Mozzi a conoscerci meglio: siamo disponibili a rispondere a tutte le domande che vorrà porci e anche alle critiche basate su qualcosa che non sia il mero gusto personale.

    Tra l’altro, siamo proprio noi che dieci anni fa abbiamo inventato la doppia valutazione: Scheda Basic e Scheda Premium o Analitica, che Mozzi cita come altro esempio negativo. Si chiede “che cosa offrirà davvero mai”. Presto detto: l’offerta che proponiamo è chiara, la riporto qui perché mi sembra giusto poter rispondere anche a questa frecciata con correttezza e pacatezza.

    Abbiamo distinto i due livelli di valutazione per un motivo ben preciso, con cognizione di causa e con un’offerta basata sulle richieste ricevute: andiamo incontro alle esigenze di economicità e rapidità con la basic, che è un giudizio generale sul testo e i suoi aspetti principali, lungo dalle dieci alle venti cartelle.
    E nel caso in cui l’autore o l’autrice abbia bisogno di analisi e approfondimento maggiori, la scheda premium/analitica è quasi un’anticamera dell’editing, con passi tratti dal testo, proposte alternative, e va dalle trenta cartelle in su (ma abbiamo raggiunto tranquillamente anche le sessanta).
    Questa scheda va bene anche per autrici e autori che ci chiedono un editing, ma che secondo noi non sono pront* a un intervento diretto sul loro testo: o perché il testo non è maturo, o perché non lo chi l’ha scritto, che chiede – ma implicitamente teme – modifiche dirette. La scheda premium è un buon modo per rispettare questo blocco e, nello stesso tempo, mostrare come si lavora e come migliorare.

    Ringrazio chi ha avuto la pazienza di leggere fino a qui.

    Chiedo scusa se ho dato l’impressione di bullarmi o volermi fare pubblicità, non è così.

    Non sarei mai venuta qui a parlare degli affari miei, se questi affari, che noi curiamo con tanta attenzione e passione e che ci danno anche il pane quotidiano, non fossero stati chiamati in causa con superficialità e sarcasmo in questo post.

    Spero di leggere presto una rettifica da parte di Giulio Mozzi, quando si accorgerà che ha sbagliato; spero anche che chi vuole possa farsi un’idea su di noi più completa, anche visitando i nostri spazi online o cercando altri pareri.
    Grazie!

  3. Rispondo a Giulia Abbate. Non mi pare di aver sbagliato.

    La frase: “La poesia si discosta dai canoni tradizionali della narrativa” mi pare semplicemente priva di senso.

    La frase: “[La poesia] ha un sistema di proprie regole specifiche” potrebbe essere credibile se riferita a quei tempi nei quali effettivamente la poesia era fortemente codificata (pensiamo a un fenomeno come il petrarchismo). Nel nostro tempo mi pare insensata.

    Nella frase: “L’editor leggerà la silloge di poesie e redigerà una scheda di valutazione dettagliata, che mette in mostra i punti di forza e di debolezza dei versi” mi pare evidente che quel verbo “mettere” all’indicativo presente sia grammaticalmente sbagliato (potrebbero starci un indicativo futuro o un congiuntivo presente: “che metterà”, “che metta”).

    Mi pare evidente che “stile; metrica; argomenti trattati; figure retoriche; in generale, tutto ciò che attiene al linguaggio della poesia” non sono “parametri di valutazione tipici”. Semmai, tanto per fare un esempio, la metrica di un testo potrà essere “valutata” sulla base di un qualche “parametro” (a es. la correttezza rispetto al sistema metrico classico o lo scarto rispetto allo stesso).

    E a me basta questo, per ritenere che quel testo è scritto in un italiano “incerto”.

    Peraltro l’agenzia Studio83 offre servizi che la Bottega di narrazione non offre, e la Bottega di narrazione offre servizi che mi pare l’agenzia Studio83 non offre. Io lavoro anche come consulente di un editore (Marsilio) e non faccio “valutazione testi” a spese degli autori. Quindi la parola “competitor” mi pare usata a sproposito.

  4. Incollo qui la risposta che ho già dato su Facebook alle critiche del sig. Mozzi:

    Dire “‘La poesia si discosta dai canoni tradizionali della narrativa e ha un sistema di proprie regole specifiche’ è una sciocchezza evidente” è una sciocchezza evidente, anche se non siamo più nel Settecento. Usare l’indicativo in “mette in mostra” non è un errore: al massimo è tua opinione che sarebbe stato più elegante il congiuntivo. Certo che lo stile e la metrica possono essere parametri di valutazione, e sono anche “tipici” perché parliamo di poesie, non di piadina romagnola. “Che lo aiuteranno ad aumentare in efficacia” non contiene alcuna svista grammaticale, e cambiare “aiuteranno” con “potrebbero aiutarlo” significa semplicemente dargli un’altra sfumatura che magari a te piace di più, a me no. E dato che ti piace fare le pulci alla gente, la “è” maiuscola si scrive con l’accento (È), non con l’apostrofo (E’). Quello sì, che è un errore grammaticale.

    E ripeto: NON siamo un’agenzia letteraria. Mai state, mai detto di esserlo, mai FINTO di esserlo, come ci si accusa in questo articolo. Tutto il resto sarà valutato e affrontato nelle sedi opportune. Buona giornata! 🙂

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