Dieci cose da sapere sui nomi dei personaggi, se non volete che il lettore editoriale getti il vostro romanzo nel cestino

di giuliomozzi

[Questo articolo riprende, con cambiamenti, un articolo del 2012]

1. Se il vostro romanzo ha intenti realistici, evitate i nomi parlanti. Non è necessario che un personaggio molto pigro si chiami dottor Pelandra, che il giocatore di scacchi si chiami Alfieri o Della Torre, che lo scopatore seriale si chiami Uccello (come Paolo), che l’impiegata delle assicurazioni si chiami Laura Modulo. Il fatto che dei Pelandra esistano (pochissimi, quasi tutti in Emilia Romagna); che Alfieri e Della Torre siano cognomi assai diffusi (Uccello un po’ meno: soprattutto a Napoli e nel sud della Sicilia); che io conosca un’impiegata delle assicurazioni che effettivamente si chiama Modulo: tutte queste non sono buone ragioni. Certo: i romanzi dell’Ottocento erano pieni di nomi così. Però, faccio notare: dell’Ottocento. E’ vero che la realtà, talvolta, si diverte: ho conosciuto un professore universitario che si occupava di Tecnica del freddo e si chiamava Fredolino; abbiamo avuto un capo della polizia di nome Manganelli; e così via. Ma la realtà, sia chiaro, è tutt’altra cosa dai romanzi. (Più sottile può essere il gioco con le etimologie. Peraltro, se il vostro personaggio si chiama Gisella e viene tenuto in ostaggio da un gruppo di rapinatori in fuga, quanti lettori capiranno il vostro gioco?).

2. Se il vostro romanzo ha intenti realistici (ma anche, tutto sommato, se non li ha), state attenti ai nomi ridicoli e, in generale, ai nomi troppo reboanti. Vale il principio: tutto ciò che è troppo visibile ha bisogno di una spiegazione; e nei romanzi le spiegazioni non sono – in genere – particolarmente attraenti. Vale anche il principio: tutto ciò che è troppo visibile non può restare senza conseguenze; e se il vostro personaggio si chiama, che so, Geronimo Stupazzoni o Mariavergine Tarantelli, prima o poi qualcosa dovrà conseguirne. Non, per piacere, una scena in cui qualcuno – deliberatamente o no – storpia il nome.

3. Se il vostro personaggio è un geometra di nome Luca Rossi, evitate di fare cose del tipo (avviso: l’esempio è esagerato): “Quella domenica Luca si svegliò di buonumore. Il cielo era sereno e non faceva troppo caldo. Il giorno ideale per una bella passeggiata, pensò il geometra. Fece una doccia prima bollente, poi fredda. Rossi si sentiva il corpo scoppiare d’energia”.

4. Tra i romanzieri degli Sessanta (e, tra i ritardatari, anche nei Settanta) andavano molto di moda questi personaggi che si chiamavano A., F., M., eccetera, o magari anche C, così, senza nemmeno il punto. Una volta mi fu presentato un dattiloscritto nel quale tutti i personaggi si chiamavano X. Se fate cose di questo genere, dovete averci delle gran buone ragioni. E comunque non è detto che un personaggio che si chiama K. sia più letterario di uno che si chiama Emilio. E anche *** non è poi un gran nome.

5. Non è indispensabile che un personaggio milanese si chiami Brambilla, uno torinese si chiami Pautasso, uno palermitano si chiami Lo Iacono, uno veneziano si chiami Venier. Però tenete conto che in linea di massima un Lo Iacono a Torino non ha bisogno di spiegazioni, un Pautasso ad Agrigento forse sì.

6. Non solo i cognomi, ma anche i nomi hanno una pertinenza geografica. Un quarto delle Ornelle esistenti sta in Lombardia, ma solo il due per cento in Sicilia; il 42% dei Nicola sta tra Puglia e Campania; e così via. Però non bisogna esagerare: non tutti gli Ambrogio, per dire, sono milanesi, e non tutti i milanesi si chiamano Ambrogio; non tutti i Brambilla sono milanesi, e non tutti i milanesi si chiamano Brambilla; e un Ambrogio Brambilla milanese rischia di essere poco credibile per eccesso di pertinenza. Un Ambrogio Lo Iacono a Milano può essere interessante, ma magari richiedere (vedi punto 2) una spiegazione.
Se nel vostro romanzo ci sono personaggi non italiani di nascita, o nati in famiglie non italiane di nascita, cercate di evitare le scelte più ovvie. Non tutti i nordafricani si chiamano Mohamed, non tutte le nordafricane si chiamano Myriam; non tutte le donne romene si chiamano Alina (nome peraltro diffuso, come diminutivo di Adelina, anche in Italia, soprattutto quella centrale) e non tutti i serbi si chiamano Igor o Dragan. Per tacer del fatto che non tutti i pappagalli si chiamano Amleto.
Dare a un personaggio un nome non stereotipato significa non trattarlo come un personaggio stereotipato. E’ anche (come per i soprannomi, vedi punto 9) una questione di rispetto.
Esiste uno strumento affidabile per la distribuzione dei cognomi: Gens; e uno, che mi ha l’aria di essere un po’ meno affidabile ma è comunque utile, per la distribuzione dei nomi: Nomix.

7. I nomi non hanno solo una geografia, ma anche una storia. Un personaggio che ha dieci anni nel 2012 può tranquillamente chiamarsi Giulia; uno che nel 2012 ne ha cinquanta ha bisogno probabilmente, per chiamarsi Giulia, di appartenere a un ceto piuttosto alto. Questa cosa la dico a occhio, perché appunto non conosco strumenti scientificamente affidabili. L’importante è che vi poniate il problema, che ci pensiate su, che facciate qualche ricerca e così via.
Nelle piccole comunità isolate (es. nei paesi di montagna) possono crearsi degli “universi di nomi” molto particolari. Anni fa l’amico Mimmo mi fece notare che “a Lozzo di Cadore [provincia di Belluno] in soli 1600 abitanti potete trovare: Mentore, Olimpo, Leila, Egla, Ides, Solidea, Gildo, Celso, Nelio, Vainero, Nila, Nivea, Ermetto, Giglio, Brivio, Dalio, Maderlo, Eufro e i tre fratelli Tranquillo, Sincero e Vero”. La realtà però, come ho già ricordato, è diversa dai romanzi.
Sull’argomento consiglio di leggere, nell’ordine, questo, questo e questo.

8. I soprannomi sono spesso stucchevoli, proprio perché sono eccessivamente parlanti, e perché chiedono quasi irresistibilmente una spiegazione (oppure sono autoevidenti, il che è forse addirittura peggio). Un indolente soprannominato Fulmine, un tartagliante soprannominato Mentana, un insegnante di matematica soprannominato Esponente: troppo, sempre troppo facile; e anche inutilmente crudele.

9. Se il vostro romanzo è di fantascienza, non necessariamente i personaggi (quelli appartenenti alla specie umana, almeno) devono avere nomi strani. Sono correnti oggi nomi che si usavano già duemilacinquecento anni fa: quindi in un romanzo ambientato nel 4512 possiamo avere tranquillamente un Giuseppe (o Joseph, o Josip, ecc.) o una Maria (o Mary, o Miriam, ecc.). Indovinello: come si chiamerà il bambino?

10. Non è necessario che ogni personaggio abbia un nome. Io stesso ho scritto un racconto nel quale un giovane apprendista è chiamato “l’apprendista” e basta, un altro nel quale un magistrato è chiamato “il magistrato” e basta. Ma allora l’attributo del personaggio diventa come un nome parlante, anzi di più: diventa un nome allegorico. E va trattato con le opportune cautele, perché un personaggio con una componente allegorica rischia sempre di risultare schematico, banale o ideologico.

[E se avete letto fin qui, potreste magari farmi la cortesia di leggere anche il bando del Corso fondamentale di narrazione 2018. Grazie.]

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