di Giulio Mozzi
(dal retroBottega di dicembre – per iscriverti, clicca qui)
Per scrivere un racconto di Natale bisogna essere disponibili a correre il rischio del cattivo gusto.
Il Natale, si sa, è screditato. È diventato, e da un bel pezzo, una festa consumistica. Contano i regali, le spese, le cene, i pranzi, le riunioni (più o meno felici) di famiglia, e così via. Della nascita di colui che, secondo la fede cristiana, è il figlio di Dio – non gliene importa niente a nessuno.
Peraltro, sono screditati anche i buoni sentimenti. Intenerirsi davanti a un presepe è decisamente out. Pretendere di essere – per un giorno, un solo giorno all’anno – tutti più buoni è una cosa ridicola. Ormai siamo laici, cinici, disincantati, sostanzialmente atei, preoccupati solo della nostra precaria sopravvivenza.
E dunque, come si fa a scrivere un racconto di Natale?
Tanti anni fa un mio amico, Marco Bellotto, che ormai non c’è più, e che era un grande appassionato di racconti di Natale, ne scrisse uno che mi parve, e ancora mi sembra, bellissimo. Era molto semplice: un tipo, Roberto Main, un tossico, uno con piccoli precedenti, uno sfigato totale, chiama l’avvocato la sera del 24 dicembre: vive in una roulotte, ma l’aveva sistemata in un posto dove non doveva e i vigili gliel’hanno portata in un deposito. L’avvocato – che ha voglia di tutto, quella sera, fuorché di andar dietro all’ennesimo piccolo disastro di una vita tutta disastrata – si muove comunque. Va al deposito, paga la multa, paga il carro che riporterà la roulotte lì dove può stare. Main promette che troverà i soldi, che rimborserà, ma l’avvocato sa che non accadrà mai. Scambiano due parole. L’avvocato è di malumore, Main lo interroga, l’avvocato si lascia sfuggire una frase: «Problemi di donne».
Finché Main se ne va, sul suo motorino scassato, dietro al carro che riporta al posto la roulotte. Se ne va, ma fa subito un giro, torna indietro, e grida: «Avvocato! Non deve preoccuparsi, il mondo è pieno di figa!».
Era tutto qui, il racconto di Marco Bellotto. Il tipo più sfigato del mondo ti regala, non avendo altro da regalarti, uno spintone, una frase che ti distoglie dal tuo malumore.
Finiva così, il racconto: «Io non so come sarà il Giudizio Universale. Mi figuro una scena del tipo Nostro Signore alto venticinque chilometri che guarda la moltitudine degli esseri umani sotto di lui, e li giudica uno a uno. Arrivato al turno di Roberto Main, gli chiederà se ha fatto qualcosa di buono in vita sua, e a quel punto io mi alzerò, richiamerò la Sua attenzione e dirò: una notte di Natale di tanto tempo fa mi ha ricordato che il mondo è pieno di figa».
Potete leggere il racconto intero qui: https://vibrisse.wordpress.com/2012/12/25/il-natale-del-1998/
Ecco: per scrivere un buon racconto di Natale bisogna essere disposti a provare – a rievocare, a immaginare – un sentimento semplice, una minima felicità, una cosa da nulla.
E, soprattutto, bisogna essere disposti a immaginare che un bene – un bene piccolo, piccolissimo – può arrivarci dalla persona dalla quale meno ci aspettiamo.
E, infine, bisogna essere disposti a una sincerità. Quella sincerità grazie alla quale riconosciamo anche in un nonnulla la presenza di una Grazie.
«I Racconti di Natale con la “R” maiuscola», mi spiegò un giorno Marco Bellotto, «sono racconti di redenzione. Sono racconti nei quali un evento improbabile, inatteso, addirittura casuale, produce nel cuore di un protagonista solitamente freddo, generalmente maldisposto, eventualmente anche cattivo, un certo riscaldamento. E, in particolare, il Perfetto Racconto di Natale è quello in cui l’evento ha questa forma: un qualcuno che non possiede nulla riesce a fare, disinteressatamente e quasi senza accorgersene, un dono-della-vita a un qualcuno che possiede tutto, o quasi tutto, o comunque desidera possedere tutto».
«Che cosa intendi per dono-della-vita?», domandai a Marco.
«Intendo quel dono che ti cambia la vita. Quel dono che consiste, detto nel modo più semplice e brutale, nella Rivelazione della Verità».
Per sicurezza, per controllare se avevo capito bene, andai a rileggermi il «Canto di Natale» di Charles Dickens: che, a giudizio di Marco – ma di tutti, credo – è senza dubbio il Più Grande Perfetto Racconto di Natale che mai sia stato scritto.
Vi ricordo il succo della storia: un uomo ricco viene guidato a scoprire che i poveri sono poveri; che essere poveri significa non avere niente, nemmeno il possesso della propria vita; che le persone povere sono persone. Nel «Canto di Natale» Uncle Scrooge, il protagonista cattivo e maldisposto, viene guidato a fare una esperienza di verità. A dirla tutta: viene guidato a fare una esperienza, a fare per la prima volta nella sua vita una esperienza del mondo. Il mondo, fino al giorno prima, per il cattivo e maldisposto Uncle Scrooge, non esisteva: non ne aveva mai fatta esperienza. Aveva fatta esperienza di un “mondo” tra virgolette: il “mondo” prodotto da lui, il “mondo” delle sue (scarse) relazioni sociali, il “mondo” dell’astrazione monetaria eccetera eccetera. Ma mai, proprio mai, aveva fatta esperienza del mondo senza virgolette.
Ecco, infine: per scrivere un racconto di Natale – anzi un Racconto di Natale – bisogna cercare di togliere le virgolette al mondo.
Quasi tutti noi viviamo una vita complicata; siamo concentrati su noi stessi, sui nostri guai, sulle nostre difficoltà. Di tanto in tanto qualcosa può distrarci, toglierci via da questa chiusura, e farci vedere tutto il mondo: tutto il resto del mondo. Nel quale altrettante persone hanno che fare con guai e difficoltà, spesso più grandi delle nostre. Quelle difficoltà che, per buon gusto, per proteggere il nostro buon gusto, spesso cerchiamo di non vedere. Per questo, per scrivere un Racconto di Natale bisogna correre il rischio del cattivo gusto.
Le parole dell’autore mi ricordano che certe epifanie accadono quotidianamente e diventano ottima materia di scrittura, se vengono colte, accolte e dipanate.
A volte mi pare non serva altro.
A tal proposito, ritorno spesso ai racconti di Goffredo Parise, in particolare al racconto “Altri” che è costruito in maniera così perfetta da commuovermi ogni volta.
Buon Natale!
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