Racconti

In questa pagina sono raccolti racconti che allieve e allievi della Bottega di narrazione hanno pubblicato su prestigiose riviste online.

Solo un giorno di Elisabetta Tocchetti

L’acqua marcia nella fontana era lì dalle ultime piogge. Tre settimane, forse quattro. Samuele non lo ricordava. La pioggia, quando arrivava, era solo acqua lurida, che cadeva a secchiate per qualche ora, il tempo di riempire le vasche, i bidoni dell’immondizia arrugginiti, le buche nelle strade. Inzuppava i cumuli di rifiuti, i muri crollati, le tendopoli montate nei vecchi parcheggi, acqua gelatinosa e viscida che, a toccarla, lasciava sulle dita striature oleose color petrolio. Acqua avvelenata. [Continua a leggere]

Il regalo di Elisabetta Tocchetti

l fuoco è dappertutto, Lucia, lo senti crepitare, senti gli schiocchi, le travi che cadono, i boati dei crolli, il calore insopportabile oltre la porta. Ti hanno lasciata qui. Hai urlato, ma nessuno ti ha risposto, nessuno è venuto a prenderti. Nessuno verrà. Hai tanto caldo, il pavimento scotta, la maniglia della porta è bollente, non puoi aprirla per uscire da lì. [Continua a leggere]

La linea di basso di Sara Spanò

Una voce poco fa
Qui nel cor
Mi risuonò
Note lunghe, sillabe piene si tendono come archi nella stanza, la attraversano; la luce del giorno la inonda, accende le trasparenze delle tendine verdi e la tappezzeria a gigli dorati, fa brillare le sinuosità del lampadario d’ottone appena lucidato. Le trame del copritavola di merletto bianco – quello costosissimo della bisnonna – risaltano ancora di più sul mogano del tavolo massiccio da sei. [Continua a leggere]

Segni di Andrea Scagliarini

Ho deciso di non uscire più e di vivere chiuso qui dentro come un eremita. Ricordo un vecchio film in bianco e nero che descriveva la vita di uno stilita. C’era un uomo solitario che viveva nel deserto in cima a una colonna e respingeva tutte le tentazioni. Non aveva bisogno di nulla e alla fine si ritrovava in un locale di New York. Io vivo alla Garbatella e difficilmente potrei ritrovarmi da un’altra parte. Non ho più soldi, non lavoro da oltre un anno. Non incontro più nessuno. Persino il mio cane se n’è andato e non posso biasimarlo. [Continua a leggere]

Emily (dopo la fine) di Andrea Scagliarini

Quando ha chiuso la porta, in quel silenzio improvviso, mi sono ascoltata. Gli ho parlato a lungo anche se lui non c’era più. Sapevo che non sarebbe tornato. Dopo aver udito il rumore della sua automobile che si allontanava, avrei voluto ubriacarmi e invitare tutte le mie amiche a festeggiare. Invece, no. Non bevo mai. E così ho preferito contemplare da sola la levità della sua assenza. Finalmente, mi ero liberata di un uomo ingombrante. [Continua a leggere]

Pilerio di Sara Spanò

Philosophenstadt, 1° febbraio 2020, luna crescente
Deng-tum-deng-tum-deng-tum-deng-tum-deng-tum-deng-tum

I passi veloci di Elena si alternano ai salti dell’onisco iridescente, giù per la scaletta di ferro.
Deng-deng-deng-deng-deng-deng-deng-deng-deng-deng
Il suono metallico dell’animaletto che rotola è inconfondibile, così come la scaletta di ferro della casa dei nonni, ogni sua macchia di ruggine. [Continua a leggere]

11:43 di Stefano Costacurta

Ecco la mia giornata: la sveglia prima dell’alba per portarmi avanti con il lavoro, mezz’ora di silenzio in cui non faccio in tempo ad organizzare le idee che è già ora di tirare i bambini giù dal letto a suon di urla e porte sbattute mentre mia moglie prepara una frettolosa colazione, ci lanciamo nel traffico per accompagnarli a scuola, un crescendo di riunioni inconcludenti e incazzature al telefono e clienti assillanti, profluvi di succhi gastrici e caffè alla macchinetta, e come degna conclusione i bambini che spargono metà della cena sul pavimento prima di infilarsi nel letto, e un cerchio alla testa davanti alla tv con la sensazione di aver girato in tondo un altro giorno senza avere concluso niente. [Continua a leggere]

Scorpioni e scolopendre di Barbara Vuano

Compagno comandante, dove stiamo andando?
Prima del passo Cacciatori c’è il ricovero che fa per noi.
Perché così in alto, a che ci serve?
È un posto sicuro. Qui i nazisti non ci raggiungeranno. [Continua a leggere]

Lacrime di Ilaria Parlanti

Uno.
Due.
Tre.
I secondi del sollievo.
Ma già l’attendo.
Eccola, arriva.
La staffilata prende l’intera lunghezza della gamba, da un punto infinitesimale del gluteo sinistro fino alle prime dita del piede. ha una sua traiettoria, sempre la stessa, come un dardo che taglia la gamba a metà. [Continua a leggere]

Piccino di Rossella Caleca

Andare sulla spiaggia dopo una mareggiata era la cosa che più amavo del mese di ottobre. Dopo le prime burrasche che annunciavano l’autunno, il mare tornava mio: via i turisti dagli alberghi, i villeggianti dalle seconde case, via i bagnanti dalla sabbia, si incontravano solo, al tramonto, rari pescatori dietro le loro lenze, e presto anche questi sarebbero scomparsi. [Continua a leggere]

L’altra stanza di Stefano Costacurta

Teniamo sempre la stanza chiusa a chiave, anche se non ce ne sarebbe bisogno. Raramente apriamo la
finestra per arieggiare, così che lo spazio tra il vetro e la persiana perennemente abbassata si è riempito di enormi ragnatele e insetti morti. [Continua a leggere]

Biglietti d’auguri di Linda De Santi

Cara Letizia,
tanti auguri per il tuo compleanno!
Lo so, è una frase banale, soprattutto perché te la scrivo su un biglietto su cui è già scritto “Buon compleanno”. L’ho visto in cartoleria e ho pensato accidenti, questo è proprio il tipo di biglietto che farebbe impazzire Letizia, allora l’ho comprato, sono tornata a casa e ho pensato a qualcosa di originale da scrivere prima di inviartelo. [Continua a leggere]

Legno dei Balcani di Elisabetta Giromini

Tu sfogliavi le margherite una a una, una a una. In Italia si dice m’ama o non m’ama, si sfoglia la margherita. Hai sfogliato le margherite tu per me? Io adoro questa città di luce, le sagome degli edifici, le fontane, il castello Sforsesco. [Continua a leggere]

Ricami di Alessandra Nobile

La mia casa ha grandi finestre. Sulle tende candide, in organza, ci sono dei ricami, ricami a uncinetto. E sono quei ricami che io amo guardare, più di tutto, sin da quando ero bambina. Anche allora mi mettevo accanto a una delle finestre, quella più grande, quella più luminosa, quella che dà sul giardino, e guardavo. Non era ciò che c’era al di là delle tende, a interessarmi. [Continua a leggere]

Cristo nero di Ilaria Pamio

C’era una volta, in un paese piuttosto lontano, una casa minuscola con un grande portone di legno di rovere. Le strade di questo paese erano tutte ciottolose e, tra le duecento anime che lo abitavano, c’eravamo io e mia sorella Maria. [Continua a leggere]

Dietro il campo di granoturco di Elisabetta Tocchetti

Oggi la nonna era incavolata nera per quella storia della cantina allagata. Era sicura che fossi stata io. Dice sempre che sono cattiva. Non mi abbraccia mai e non mi dice che mi vuole bene, come a Giada e a Luca. Loro sono i suoi tesori. Io, invece, sono la figlia del demonio. È questo che dice quando è con papà e crede che io non la sento. [Continua a leggere]

Sono bravo, ho promesso di Elisabetta Tocchetti

Gliel’ho promesso, dottore, quindi non toccherò il binocolo. Lo lascerò nella custodia, chiuso nell’armadio, a chiave. Non lo toccherò, davvero. Sono bravo, ho promesso.
Però
Insomma, c’è questa ragazza, nel palazzo di fronte. È bellissima. Giovane, sì, molto giovane. Ma non è minorenne, no, non è come quella volta, quando sono finito in ospedale. [Continua a leggere]

Filtri di Carla Isernia

L’appartamento della signora Elena affaccia su due cortili interni: il balcone su quello con la fontana a forma di agrifoglio (che a lei dal primo piano sembra più un cuore); le finestre delle stanze al di là del corridoio, invece, si aprono sulle facciate di due palazzi, uno ocra e l’altro caffellatte. Su entrambi i cortili molte finestre e balconi sono chiusi da verande con vetri opacizzati, grate di sicurezza, tende da sole. [Continua a leggere]

La frontiera. Memoria e movimento nella danza di Martha Graham di Giulia Oglialoro

Per tutta la vita avrebbe giurato di avere ancora impresse nel corpo le lente oscillazioni del treno, mentre oltre il finestrino sfilavano montagne ricolme di luce e «terre senza case». L’estate in cui si trasferì da Pittsburgh a Santa Barbara aveva quattordici anni: al tempo la danza rappresentava il naturale sfogo di un’irrequietezza che nemmeno le maestre più rigorose erano riuscite a disciplinare. [Continua a leggere]

Funziona solo se fa male di Angela Angelastro

Dee do de de, Dee do de de. Striscia bianca, asfalto. Striscia bianca, asfalto. Piede destro dopo piede sinistro.
«Voltati, te lo insegno io. Una boccata e non ingoiare».
Lei si riempì le guance.
«Assapora, non ingoiare».
Sometimes I feel I’m gonna break down. E sputò piano.
«Non distrarti, sorridi».
Lei ricominciò. I get so lonely. [Continua a leggere]

I bambini di Elena Molisani

La prima volta li ho visti di notte. Correvano nella corte interna del palazzo e poi su e giù dallo scalone, erano bianco-latte, resi fluorescenti dalla luce della luna. Erano quattro, e quattro sono rimasti. Due maschi, due femmine.
La pioggia era cessata e l’aria sapeva di funghi e io non dormivo, pensavo a mamma, a quando si lamentava dell’insonnia. «Neanche l’Halcion mi serve più.» Neanche a me. [Continua a leggere]

La congiura di Francesco Segoni

L’ho riconosciuto subito fra tutti, Stankiewitz: da quella sua aria sempre attenta, precisa, da quel suo modo di guardarsi intorno. Come un animale a caccia intendo, avvitando il collo sottile come un periscopio. Uomo d’intuito, Stankiewitz. E consapevole: ha scelto occhiali piccoli con la montatura rotonda perché gli danno uno sguardo più acuto. Gli ha fatto piacere incontrarmi, mi è sembrato, anche se la nostra è una conoscenza superficiale. Non ci siamo mai parlati per più di qualche minuto di fila. Non ha mai accettato che gli offrissi il caffè. [Continua a leggere]

Il suonatore di maracas di Francesco Segoni

Non ho sempre vissuto così. Una volta ero messo meglio. Ero uno come voi. Meglio di voi, forse. Avevo un obiettivo e se il mio obiettivo fosse stato in fondo a un precipizio, ci sarei saltato dentro per raggiungerlo.
E poi un giorno ho fatto il salto.
E l’ho mancato.
Si può saltare da un precipizio e mancare il fondo? [Continua a leggere]

La vita sfilacciata di Francesco Segoni

Io, se dovessi compilare la lista dei miei Works, la dividerei in quattro tappe: il manager, l’omino del gas e della luce, lo pseudo-giornalista e l’operatore umanitario. Nessuna di queste definizioni mi sta bene a dire il vero, ma sono quelle che si capiscono più facilmente. Allora le uso, perché non abbiamo tempo da perdere. [Continua a leggere]

Cromatismi di Sara Spanò

Venticinque minuti. Rosso magenta.
Cinque minuti. Verde menta.
Venticinque minuti. Rosso magenta.
Cinque minuti. Verde menta.
Ancora un’apnea rosso magenta, una breve riemersione verde menta, ancora un’apnea rosso magenta e poi, finalmente, respirare per quindici minuti verde menta.
Ancora. Resisti. [Continua a leggere]

Galassie di Deborah Guarnieri

La catenina d’oro che suo padre portava al collo al momento dell’incidente la madre gliel’aveva infilata nella borsa in camera mortuaria, poco dopo che il medico di famiglia le aveva infilato nella stessa borsa un flaconcino di gocce che la sua migliore amica aveva definito non proprio omeopatiche. Avrebbe potuto girarla due volte attorno alla caviglia per farci una cavigliera, tre volte attorno al polso per farci un braccialetto, ma aveva preferito conservare la catenina lì, sul fondo della borsa. [Continua a leggere]

Sonnambuli di Aurora Martello

«Chiudi gli occhi. Respira. Uno, due, tre: apri».
La fioca luce dell’alba filtrava attraverso la chioma della quercia. Seguì gli scorci azzurri che contornavano i tortuosi rami dell’albero. Affondò le mani nell’erba umida di rugiada. La pelle divenne d’avorio sfiorata dal vento, mentre l’aria gelida gli dilatava e contraeva i polmoni. Sentì il cinguettio dei primi messaggeri del mattino e l’inafferrabile ronzio degli insetti sfrecciargli vicino. Nella testa appoggiata al tronco nodoso, che scavava nel terreno con le sue radici, la pesantezza dei suoi pensieri si disperdeva. [Continua a leggere]

Bocche di mare e squame di rumore di Ilaria Pamio

«Come sta Silvia?» fu la prima cosa che domandò, quando riprese conoscenza.
L’ago della flebo infilato nel braccio sinistro. Avrebbe voluto le asciugassero i capelli, le cambiassero il costume, le dessero una coperta di lana anziché il telo verde con stampata la scritta bianca «Ospedale di Lavagna».
«Come ti senti, piccola?» le domandò l’infermiera. [Continua a leggere]

Il quarto cigno di Elisabetta Tocchetti

Dalle finestre, i tetti sono superfici scomposte e irregolari, i comignoli esalano fumo denso. Fuori, negozi ancora chiusi, pochi passanti frettolosi, qualcuno aspetta alla fermata del tram. Dentro, una sala vuota, gli specchi, la sbarra, il pianoforte in un angolo. Cammino su un pavimento abituato a scarpette da punta di raso, alle mezze punte; io sono qui solo per pulire, prima che cominci la lezione delle nove.[Continua a leggere]

Bambine cattive di Elisabetta Tocchetti

Fuoco. 
Le senti, le fiamme? 
Sono ovunque. Sfrigolano, scoppiettano, divampano, divorano tutto. 
Seduta sul pavimento, accanto al caminetto acceso, Valentina sta giocando con le bambole. [Continua a leggere]

Cambiamento di Stefano Costacurta

«Quasi scordavo» le disse continuando a leggere. Si sforzò di assumere un tono di voce rassicurante, ma la voce gli uscì meccanica. «Ho sentito la cooperativa, mi hanno detto che stanno cercando mobili usati, così ho detto che stamattina possono venire a prendersi la cameretta.» [Continua a leggere]

Ripetere per esserci. La modella nell’arte contemporanea di Maria Teresa Rovitto

I corpi e i calchi, neri, sono disposti lungo le vie di fuga della prospettiva all’interno del mercato ittico. Posizionati sui banchi di marmo del pesce, non si muovono. Cercano di non muoversi. Dal telaio metallico scendono lampade al neon: assorbono l’ultimo fascio di luce del giorno che attraversa il vetrocemento. Da vicino i calchi in gesso si distinguono dai corpi viventi che simulano la morte. Da lontano no. [Continua a leggere]

La scorza di Maria Teresa Rovitto

Riuscivamo a vedere l’abbondanza che ci circondava senza prendere sul serio nessuna delle teorie sulla povertà relativa. Era bastato nascere da madri che consumavano pasti nutrienti, dormivano supine e ci leggevano le favole proposte dai libri che afferravano dalle vetrine del corso. Il mondo era diventato un posto più sfacciato da quando abitavamo nella stessa casa e, prima di quel momento, nessuno ci aveva mai chiesto conto dell’unione dei nostri corpi. [Continua a leggere]

Fibra per fibra quando pulsano di Maria Teresa Rovitto

Partita dalla Grecia, prima di raggiungere la Germania, Zoa aveva sostato in un campo profughi lungo la rotta balcanica: una città inesistente sulle mappe satellitari; una falla nel sistema di aggiornamento del tutto provvidenziale per chi doveva nascondersi. [Continua a leggere]

Paris-la-Morte di Maria Teresa Rovitto

Nell’ultimo messaggio (sabato, 20:00) la parola Parigi non compariva.
C’è tutto ciò di cui ha bisogno nella stanza trovata all’ultimo momento su una piattaforma di alloggi a basso costo: una gruccia per il suo vestito di raso verde con bretelle sottili, un tappeto per la doccia, dei sacchetti di plastica per alimenti, una moka, un coltello a lama fissa, un cassetto con un doppiofondo, una tenda scura per soffocare la luce del giorno. [Continua a leggere]

Convivenza di Maria Teresa Rovitto

Nel quartiere la luce si rubava. Lungo il perimetro formato da abitazioni con contatori attaccati al sistema di illuminazione pubblica, i collegamenti elettrici erano trafugati. In estate tiravano fuori un ventilatore di quelli con le palette eoliche ingabbiate in una rete metallica. Il vento meccanico faceva volare per la cucina foglietti di carta, presine, buste di plastica, foulard, soldi, sacchetti di raso, potpourri. [Continua a leggere]

Parlare col culo di Daniela Besozzi

Sono una persona volgare. Dico cazzo, vaffanculo e bestemmio la madre del cristo. La mia bocca è come un buco di culo, quando serve esce merda.
Daniela ironizzava spesso sull’ipotesi che io fossi affetta dalla sindrome di Tourette, ma io vi giuro che la mia mente è sana. La ricerca scientifica congettura che la coprolalia sia un indizio di sincerità. [Continua a leggere]

Un lungo fine settimana di Federica Rigliani

Sul badge c’era scritto Psicologa. Si chiamava Amalia e il suo fu il primo viso che vidi al risveglio. Mi strinse le mani, sotto i nostri polsi il timbro dell’ospedale sul lenzuolo era verde farmacia.
– Va tutto bene – disse con voce pacata.
– Fabio… – sussurrai prima di riaddormentarmi. [Continua a leggere]

Ninna mamma di Federica Rigliani

Me la ricordo a letto, mamma. E io di lato che cullo il suo dormire.
In casa siamo sempre stati noi due. Una camera ciascuno e la cucina, che odorava di legna e affacciava sull’aia. Lì, quattro galline ovaiole razzolavano tra il basilico e i gerani, compressi nelle latte di pomodoro e addossati tutt’intorno al muro. [Continua a leggere]

Giada di Federica Rigliani

Wara e il nonno giunsero dal sentiero della ferrovia dismessa. Lunghe trecce lei, pelle antica lui. Giada fece loro cenno di avvicinarsi al portico e si versò un bicchier d’acqua, il vecchio la metteva in soggezione. Come la prima volta, quando aveva detto oggi non è il caso. Aveva alzato gli occhi al cielo dopo aver scrutato i fondi del mate di coca: volava basso il condor, e una nuvola grigia faceva da sfondo alla sua apertura alare, immensa e maestosa. [Continua a leggere]

Sconfitte di Mattia Cecchini

Io e mia madre non eravamo persone originali. Le nostre paure erano abbastanza patetiche: io avevo paura del buio, lei di vedermi morire.
Diceva che era colpa della zia Adele. Non l’avevo conosciuta la zia Adele, morì quando era bambina. Tossiva e sputava sangue, finché un giorno ne sputò troppo e rimase con la testa a ciondoloni nel gabinetto. [Continua a leggere]

Una famiglia di Mattia Cecchini

BRECIO
Che io i figli ce li metto e ce li porto dentro il cuore, ma uno come Stefo è buono solo per il brodo – a niente insomma – e quando s’è messo nella testaccia che voleva andare alla città, a trafficare coi motori, che lui la testa la vuole tenere piegata in giù nei cofani e mica vuole spezzarsi la schiena sul campo – la terra è fatica e schifa per lui, ma che la terra è fatica è fatica per tutti, ma che è schifa è schifa solo per un disgraziato – mica l’ho tirato per il collo, e gliel’avrei tirato il collo come tiro il collo dell’oca, ma io ce li metto e ce li porto i figli nel cuore, allora gli ho detto vacce, vacce laggiù alla città, vai alla città che ci sono le idee strane, e poi là le persone stanno tutte coi nervi mangiucchiati e crepati e magari t’insegnano a essere una bestia da città, gli ho detto che ti spolpi il diavolo e vacci. [Continua a leggere]

La coscienza di zero di Mattia Cecchini

Mi sento tirare giù. Da dietro. Una forza rabbiosa mi butta a terra. Ero appena arrivata alla macchina e stavo cercando le chiavi nella borsa. Scavavo tra il cellulare nuovo, i trucchi sparsi, un preservativo, un bracciale d’oro bianco, un paio d’orecchini che credevo persi, una piccola bottiglia viola di profumo. Eccole, mi era sembrato di vedere il portachiavi in pelle. Di colpo sono con la schiena sull’asfalto. Una mano nodosa mi serra le guance. [Continua a leggere]

Bene a perdere di Mattia Cecchini

Tutte le madri felici si somigliano; ogni madre infelice è infelice a modo suo. La lettera di mia madre iniziava così. La lessi per la prima volta da ragazzo, e per molti anni ho pensato che fosse un modo originale di iniziare una lettera, credevo che avesse scritto in maniera abbastanza semplice qualcosa di molto vero. Poi, avrò avuto forse trent’anni, scoprii che anche un libro di Tolstòj iniziava più o meno in quel modo. [Continua a leggere]