Dal romanzo “Masnago”, capitolo 3

di quindici

[La persona che qui si firma “quindici” sta frequentando la Bottega di narrazione. Questo è il terzo capitolo del suo romanzo in corso di scrittura Masnago].

Ha ormai smesso di piovere quando Elena parcheggia il motorino di fronte alla palestra di via Sottocosta, in mezzo a due macchine targate Bergamo.
Lasciato il freddo alle sue spalle dietro la porta a vetri dell’ingresso, si toglie i guanti e ascolta il rumore dei palloni sul parquet, sentendo crescere dentro di sé il nervosismo che la prende prima di ogni partita di Andrea. Oggi, poi, è seconda contro terza, e potrebbe già essere decisiva per andare alle finali nazionali.
Sale veloce i gradoni della tribuna e osserva la situazione, mentre si libera il viso dalla sciarpa. La stragrande maggioranza dei seggiolini è occupata da amici e genitori dei giocatori di Gallarate, già pronti ai loro soliti posti, mentre un gruppetto di facce sconosciute e bergamasche è seduto dietro la panchina ospite. La triade di osservatori di Varese, Milano e Treviso è posizionata al centro dell’ultima fila, con i loro taccuini aperti sulle ginocchia.
Elena li saluta sorridendo, così come fa con i signori Melis, i genitori di Marco, il playmaker della squadra, e con il papà di Stefano, il pivot. Quindi cerca lo sguardo di Andrea, ma lui, come durante ogni riscaldamento, è già concentrato e assente, gli occhi solo sulla palla e sull’anello, mentre infila un tiro dopo l’altro, da ogni posizione.
Luca è sotto il canestro che gli passa il pallone: l’unico in campo già in maglietta e pantaloncini, dopo l’ennesimo ciuffo di Andrea va in lunetta per provare un paio di tiri liberi che finiscono entrambi fuori.
Il prof. Zecchin è in piedi davanti alla panchina di Gallarate che li osserva, le mani giunte dietro la schiena. Allena nelle giovanili da più di vent’anni e non è mai andato alle finali nazionali, ma sente che quest’anno può essere la volta buona, come ripete a Elena dopo ogni lezione di educazione fisica, mentre le raccomanda di trattare bene Andrea, scherzando ma neanche troppo.
Dietro di lui, seduta in prima fila della tribuna con i piedi appoggiati alla balaustra, ecco l’Ale. Il giaccone buttato da una parte e lo zaino nero dell’Eastpack dall’altra, si guarda attorno annoiata mentre con una mano gioca con i suoi dreadlock.
Come ogni sabato, questa mattina a scuola non c’era, ma Elena sapeva l’avrebbe vista alla partita: Luca non parla d’altro da una settimana, e le ha fatto giurare che sarebbe venuta a vederlo.
– Come mai già qui? – le chiede Elena una volta in piedi accanto a lei.
L’Ale sposta il giaccone accanto allo zaino per farle spazio. Indossa una felpa nera, leggera, con il cappuccio, e Elena non capisce come faccia a non avere freddo.
– Dovevo vedere Sahid, ma sto coglione è in ritardo – risponde l’Ale, senza preoccuparsi di spiegarle chi sia, Sahid.
Non che a Elena interessi: le basta sentirsi coinvolta.
– Ma davvero Bergamo è così forte? Guarda che piccoli – dice l’Ale poco dopo.
– Finora hanno perso solo due volte contro Milano e all’andata con noi, e quasi ci battevano. Il play, poi, il numero dieci, Simone Catania, è proprio bravo, vedrai.
– Chi, quel tamarro con la cresta?
In effetti Catania si atteggia manco fosse Carlton Myers. Non fa altro che passarsi la palla tra le gambe e inventarsi tiri in controtempo uno più difficile dell’altro, anche se molti li segna.
– Vedrai che Luca appena può lo stende – dice l’Ale.
L’arbitro fischia i tre minuti all’inizio e il prof. Zecchin dà le marcature per la difesa, poi i titolari si sfilano la tuta e vanno verso il centro del campo, pronti per la palla a due.
Andrea fa dei piccoli saltelli sul posto, per sciogliere i muscoli, quindi si ferma e guarda fisso di fronte a sé, il suo viso che sorride solo per un attimo, quando vede Elena, prima di tornare serio e calmo come un lago senza vento.
Elena lo osserva nella sua maglietta bianco e rossa numero undici, e non può fare a meno di pensare che sia bellissimo, il suo ragazzo. E non è solo per l’altezza, le spalle larghe, le braccia e le mani lunghe, le gambe muscolose – tutte qualità che, oltre a rendere Andrea perfetto per un campo da basket, sono esattamente quelle che la fanno impazzire in un ragazzo –, ma soprattutto è per via di questa espressione, così umile e sicura allo stesso tempo, così adulta, che risalta ancor di più vicino agli altri giocatori, o troppo infantili o troppo arroganti, mentre si scambiano cinque improbabili, atteggiandosi a professionisti con le loro Air Jordan e le fascette NBA in testa.
Luca, intanto, va a salutare anche la panchina di Bergamo, che ricambia malvolentieri, poi torna a centrocampo e fa un occhiolino alle ragazze.
– Spaccagli il culo, amore! – gli grida l’Ale, coprendo l’applauso d’incoraggiamento che arriva dalla tribuna.
Elena è abituata a seguire le partite di Andrea in silenzio – i pugni stretti a ogni suo canestro, il respiro trattenuto quando subisce un fallo, la tensione che non scende nemmeno quando il suo ragazzo è in panchina –, concentrandosi solo su ciò che succede davvero in campo: come se ci fosse anche lei, in campo.
Con l’Ale, però, tutto questo è impossibile: già al primo attacco, quando Andrea segna da tre punti – il movimento di tiro fluido e veloce, la palla che entra nel canestro con un ciuffo perfetto –, l’Ale si alza in piedi urlando Sììì!
L’azione successiva Catania segna un bel canestro in entrata dopo aver battuto Marco con un palleggio incrociato e anticipato l’aiuto di Luca.
– Hai solo avuto fortuna! Riprovaci se hai il coraggio! – gli grida l’Ale, sporgendosi sulla balaustra.
Bastano queste scintille per far sì che i bergamaschi incomincino a fare il tifo anche loro, applaudendo e gridando a ogni azione, e presto anche il resto della tribuna, Elena compresa, si lascia trascinare, incitando i suoi e protestando con gli arbitri, manco fossero a Masnago per la Serie A la domenica pomeriggio.
In campo, intanto, la partita sembra mettersi bene. Dopo il primo canestro, Andrea ha fatto un assist a Stefano, poi ha dato un bel pallone a Francesco per un tiro comodo dai quattro metri. L’allenatore di Bergamo ha provato a cambiare difensore, mettendogli addosso uno più alto, ma Andrea l’ha battuto subito dal palleggio e ha schiacciato a due mani come se niente fosse. Bergamo si è allora messa a zona, per rallentare il ritmo e tenerlo lontano dal canestro, ma lui, dopo aver sbagliato un tiro da tre punti, ne ha infilati un paio dagli angoli che hanno portato Gallarate avanti di dieci.
In difesa, invece, è Luca a guidare tutti con il suo vocione che copre anche le urla dalle tribuna (-Il taglio! Il taglio! Occhio al cinque! Occhio al cinque!) e a picchiare come un fabbro sui raddoppi e a rimbalzo, senza sbagliare mai la posizione e senza scendere mai d’intensità, nonostante in attacco non veda un pallone.
E quando Andrea funziona da una parte e Luca dall’altra, allora anche per gli altri diventa tutto più semplice. Marco è attento a far girare la palla e a mettere pressione sul suo avversario; Francesco fa quello per cui è in campo, cioè difendere e punire i raddoppi su Andrea con il suo tiro da fuori; Stefano ha deciso che oggi ha voglia, dopo la schiacciata iniziale, e così i rimbalzi sono tutti suoi, e Vittorio e Daniele si sono fatti trovare pronti come primi cambi dalla panchina.
Anche il prof. Zecchin sembra soddisfatto: in piedi lungo la linea laterale con le braccia incrociate, ha lanciato finora solo un paio delle sue urlate. Una a Marco quando si è fatto battere dal palleggio alla prima azione (-Abbassa il culo, cazzo!), l’altra a Stefano dopo che si è lasciato prendere un rimbalzo in difesa (-Il taglia fuori! Sveglia!). Per il resto, ha guardato Andrea mettere un canestro dopo l’altro, in totale controllo, decidendo se segnare o far segnare: all’intervallo ha già segnato diciotto punti e Gallarate vince di otto.

– Sta arrivando Sahid, andiamo fuori – dice l’Ale mettendosi la giacca, dopo aver dato un’occhiata al cellulare.
Quando Elena, però, si ferma davanti all’ingresso della palestra, come tutte le altre persone, sotto la luce, l’Ale le fa cenno di seguirla fuori dal parcheggio.
La vecchia Volvo familiare di Luca è parcheggiata lungo Viale dei Tigli, lontano dai lampioni. Una volta in macchina l’Ale tira fuori dal pacchetto di sigarette una canna già pronta. Accende il motore per far partire il riscaldamento – il freddo che esce dalle loro bocche a ogni respiro –, ma tiene le luci spente e abbassa il volume del lettore cd. Gli Afterhours cantano Voglio una pelle splendida mentre la fiamma veloce dell’accendino le illumina per un attimo il viso.
– Vuoi?
Elena accetta, anche se non ne ha molta voglia: non le va di essere fatta alle partite di Andrea. Fa qualche tiro corto e veloce, poi, non sapendo cosa dire, osserva la sua immagine riflessa nello specchietto, sentendosi come sempre un po’ in soggezione quando rimane da sola con l’Ale. É un po’ come gli anni scorsi, quando nemmeno si conoscevano ed Elena la vedeva fumare da sola nel cortile del liceo, oppure in compagnia di gente molto più grande di lei, e si chiedeva se un giorno sarebbe stata anche lei, così: grande.
L’Ale fa un altro paio di tiri, in silenzio, prima di spegnere la canna nel posacenere e rimetterla nel pacchetto di sigarette.
– Eccolo – dice poco dopo, guardando nello specchietto retrovisore.
Elena non fa in tempo a voltarsi che si ritrova un ragazzo maghrebino sul sedile dietro, la portiera che si è richiusa più veloce di quanto si era aperta.
L’Ale sorride.
– Sahid, sei un coglione.
– Ti sei spaventata, eh? Chi è questa? – chiede Sahid guardando Elena. Ha i capelli corti, lucidi e neri, e due occhi grandi che non stanno fermi un attimo.
– Nessuna. Questa è nessuna – gli dice l’Ale girandosi verso di lui.
– Ciao nessuna – dice lui, sorridendo, prima di svaccarsi sul sedile e aprirsi la giacca.
Elena gli sorride, senza dire niente, mentre s’immagina cosa direbbe sua madre se la vedesse nella stessa macchina con un ragazzo di colore.
– Allora tu hai tutto? – chiede Sahid poco dopo.
L’Ale tira fuori dall’eastpack una palla avvolta nella carta stagnola e arrotolato dentro un sacchetto di plastica dell’Esselunga, e la lancia dietro a Sahid. Elena sente un odore leggero di marijuana uscire dallo zaino aperto accanto a lei, e una paura improvvisa le svuota lo stomaco: guarda fuori dal finestrino per controllare che non passi nessuno, ma Viale dei Tigli rimane buio e silenzioso. Si gira verso l’Ale che osserva Sahid aprire il sacchetto e mettere il naso contro la stagnola, ed entrambi sono così tranquilli e rilassati che anche Elena, piano, si calma.
L’Ale chiede a Sahid se vuole controllare oppure si fida.
– No, tu sempre brava. È quella dell’altra volta?
– Certo, vuoi provarla? – dice l’Ale, tirando fuori la canna spenta dal pacchetto di sigarette.
– Tranquilla, va bene così. Ecco qui.
Sahid le passa una mazzetta di banconote da centomila lire, alta e compatta, che l’Ale incomincia a contare veloce. Elena prova a starci dietro, ma quando arriva a nove le luci di una macchina che passa veloce dietro di loro la distraggono, facendole perdere il conto. Sa benissimo che se dovessero scoprirli finirebbe nei casini anche lei, ma rischio, pericolo, illegale, cazzata sono solo parole nella sua testa. Questa sensazione, invece, di fare qualcosa di nuovo, e vero, e raro, si fa sempre più forte dentro di lei, sostituendosi alla paura, e eccitandola.
– Ok, perfetto. Ciao Sahid.
– Ciao belle – risponde lui mentre dà un cinque all’Ale, prima di scendere dalla Volvo e scomparire da dove era venuto.
L’Ale si accende una sigaretta.
– Allora, ti sei divertita? Hai visto quanto è facile? Toh, contami un milione – le dice l’Ale mettendole in mano buona parte dei soldi.
Elena si mette a contare le banconote a una a una, provando uno strano piacere a tenere tra le dita quei soldi che fino a poco fa non c’erano e ora sono qui, domandandosi, nel frattempo, perché l’Ale l’abbia coinvolta – se perché voleva metterla alla prova, oppure perché voleva dimostrarle fiducia, o semplicemente per divertirsi. Qualunque sia la ragione, però, è più contenta di essere qui che non spaventata da come poteva andare. Anche perché è andata bene. E lei, si sarà comportata bene?
Quando ha finito, l’Ale si riprende le banconote e le mette in tasca.
– Questi sono di Luca. Mi sa che stasera offriamo noi – dice ridendo. Poi scende dalla macchina e torna verso la palestra, con Elena che la segue correndo.

Si risiedono ai loro posti che il secondo tempo è appena incominciato. Tutte e due con le giacche e le sciarpe ancora indosso, seguono il gioco in silenzio. E un po’ perché intontita dal fumo e dal freddo, un po’ perché Andrea segna subito altri due tiri da tre punti, portando Gallarate avanti 59-45, Elena proprio non riesce a concentrarsi sulla partita e si mette a riflettere su quanto accaduto poco prima.
Certo, in teoria dovrebbe essere arrabbiata con l’Ale. L’ha coinvolta in uno scambio di – quanto? – almeno mezzo chilo di marijuana senza dirle niente, sapendo benissimo che se fosse successo qualcosa sarebbe finita nei casini anche lei. Si stupisce però di non provare nient’altro che curiosità. Ma è una curiosità enorme, fortissima – vorrebbe sapere da dove viene l’erba, come funziona, chi è Sahid, come mai Luca non le ha mai detto niente e tanto altro ancora – e si deve sforzare per non fare domande. Perché comunque sente, se vuole superare l’esame a cui l’Ale l’ha sottoposta, che non deve chiedere niente.
In quel momento, Catania tenta una penetrazione al centro dell’area, saltando contro Luca che gli dà una manata in faccia, facendolo cadere pesante sul parquet. Mentre l’arbitro fischia a Luca un fallo intenzionale, l’Ale si alza di nuovo in piedi, all’improvviso sveglia, sporgendosi sulla balaustra.
– Bravo amore! Mandalo all’ospedale quel tamarro!
Dal lato bergamasco della tribuna un signore le urla di stare zitta.
L’Ale si gira guardandosi attorno, per capire chi ha parlato. Un tipo sulla cinquantina, ben piazzato, con i capelli bianchi tagliati a spazzola, alla marine, e un paio di occhialini da ragioniere si alza in piedi fissandola.
– Cazzo vuoi? – gli chiede l’Ale.
– Stai zitta, troia – le grida quello di nuovo.
Elena non fa in tempo a rendersi conto di ciò che succede che l’Ale è già scattata verso il marine. Quando se lo trova davanti – senza pensarci un attimo, la mano aperta che si muove veloce e decisa nell’aria – gli tira un ceffone in faccia, facendogli volare gli occhiali.
Il marine rimane per un secondo immobile, come incredulo, poi, quando l’Ale sta per partire con un altro schiaffo, la spinge via, facendola cadere sui gradini.
Appena la vede per terra, Luca scavalca la balaustra, nel pieno di un’azione di gioco.
– Mi ha preso a schiaffi! Avete visto? Mi ha preso a schiaffi! – dice il marine, girandosi verso gli altri spettatori che si stanno però allontanando per evitare guai, senza accorgersi così di Luca che lo prende alle spalle.
– Cazzo fai? Eh? Cazzo fai alla mia ragazza? – gli urla Luca nell’orecchio.
Anche Elena è corsa vicino all’Ale per aiutarla. Lei, però, si è già ripresa.
– Bastardo! Adesso ti ammazzo! – grida avvicinandosi di nuovo al marine, bloccato dalla presa di Luca.
Diversi giocatori sia di Gallarate che di Bergamo corrono in tribuna. Luca si prende un calcio sulla schiena da Catania, che subito dopo viene sollevato come un cuscino da Stefano e scaraventato sui gradini.
– Vieni che ti rompo il culo! – grida Stefano avvicinandosi al marine, ma il loro pivot lo spinge a due mani facendogli perdere l’equilibrio. Luca gli si avvicina per tirarlo su, ma Stefano si rialza da solo infuriato contro tutti e tutto. In un attimo la rissa diventa un mulinare indistinto di calci e spinte e pugni che coinvolge chiunque si trovi lungo le ultime due file della tribuna, con l’Ale che prova di continuo a colpire di nuovo il marine. Anche Elena si prende un paio di gomitate da qualcuno vicino a lei, poi si sente sollevata da dietro senza che possa fare niente: è Andrea, che la porta fuori dal delirio.
– Stai qui e non ti muovere – le ordina, prima di mettersi tra l’Ale e il marine, mentre Luca riesce in qualche modo a prendere la sua ragazza e a trascinarla accanto a Elena.
– Stai bene? – le chiede Elena.
– Certo! – ride l’Ale. Poi si accende una sigaretta e osserva la scena di fronte a lei, neanche fosse al cinema.
Il prof Zecchin, gli arbitri e l’allenatore di Bergamo sono corsi in mezzo ai giocatori e ai genitori, come la polizia in una rissa tra ultras. E anche senza manganelli e scudi, tra spintoni e minacce di squalifica riescono in qualche modo a riportare la calma.
Un signore con indosso una felpa della Lega Nord dice all’Ale che lì non si può fumare. L’Ale lo ignora, mentre il marine le si avvicina urlandole di dargli i documenti che vuole denunciarla per aggressione.
– Non rompere le palle che hai iniziato tu! – lo ferma Luca strattonandolo per il braccio.
Il marine si libera e gli risponde di farsi i cazzi suoi.
– Sono cazzi miei – dice Luca, tirando di nuovo il marine verso di sé.
Prima che la situazione degeneri un’altra volta, arriva il prof Zecchin e lo spinge via, con Luca che non oppone resistenza, nonostante sia trenta centimetri più alto del suo allenatore. Il prof. lo mette a sedere di forza in panchina, poi ordina a tutti gli altri di fare la stessa cosa – Immobili! –, quindi va a parlare con l’arbitro e con l’allenatore di Bergamo.
Elena e l’Ale sono tornate ai loro posti, così come gli altri spettatori, marine compreso, trascinato dalla moglie. Elena vede i loro sguardi sull’Ale, mentre lei è lì tranquilla che scrive un messaggio sul cellulare. Elena, invece, ha ancora in circolo l’adrenalina della rissa e fa fatica a rimanere ferma. Si è divertita, non aveva mai partecipato a niente di simile. Certo, se qualcuno si fosse fatto male probabilmente sarebbe diverso, ma così si è davvero divertita.
Dopo qualche minuto si avvicina il loro prof. Guarda Elena senza dire niente e si ferma davanti all’Ale, che lo osserva da seduta.
– Zanetti, devi andartene – le ordina.
L’Ale lo fissa per qualche secondo, prima di alzarsi, prendere il suo zaino e dirigersi verso l’uscita.
Elena la segue, dopo un attimo d’indecisione, mentre i quintetti tornano in campo per ricominciare a giocare.
Una volta in macchina, l’Ale ritira fuori la canna che ha iniziato all’intervallo.
– Avevi ragione, è stata proprio una bella partita – le dice ridendo mentre si guarda allo specchietto un segno che qualcuno le ha lasciato sulla guancia sinistra.

22 pensieri riguardo “Dal romanzo “Masnago”, capitolo 3

  1. mi è piaciuto leggere, quindici, soprattutto le parti che restituiscono riscaldamento, palla a due e partita. conosco. rendi tutto benissimo, fin dal rumore dei palloni sul parquet.

  2. Oltre a quanto dice Manu, trovo buona la rissa. Meno buono secondo me il momento di riflessione dopo lo spaccio: il narratore ci riporta i pensieri di Elena o ci suggerisce cosa deve pensare il lettore? Non sarebbe più utile far emergere le stesse considerazioni in una scena o un dialogo?

  3. Mi piace, l’ho letto senza fatica. Forse la ricerca di trasgressione e nuove emozioni di Elena è un po’ troppo sottolineata, basterebbe lasciarla intuire: unico appunto, personalissimo, ad un capitolo ben raccontato.

  4. Il pezzo é ben scritto ma, in alcune parti, troppo dettagliato, cosa che fa calare la tensione narrativa. Forse sfoltirei la prima parte, molto descrittiva, e cercherei di far entrare il lettore subito nel vivo della vicenda.

  5. La scrittura è pulita e senza sbavature, le scene sono ben delineate. Ho letto il capitolo di getto e senza alcuna fatica. Magari sono di parte perché ho giocato a basket 20 anni e questo mondo fa parte di me, però mi sembra che tutto funzioni. Come lettore mi hai coinvolto e stimolato alla lettura di nuovi capitoli.

  6. E aggiungo: è un libro che sarei disposto a comprare. Non posso dire lo stesso degli altri anticipi dei testi della bottega.

  7. Anche io lo comprerei (e comprerò) volentieri.
    La scrittura è abbastanza precisa, il periodo scorrevole, il ritmo buono e i personaggi ben delineati, secondo me.
    Le parti “agìte” le migliori, quelle che riportano una riflessione un po’ meno.
    Quindici, non vedo l’ora di leggere il resto!

  8. a me non fa impazzire questo pezzo-al di la del fatto che ha la sua dignità £formale”-lo trovo davvero troppo “provincia italiana profondo nord” e con un linguaggio si”compìto”,ma davvero troppo convenzionale:

    “L’Ale lo fissa per qualche secondo/- Bastardo! Adesso ti ammazzo! – grida avvicinandosi di nuovo al marine(??ndr), bloccato dalla presa di Luca/- Ma davvero Bergamo è così forte? Guarda che piccoli – dice l’Ale poco dopo.”

    non dico frasi fatte,ma è davvero troppo facile scrivere così

    altri pezzi precedenti della bottega eran si, chi piu chi meno,con qualche eccezione,un pò “sgarrupati”,come tematiche (qualcuno lo era davvero troppo per i mezzi espressivi dell autore del singolo pezzo)ma almeno andavano oltre le solite tematiche da provincia italiana-il che non vuol dire che il pezzo sopra sia”provinciale”,intendiamoci

  9. @ andy :mi dici se ti va cosa leggi di solito,e quali sono i tuoi gusti in materia di narrativa italiana(edite o meno),perchè davvero sono un pò curioso di alcune tuo considerazioni sopra(senza rancore eh :))

  10. da wikipedia :

    “”Masnago (Masnàgh in dialetto varesotto) è un rione della città di Varese, situato nella parte settentrionale”

    ora,sopra,ancor prima di aver,diciamo,”guglato”,avevo già scritto “provincia italiana profondo nord”,ok ,ma il pronostico era facile

    Pensavo fosse un paese (il titolo del pezzo sapeva tanto di nome di località/Comune davvero esistente)ma pensavo fosse in pianura-pianura

    beh,è nel Varesotto,come si legge sopra,ma quello si che è davvero “profondo nord” 🙂

    ad ogni modo,caro quindici ,senza polemica,non ho ovviamente letto tutto il suo romanzo ,ma davvero quel mondo fuori dalle grandi città,nella patrie lettere,negli ultimi 20 anni,diciamo la provincia dalle Alpi fino alla Marche(curiosamente,proseguendo più a sud,meno),è già stato davvero raccontato tante,troppe volte,almeno nella narrativa italiana EDITA

    La mia lamentela non è la solita cosa del “…lavorare sul linguaggio,così cose e accadimenti gia raccontati o già noti ,tornano nuove e lucenti come mai raccontate!”(ma sarà vero?):
    secondo me,proprio,anche contenutisticamente,se si vuol cmq raccontare quello (o altri ) mondi,ogni tanto si deve uscire dai soliti seminanti,che siano l’adolescenza un pò irrequieta e la classica partita del palazzetto locale,calcio o basket che sia.

    (a seguire-se scatta il dibattito)

  11. Davide, ma prima di “commentare” come e cosa scrivono gli altri ti sei visto come ti esprimi tu? Scrivi come un analfabeta (un mix tra sms e trascrittore automatico con scarso vocabolario) perché vuoi apparire radical chic o cosa? Cosa hai all’attivo, come scrittore, tu? Facci leggere qualcosa di tuo, sono curiosa.

  12. Ma no dai, le critiche ci stanno…anzi, mi stavo sin troppo esaltando, per cui bene 🙂
    Nel merito, Davide mi pone due problemi, uno di forma e l’altro di contenuto.
    Su quello di forma, mi critica per l’uso di frasi troppo convenzionali: il che può anche essere vero, però Davide, sinceramente, hai letto tutto il capitolo con un minimo di attenzione o hai preso qualche periodo qua e là per sostenere la tua tesi? Il dubbio mi viene vedendo il tuo commento sull’uso della parola marine, di cui – mi sembra di intuire – non capisci il motivo, ma qualche riga prima c’è la descrizione di questo signore che poi diventa il marine per comodità. Anche l’altra tua frase presa ad esempio, in realtà è sufficientemente gergale tra appassionati di basket per non essere convenzionale: si usa piccoli o grandi per dire in realtà bassi o alti.
    Sul contenuto, invece, mi sembra davvero un po’ ingeneroso pretendere di capire tutto di un romanzo avendo letto un capitolo soltanto: e anche sostenere che tutta la provincia italiana da Aosta a – diciamo – Perugia – sia più o meno la stessa cosa mi sembra quantomeno una forzatura. Già da Varese a Verbania, due città distanti 60 km o 20 minuti di traghetto sul Lago Maggiore, cambia tutto, ma cambia veramente tutto: a livello sociale, politico, sportivo, culturale. Poi se tu preferisci romanzi d’ambientazione metropolitana, io alzo le mani e mi arrendo, ma se la tua tesi è ‘c’è già Ligabue che mi racconta la provincia italiana, cosa vuoi dire tu di nuovo?’ allora ti dico no, rimani qui perché quello che ti racconto io è qualcosa di diverso. Forse non migliore, ma diverso sì.

  13. ciao quindici,sono un appassionato di aviazione e warfare ,credo sia un po difficile che non sappia cosa sia un “marine”(che vuol dire “appartenente” all USMC,che sarebbe poi “united states marine corps” :))

    inoltre:no altro che Ligabue,non vedo perchè pensare a lui (a luciano ligabue,preferisco,antonio ligabue,saprai chi era,si occupava di tutt altra forma d’arte )

    di libri con argomenti contenutistici del genere (dico in forma di libri,non canzoni) ce ne saranno almeno ..14 dal 1997 ad oggi…il problema è che la gente scrive,ma poi legge non dico poco ma almeno non abbastanza della stessa “scena letteraria”,dove vedrebbe che molte tematiche son così trattate da esser quasi usurate

    rimane poi il problema del linguaggio che è il classico italiano basic ,per di più con scene gia viste,come l’adolescente intemperante,le scene da domenica mattina in provincia al palazzetto dello sport -che son davvero gia molto “viste”

    quindi mi sembra difficile pensare che nel resto del libro il tutto prenda una piega alla .che so…Lovecraft 🙂

    e davvero,quindici,almeno su vibrisse,tematicamente,gia mesi fa,criticai un pezzo che aveva atmosfere simili,è tutto un mondo davvero gia molto raccontato.

    @ barbara 🙂 eh barbara la cose vanno anche comprese.. non solo lette 🙂 cmq disponibile da ora a far pubblicare qua sopra qualcosa di cui scrivo,a giulio lo avevo già proposto

    …attendo news,saluti 🙂

  14. Ligabue era una provocazione, per dar l’idea di certe storie di provincia che sono molto lontane dalla mia.
    Immagino che tu sappia cosa sia un marine, ma il punto non era questo, era più tecnico (rileggiti quanto ho scritto prima), inoltre di storie ambientate nel mondo della pallacanestro giovanile e professionista (perché Masnago oltre a essere un quartiere di Varese è il palasport dove gioca la Pallacanestro Varese, la squadra di Serie A che compare nel romanzo) a me non ne vengono in mente molte, se togli ‘Tre volte invano’, che però è qualcosa di completamente diverso, così come non mi vengono in mente molte storie di aziende familiari in piena crisi raccontate dal punto di vista dei figli, oppure di storie che raccontano cosa succedeva negli smart shop in Svizzera alla fine degli anni Novanta, tutti aspetti presenti in ciò che sto tentando di fare, ma tutto questo tu non potevi nemmeno saperlo, perché non puoi capire, come già detto, da un singolo capitolo tutto il romanzo.

  15. @Davide: cosi’ a braccio, tra i non attivi: Pirandello e Svevo. Piu’ recenti, Tondelli e Buzzati.
    Tra gli attivi: Ammaniti, Rossana Campo, Antonella Lattanzi, Tommaso Pincio, Francesco Piccolo.

    Questi mi vengono in mente senza necessita’ di andare a frugare tra i cassetti, il comodino e la libreria, che da tempo, per altro, ha esondato.

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