Libri che sanno di essere libri

di Edoardo Zambelli

Che un libro abbia bisogno di un lettore mi sembra un fatto abbastanza ovvio. Banalmente: se qualcuno il libro non lo apre, non legge cosa c’è scritto dentro, il libro non funziona. Non come libro, almeno.
Ce ne sono però alcuni che più di altri hanno bisogno del lettore, e ne hanno bisogno perché dialogano con lui, lo “costringono” a far parte della storia che raccontano. Si potrebbe dire che in qualche modo questi libri contengono il lettore, gli suggeriscono di avere effettivamente tra le mani un oggetto di carta (o un eReader), che dentro quell’oggetto c’è una storia, e che lui (il lettore, dico) quella storia la sta leggendo.
Diciamo che sono libri che sanno di essere libri.
A me di un libro piace vedere come è fatto, cercare se possibile di capire il ragionamento che c’è sotto la realizzazione di un determinato effetto, di una determinata costruzione. Insomma, quella che Alberto Ongaro, scrittore a me caro, definisce in modo molto efficace “ingegneria romanzesca”.
Letto da questo punto vista, il libretto di Mo Willems Siamo in un libro! è un brillante manuale di tutto ciò che un romanzo, o in generale una narrazione, può fare con un lettore. Credo sia utile dire che che questo vale tanto per il tipo di libri di cui ho parlato, tanto per i libri in generale.
Io l’ho letto come la messa in scena di un ragionamento, certamente semplificato perché intende per prima cosa farsi comprendere da un bambino, eppure, nonostante questo, dotato di una complessità stupefacente.

Reginald e Tina:

La situazione iniziale di Siamo in un libro! è questa: Reginald e Tina (rispettivamente un elefantino e una porcellina) si accorgono che qualcuno li osserva. Si affacciano alla pagina – per così dire – e scoprono che un bambino li sta guardando. Anzi, li sta leggendo. Da qui inizia un gioco, un continuo rimbalzo tra la pagina e il (piccolo) lettore.
Trattandosi di un libro illustrato, il modo più utile per descriverlo è dividerlo in sequenze e mostrare alcune immagini che ne riassumano il funzionamento.

1. La prima pagina (pag. 2)

Il libro si apre con un ambiguo “grazie”. Dico che è ambiguo perché non si capisce di cosa si stia ringraziando il lettore. Forse di aver aperto il libro? Può essere. Prendiamolo come un prologo, un brevissimo segmento di cui si capirà il senso più tardi.

2. Il testo identifica il lettore (da pag. 3 a pag. 15)

Tina e Reginald si accorgono di essere osservati, si fanno avanti, guardano attraverso la pagina e vedono un bambino. E qui il testo fa tre cose, insieme.

La prima: dichiara il proprio destinatario (un bambino), quindi in certo modo anche il genere di appartenenza (letteratura per l’infanzia). Seconda cosa: dichiara se stesso, si dà, per così dire, un identikit. È un libro illustrato, si legge decifrando le parole scritte nelle nuvolette (e infatti Tina si appende a una nuvoletta, per rafforzare il concetto) (fig. 5). Terza cosa, nell’immediato più importante: “prende” il destinatario e lo porta dentro il testo, o meglio, dentro la narrazione che si sta costruendo. È facile infatti immaginare che un bambino, nel vedersi riconosciuto dai due personaggi si senta legittimato a pensarsi parte del libro.

3. Le regole del gioco (da pag. 16 a pag. 25)

La terza sequenza è divisibile in due parti.

Prima parte:

Reginald e Tina – acquisita la loro “posizione” di personaggi – saltellano qui e là, felici, perché si ritrovano appunto protagonisti di un libro. Diciamo pure che è una parte statica, non succede nulla. Ma è utile chiedersi: qui cosa sta facendo l’autore?

La risposta aiuta a capire come viene regolato il ritmo di una narrazione, ed è: sta facendo una pausa. Non per lui, sia chiaro, ma per il lettore. Troppe informazioni tutte insieme, una dietro l’altra, rischiano di confondere, di diluire l’effetto che si vuole ottenere. E quindi, una pausa. È ovvio che, trattandosi di un libro per bambini, la pausa è anche un pretesto per far divertire. Oppure, volendo vederla in un altro modo, il divertimento aiuta a camuffare la pausa.

Seconda parte:

Ora che i festeggiamenti si sono esauriti, Tina ha un’idea: farà dire una parola al bambino.

Il libro, è bene ricordarlo, è il racconto di un gioco che lettore e autore fanno insieme. E come ogni gioco, ha bisogno di regole.
Accertato – perché detto nella seconda sequenza – che il bambino legge le nuvolette, l’autore gli suggerisce, adesso, di leggere il testo ad alta voce. Ecco quindi la regola: Tina dirà una parola, il bambino la leggerà ad alta voce.

4. Il gioco (da pag. 26 a pag. 37)

Tina si schiarisce la voce, poi pronuncia la parola “banana”.

Nella pagina successiva, Reginald ride forte, perché, a quanto pare, il bambino ha parlato.

Ovviamente qui l’autore sta facendo una cosa ben precisa: facendo dire ai personaggi che il bambino ha parlato, spingono il bambino (quello vero, che sta leggendo) a parlare e a ridere con loro.
Detto in altre parole, lo sta trascinando ancora più nel libro, e lo sta, in certo modo, pilotando.

5. La svolta, illusione del libro fisico, alzare il ritmo (da pag. 38 a pag. 53)

Tina chiede a Reginald se vuole provare anche lui a far dire qualcosa al bambino. E aggiunge: prima che il libro finisca.

L’aggiunta è importante, anzi, direi determinante, perché provoca un’improvvisa svolta nella narrazione. Reginald infatti non ha idea che un libro possa finire (non ha ancora bene in mente, forse, cosa sia un libro) e quindi, da qui, gli viene una domanda: quando finisce il libro?

Tina controlla, sollevando l’angolo della pagina, poi dice: a pagina 57.

Qui si ribadisce ancora una volta – anche tramite l’espediente grafico -, il concetto di libro fisico. O meglio, c’è il rafforzamento dell’illusione di avere tra le mani un libro fisico di cui gli stessi personaggi sono consapevoli.
Il finale della sequenza invece riprende il discorso sul ritmo narrativo fatto per la sequenza n. 3. Se lì però si trattava di un rallentamento, qui si tratta di un’improvvisa accelerazione. Reginald – sempre un po’ isterico – si dispera, perché ha l’impressione che il libro vada troppo veloce, che la storia duri troppo poco, e così facendo, passando cioè da una pagina all’altra, spinge lo stesso lettore ad accettarne e assecondarne il ritmo.

L’aumento di velocità prelude a quello che è poi il finale a sorpresa del libro.

6. Finale, colpo di scena, il cerchio che si chiude (da pag. 54 a pag. 2)

La “corsa” delle pagine precedenti termina con Tina che ha un’idea.

Anche se il libro finisce – e ormai è quasi finito – c’è ancora qualcosa che lei e Reginald possono fare.
Qui l’autore costruisce un piccolo colpo di scena, lo fa omettendo un’informazione al lettore, seppure per il brevissimo spazio di due pagine: Tina, infatti, la sua idea la sussurra all’orecchio di Reginald.

La rivelazione, se così possiamo chiamarla, avviene poi nelle ultime due pagine. Tina e Reginald chiedono al bambino di leggerli di nuovo.

Ecco quindi che si spiega anche il “grazie” di pagina 2, cosa, questa, che è anche un modo per ribadire ancora una volta che cosa è un libro: un oggetto che contiene una storia e che può essere riletto più e più volte, fino a che il lettore ha piacere di stare nel mondo che vi è contenuto.

(Articolo già pubblicato nel blog di Giulio Mozzi vibrisse, il 19 dicembre 2017).

2 pensieri riguardo “Libri che sanno di essere libri

  1. Carinissimo… metanarrativa.
    Ma ingegneria romanzesca mi piace molto.
    Vorrei scrivere una storia così, anche per “grandi”.

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