Le riscritture non finiscono mai (anche se vinci il premio Strega)

di Giulio Mozzi, direttore della Bottega di narrazione

Nel 1989 Giuseppe Pontiggia (foto in alto), unanimemente ritenuto uno dei maggiori scrittori italiani della seconda metà del Novecento, pubblicò il romanzo La grande sera (con il quale vinse il premio Strega). Questo l’incipit del romanzo:

«Dopo avere atteso altri dieci minuti sdraiata sul letto, lo sguardo al soffitto inclinato, le mani sulla coperta, attenta a qualunque rumore salisse dalle scale, cominciò ad avere paura.

«Non era arrivato mai in ritardo, con una puntualità vanamente ricattatoria, poiché lei considerava suo diritto farsi aspettare. “Teniamo come limite estremo tre quarti d’ora” le aveva detto una volta, senza riuscire a dissimulare l’irritazione. Ora erano già passati sessantotto minuti.

«Si alzò dal letto e si avvicinò a piedi nudi alla finestra. Scostò le tendine. Sul marciapiede in basso si vedevano camminare uomini minuscoli. Alcuni si fermavano davanti alle vetrine, altri attraversavano il viale, sparendo e riapparendo tra gli ippocastani. Di solito lui arrivava a piedi da sinistra, dopo avere lasciato l’automobile al parcheggio. Il suo studio era, in linea d’aria, a non più di un chilometro. Scorgeva nitidi gli ultimi piani del grattacielo e i vetri che luccicavano al tramonto, nella bruma rosata.»

Nel 1995 l’editore della Grande sera, Mondadori, ne pubblicò l’edizione economica. Nella quale l’incipit suona così:

«Attese altri quindici minuti sdraiata sul letto, lo sguardo al soffitto inclinato della mansarda, le mani sulla coperta, attenta a qualunque rumore salisse dalle scale. Poi cominciò ad avere paura.

«Non era mai arrivato in ritardo.

«Si alzò dal letto e si avvicinò a piedi nudi alla finestra. Sul marciapiede in basso camminavano uomini minuscoli. Alcuni attraversavano il viale, sparendo e riapparendo tra gli ippocastani. Di solito lui arrivava a piedi dal parcheggio. Il suo studio, al penultimo piano di un grattacielo, era ancora visibile a distanza, i vetri che luccicavano al tramonto, nella bruma rosata.»

Che cos’era successo nel frattempo? Pontiggia lo spiegava in una nota premessa alla nuova edizione:

«Dopo la pubblicazione della Grande sera, nel 1989, mi sono reso conto che il testo presentava alcuni difetti non marginali. Parte della critica e dei lettori mi ha corroborato, per così dire, in questa inquietante persuasione. Dovessi riassumerli in modo schematico:

«Ridondanze di colorito retorico (eccessi di antitesi, parallelismi, ossimori).

«Aforisticità insistita.

«Sentenziosità dei dialoghi.

«Ho lavorato oltre un anno alla correzione di questi difetti. Dalla revisione capillare, parola per parola, il testo è uscito non vistosamente – però profondamente modificato. Mi sembra più rapido, sfumato, ambiguo, ironico. Il lavoro sui dettagli ha finito per cambiare l’insieme. Io spero sia migliorato.»

In realtà Pontiggia è intervenuto anche su altri aspetti: vedi per esempio i «dieci minuti» della prima edizione che diventano «quindici minuti» nella seconda. Il lettore che avesse la pazienza di leggere le due edizioni confrontandole costantemente si accorgerebbe che nella seconda il tempo della sera in cui tutto comincia è nella seconda edizione più dilatato. Come mai? La consultazione di una tavola delle effemeridi (una di quelle tavole che dicono a che ora sorge e cala il sole) fornisce la risposta: nella prima edizione, considerato il periodo dell’anno nel quale si immagina avvenga la vicenda… veniva buio troppo presto!

Ma la maggior parte degli interventi di Pontiggia possono essere classificati senz’altro come ritocchi di stile: il cui senso è spesso evidente. Per esempio, il «Poi cominciò ad avere paura» della seconda edizione, così isolato sintatticamente, pare più efficace più forte; similmente, l’attacco senza il «Dopo» della prima edizione è più diretto e veloce.

Nel secondo capoverso vengono tagliate 36 parole: chi andasse a vedere il testo si accorgerebbe che poco più di una pagina oltre il concetto di «contabilità» dei ritardi è nuovamente, e più chiaramente, espresso.

«Sul marciapiede in basso camminavano uomini minuscoli» è, di nuovo, più diretto che «Sul marciapiede in basso si vedevano camminare uomini minuscoli»: più diretto perché la visione è fornita come un dato di fatto, senza passare attraverso la soggettività («si vedevano») del personaggio.

Eccetera.

Il corso Fondamenti di stile, organizzato da Bottega di narrazione e Photo Ma.Ma. Edition, condotto da Giulio Mozzi con l’affiancamento di Manuela Mazzi, insegna proprio a osservare le parti più minute del testo, a pesare il significato e l’effetto di ogni parola, a cercare la misura più giusta per le frasi, a cercare la precisione e l’esattezza nel rendere il visibile.

Fondamenti di stile inizia tra pochissimo, l’11 settembre 2021. Dà un’occhiata al programma dettagliato.

Le iscrizioni sono aperte.

https://bottegadinarrazione.com

3 pensieri riguardo “Le riscritture non finiscono mai (anche se vinci il premio Strega)

  1. Salve Giulio, sto leggendo Il suicidio di Angela B. e ti vorrei chiedere se è mai stata tentata una ristampa.
    Grazie

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