di Alessandro Zaccuri
[Questo articolo è apparso nel quotidiano Avvenire il 1° maggio 2015].
E la capra in copertina che ci fa? Quello che faceva la gallina in Una notte da leoni, primo episodio di una saga comico-cinematografica in parte grossolana ma costruita con notevole intelligenza narrativa. La capra, come la gallina, è l’inesplicabile che si insinua nella vita dei protagonisti, peraltro già abbastanza sottosopra. Ma è proprio lo sguardo innocente e attonito dell’animale, alla fine, a guidare verso una ricomposizione dei fatti che, nel caso del romanzo d’esordio di Nicola D’Attilio, è anche riscoperta di senso.
Una famiglia imperfetta – il libro con la capra in copertina, appunto – è un racconto lieve e inconsueto, e non solo peché il tono è decisamente più scanzonato rispetto alla linea di un editore come San Paolo. Basti dire che l’avvio della trama è costituito dalla gravidanza indesiderata di Clelia, trentenne appena uscita da una lunga e inconcludente relazione amorosa. Non è il tipo da avventure di una sola notte, però una volta le è capitato, e quella volta le è bastata per ritrovarsi ad aspettare un bambino. Che non vuole, o almeno così lei dice, e che si prepara addirittura ad abortire. Nel frattempo, però, coinvolge Diego, il padre per caso, renitente alla paternità più ancora di quanto Clelia lo sia alla maternità. I due sono più o meno coetanei, lui è donnaiolo per tradizione di famiglia o, forse, per contraddittorio spirito di conservazione. Magari cambierà, ma prima lei dovrebbe cambiare idea.
Perché questo accada si mettono in moto forze inattese e potenzialmente contrastanti. La famiglia di Clelia, in primo luogo, all’interno della quale i genitori Andrea e Anna conservano un segreto, a questo punto non irrilevante, relativo alla primogenita Margherita. E poi gli amici di Diego: lo stralunato Primo Maggio (quello che si porta in casa la capra) e la coppia composta da Matteo e Marta, che invece un figlio lo vorrebbero a ogni costo, tanto da valutare l’ipotesi di trasformare Clelia in una sorta di madre surrogata.
Il clima, insomma, è quello di molta commedia sentimentale dei nostri anni, tra affetti liquidi e identità instabili. Siamo dalle parti del primo Muccino o della serie tv Modern Family, spregiudicata nella presentazione dei temi ma spesso straordinariamente tradizionale nella soluzione dei dilemmi di volta in volta sollevati.
Quale sia l’esito della favola verosimile di Clelia e Diego è una scoperta che, mai come in questo caso, va lasciata al lettore. Quello che non si può fare a meno di segnalare è invece il talento singolarissimo che il quasi quarantenne D’Attilio (ha più o meno l’età dei suoi personaggi, e si sente) ha affinato alla scuola di Giulio Mozzi e della sua Bottega di narrazione. Di particolare efficacia, nella fattispecie, l’ambientazione del romanzo in una Genova quotidiana e per niente oleografica, dove De André si limita a fare di tanto in tanto da colonna sonora e non tutte le strade portano per forza a Via del Campo.
