100 lezioni di scrittura creativa / 53 (dove si spiega che la scrittura è un’arte che costa poco)

Scrittura creativa, Corsi di scrittura creativa a Milano

di Giulio Mozzi

[Diversi anni fa Gianni Bonina mi chiese di compilare per la rivista Stilos una rubrica che fosse qualcosa come “un corso di scrittura creativa a puntate”. Scrissi 100 puntate. Se le volete tutte in un colpo, le trovate qui. Rielaborate e aggiustate, le 100 puntate sono diventate anche un libro, pubblicato da Terre di mezzo: (non) un corso di scrittura e narrazione. Le ripubblico qui, una al giorno (salvo inconvenienti e incidenti); e cercherò di rispondere a eventuali domande, obiezioni, dubbi eccetera. Chi volesse, può dare un’occhiata anche alle mie videolezioni].

Saluti a tutti e tutte. La settimana scorsa [cioè ieri…] finivo il mio pezzo con questa domanda. «Com’è che i lettori si immaginano che la scrittura sia per gli scrittori una certa cosa, e gli scrittori (io compreso) invece dicono che è tutt’altra cosa? Come fanno a essere così differenti, le due esperienze?».

Magari voi vi aspettate che io sappia la risposta alla domanda. E invece no. Ci ho pensato su (ci ho pensato, in particolare, mercoledì mattina tra le sette e le nove – mentre andavo a Milano in treno – e domenica mattina tra le undici e le quattro – mentre tornavo da Napoli in treno), e non mi è venuta in mente una risposta sensata.

In altri momenti della settimana ho provato ad affrontare la questione diversamente: ho domandato a un certo numero di lettori puri che cosa pensassero che fosse, per uno scrittore, in generale, la scrittura: l’attività dello scrivere. E ho ricevute risposte così diverse, da non sapere che cosa concluderne.

Allora provo a improvvisare, in parte ripetendo cose che ho già dette nelle prime puntate (un anno fa!) di questa rubrica.

A tanti sarà capitato di sentirsi dire: «Se vuoi scrivere, allora leggi!». Che è un’affermazione sacrosanta, ma sacrosanta fino a un certo punto.

Giacomo Leopardi faceva dire a un personaggio delle sue Operette morali:

A conoscere perfettamente i pregi di un’opera perfetta o vicina alla perfezione, e capace veramente dell’immortalità, non basta essere assuefatto a scrivere, ma bisogna saperlo fare quasi così perfettamente come lo scrittore medesimo che hassi a giudicare. […] L’uomo non giunge a poter discernere e gustare compiutamente l’eccel-lenza degli scrittori ottimi, prima che egli acquisti la facoltà di poterla rappresentare negli scritti suoi: perché quell’eccel-lenza non si conosce né gustasi totalmente se non per mezzo dell’uso e dell’esercizio proprio, e quasi, per così dire, trasferita in se stesso.

Allo stesso modo si potrebbe dire (e faccio questi esempi perché l’affermazione del personaggio di Leopardi non suoni troppo bizzarra) che solo un cuoco potrà apprezzare fino in fondo la qualità di certi piatti, e solo un calciatore potrà apprezzare fino in fondo la qualità di un dribbling.

Ma, di nuovo, andiamo a sbattere contro una tautologia (tautologia è il dire la stessa cosa in altri termini). Le due esperienze, della lettura e della scrittura, sono differenti. Su questo non ci piove. Chi pratica, magari intensivamente o professionalmente, una certa attività, saprà osservare la stessa attività, svolta da altri, con particolare attenzione e comprensione.

A questo punto mi domando perché la domanda posta alla fine del pezzo della settimana scorsa, e all’inizio di questo stesso pezzo, m’importi così tanto.

E mi viene una risposta non tanto simpatica. Però siccome mi è venuta, e siccome ci ho girato attorno tutta la settimana, decido di dirla.

La scrittura è probabilmente il mezzo di produzione artistica più economico. Bastano carta e penna, basta un computer che oggi ce l’hanno tutti. Basta avere tempo. Non servono tanti soldi. La scultura è decisamente più onerosa, per non parlare del cinema; e così via.

La scrittura, poi, è probabilmente anche il mezzo di produzione artistica più ibrido. Non si scrive solo per fare produzione artistica; si scrive per centomila altre ragioni. Io stesso, qui, mentre scrivo questo articolo – che spero venga bene perché mi sono preso tardi e lo sto facendo di corsa, non ho tanto tempo per pensare a quello che dico – non ho certo in mente di fare dell’arte. Sto scrivendo un articolo. E stamattina ho scritte altre cose, avendo in mente di tutto fuorché di fare dell’arte.

Difronte ai miei amici pittori, io devo confessare: non riesco a immaginare che cosa passi loro per la testa. L’altra sera ho visto un film nel quale ho avuta una particina (Primo amore di Matteo Garrone; con Michela Cescon e Vitaliano Trevisan protagonisti; molto bello, secondo me) e mi sono reso conto che, anche se sono stato un po’ sul set, anche se ho visto un po’ (un po’) lavorare gli sceneggiatori nei mesi prececenti (gli stessi Garrone e Trevisan, più Massimo Gaudioso), comunque non sono in grado di immaginare che cosa passi per la testa del regista. Quando giravamo le due brevi scene in cui ci sono anch’io, vedevo il regista andare di qua e di là, aprire e chiudere porte, muovere la macchina; e non capivo che cosa succedeva. Il risultato visivo di quelle due scene, visto al cinema, non c’entra niente con ciò che io avevo visto sul set mentre provavamo e riprovavamo.

Invece, mi rendo conto che questa sensazione di non riuscire a immaginare, ben pochi ce l’hanno nei confronti della scrittura. Ogni volta che, iniziando un laboratorio di narrazione, faccio ai partecipanti quelle due o tre domande che servono a conoscersi, a dire perché si è lì e che cosa ci si aspetta, mi rendo conto che quasi nessuno pensa al narrare e allo scrivere come ad attività misteriose. No: per quasi tutti il narrare e lo scrivere sono cose ben chiare; e a me, conduttore del laboratorio, si chiede solo di insegnare un po’ di «trucchi del mestiere». Dicono così: «trucchi del mestiere».

E allora azzardo una doppia risposta, magari un po’ paradossale.

I cosiddetti scrittori difendono la specificità del loro mezzo di produzione artistica, sostanzialmente indistinguibile dalla scrittura che comunemente tanti usano, ammantandolo di mistero. Hanno bisogno di dire che la loro scrittura è un’altra cosa, è sempre un’altra cosa; perché devono distinguerla dalla scrittura di tutti.

E i lettori, da parte, loro, cadono nell’inganno simmetrico: di identificare troppo immediatamente la scrittura come mezzo di produzione artistica con la scrittura che più o meno tutti, per un verso o per l’altro, per uno scopo o per un altro, pratichiamo. E quindi non vedono le differenze per eccesso di sbrigatività.

Ma mi viene il dubbio di avere scritte delle fesserie. Perciò invito chi sia arrivato a leggere fin qui, a scrivermi che cosa ne pensa. [C’è lo spazio dei commenti…] Buona settimana.

3 pensieri riguardo “100 lezioni di scrittura creativa / 53 (dove si spiega che la scrittura è un’arte che costa poco)

  1. Non mi sembrano fesserie. Appunto essendo la scrittura una pratica quotidiana, appresa a scuola, e prolungamento dei racconti che tutti ascoltiamo e facciamo, è facile confonderla con la scrittura tecnica. Ma leggendo il post precedente, ho visto che la domanda in quel contesto assume un significato diverso. E in quello la differenza credo si trovi nell’asimmetria dell’esperienza. A tutti capita di fingere, sia per convenzione sociale, e sia anche nei rapporti personali, anche i più profondi. E ci sono anche occasioni nelle quali prima di dire qualcosa a qualcuno cerchiamo di predisporre il discorso al fine di suscitare certe impressioni. Eppure nel momento in cui ci mettiamo a leggere, se non siamo appunto anche scrittori, ci mettiamo nella posizione in cui ci si affida all’altro. E poco importa se in fondo uno lo sa che la cosa detta è finta. Meglio crederla vera. Ora non penso che lo scrittore debba essere autentico, quando appunto è importante che risulti autentico. Nello scrivere di ciò che si prova ad essere umani la forza della scrittura conta più di quanto effettivamente provi chi scrive. Più grave è fingere nella vita, a meno di riuscire a fingere fino alla fine.

  2. Tutti scriviamo: mail, lettere, sms, chat, whatsapp… Si impara in prima elementare a farlo. È normale ritenere che sia una cosa semplice, alla portata di tutti. Non lo è (sto difendendo il sacro mistero della scrittura); scrivere narrativa non è come scrivere la lista della spesa, non è come compilare un format su un forum, non è come scrivere un pensiero su una data questione: è un’altra cosa, è un raccontare con una strategia ben chiara in mente (e tanti trucchi del mestiere imparati a fatica). Alcune volte ho il timore (ma perché timore?) che più sembri semplice una data scrittura, più bravo sia lo scrittore nel proprio mestiere.

  3. Però, Salvatore, si può provare a mettere lo stesso impegno nello scrivere la lista della spesa, un format su un forum, un pensiero su una data questione, un romanzo, un testo in versi…

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