di Adriana Ferrarini
partecipante al laboratorio Luoghi dalla distanza
“[…] Dal 2012 la caserma Barzon è vuota; la Cassa Depositi e Prestiti l’ha acquistata dal Comune di Padova. Quindi da otto anni questo complesso, che dall’alto mostra la struttura di un convento, con chiostro e doppio porticato, è in stato di attesa: quale sarà la sua nuova veste? Forse tornerà a legarsi allo Studio, il Bo – in qualche modo per corsi e ricorsi vichiani, mi sembra la cosa più probabile – o forse lo abiteranno dimore di lusso con vista Santo?
Per ora sono quaranta metri di portici da percorrere, che, quando ci passo, mi mettono a disagio. Se è brutto, lì sotto è ancora più opprimente, e nei torridi pomeriggi d’estate, alla luce che si stampa scalcinata sulla parete corrosa, mi viene da pensare al muro abbacinante e perso del quadro di Fattori “In vedetta”, al Deserto dei Tartari di Buzzati, a un certo meridione metafisicamente sconsolato. Mi prende un’inerzia, un senso di vuoto, tanto che passare oltre le volte basse picchiettate di grumi di brune ragnatele, le finestre murate, le porte asimmetriche e di misura diversa, tutte polverose, tutte ottusamente chiuse, mi sembra una fatica smisurata, il cammino di un’esistenza.
Solo guardandolo dall’altro lato, con la fiancata del Santo e il suo chiostro di ortensie e cedri alle spalle, colgo la bellezza, per quanto dimessa e curiosamente asimmetrica, di questo fabbricato, del suo ampio loggiato superiore che conserva il ricordo dei cassettoni lignei e di una fascia affrescata […]”.
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