Leggendo Philip Roth/ Le cose scritte hanno conseguenze vere

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Simone Salomoni, docente della Bottega di narrazione - Scuola di scrittura creativadi Simone Salomoni
docente della Bottega di narrazione

In Zuckerman scatenato Roth prosegue la riflessione cominciata ne Lo scrittore fantasma sulle responsabilità della scrittura, sulle conseguenze che l’arte – intesa come scelta di vita assoluta e totalizzante – ha nella vita di chi, avendolo scelto o meno – avendolo scelto o meno – inciampa nella vita di chi ha (con)fuso vita e arte.

Nell’ultima parte del libro assistiamo a un lungo dialogo fra i fratelli Zuckerman, Nathan – lo scrittore di successo che con il suo libro ha spogliato (taglio un po’ con l’accetta) sé stesso, la sua famiglia e gli ebrei americani – e Henry il figlio obbediente che ha fatto prevalere la volontà dei genitori sulle sue proprie aspirazioni. Il dialogo segue il funerale del dottor Zuckerman, il padre di Nathan e Henry che prima di entrare in coma, come ultimo atto cosciente della propria esistenza terrena, ha guardato il figlio scrittore e gli ha detto: bastardo – cioè: lo ha disconosciuto come figlio. Nel corso di questo dialogo Henry dice al fratello:

“Tu non mi credi, eh? Non puoi credere che le cose che scrivi sulla gente abbiano delle conseguenze vere. Per te anche questo, forse, è divertente: i tuoi lettori moriranno dal ridere, quando lo sapranno! Ma papà non è morto dal ridere. È morto disperato. In preda alla più atroce delusione. Una cosa – che Dio ti maledica – è affidare i tuoi istinti alla tua immaginazione; un’altra, Nathan, è affidargli la tua famiglia!”

Sembra quasi che Roth, con questo romanzo, si chieda e inviti il lettore a chiedersi: esiste un limite? Cosa possiamo e cosa non possiamo dire in un romanzo? Fino a che punto possiamo coinvolgere le vite di altri nelle nostre immaginazioni?

Forse sbaglio, ma è come se Roth mettesse in scena il limite che egli stesso ha oltrepassato per assumersi di fronte al lettore le responsabilità delle scelte che egli ha fatto in nome di un ideale per lui superiore alla sua stessa vita: l’arte. Forse sbaglio, ma ho l’impressione che Roth si serva di Zuckerman per accettare le conseguenze delle sue stesse immaginazioni:

“Non sei più il figlio di tuo padre, non sei più il marito di una brava donna, non sei più il fratello di tuo fratello, e non vieni più da nessun posto.”

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