di Giorgia Tribuiani
docente della Bottega di narrazione
Tra i docenti ospiti del corso di scrittura creativa A partire dal fumetto, che condurrò con l’obiettivo di mostrare cosa la nona arte possa insegnare a chi scrive narrativa, sarà presente lo scrittore e sceneggiatore di fumetti Marco Rincione, co-autore della raccolta Paperi, realizzata insieme al fratello Giulio, e sceneggiatore di #Like4like, Vite di carta, Il Canto delle onde e L’ultimo tramonto, tutti editi da Shockdom.
Andiamo a conoscere un po’ meglio Marco, che per A partire dal fumetto terrà una lezione dedicata al silenzio.
Come sei diventato sceneggiatore di fumetti?
Ho sempre desiderato scrivere e, per quanto riesco a ricordare, ho sempre scritto qualcosa, in un modo o nell’altro. Ma non era solo la scrittura in sé ad appassionarmi, quanto la narrazione: ho sempre avuto il desiderio di raccontare, di inventare possibilità che non esistono hic et nunc nella realtà. Per questo motivo, quando ho avuto l’occasione di scrivere fumetti piuttosto che prosa, non mi sono tirato indietro. Ho esplorato questo mezzo narrativo insieme a mio fratello Giulio, finché non sono riuscito a maneggiare con piena consapevolezza i ferri del mestiere.
Quali sono i testi – didattici e narrativi – che consideri dei capisaldi della tua formazione?
Per scrivere bisogna leggere, e per scrivere bene bisogna leggere ciò che ci piace leggere, e anche ciò che non ci piace affatto. Per quanto riguarda i fumetti, sono cresciuto soprattutto con le storie italiane: Dylan Dog, Martin Mystère, Diabolik, Lupo Alberto e Cattivik. Anche Topolino, ma non troppo. Ho iniziato a leggere prosa in un secondo momento, con Stephen King. E da allora ho sempre desiderato scrivere horror, con un piccolo problema: a quanto pare, non è il mio settore.
Dal punto di vista didattico, devo molto a due testi di filosofia del linguaggio: il libro Gamma della Metafisica di Aristotele e il Tractatus Logico-philosophicus di Wittgenstein.

In che modo lavorare alle sceneggiature di fumetti ha arricchito le tue capacità di narratore?
Il fumetto mi ha permesso di vedere oltre la verbalità (le sole parole, parole su parole), per poi scoprire che la verbalità stessa si cela in tutte le forme di comunicazione di cui l’uomo dispone.
Ho studiato e mi sono specializzato sulla filosofia del linguaggio (in particolare quella greca antica), e la lezione più significativa che ho imparato è: non possiamo uscire dalle parole. Siamo immersi in esse, sono la nostra prigione, ma sono anche l’unico motivo per cui l’essere umano può dirsi un animale libero.
Come mai per la tua lezione hai scelto di parlare del “silenzio”?
Se partiamo dal presupposto che “non possiamo uscire dalle parole”, il silenzio diventa un enigma. Un enigma già filosofico: Cosa è il silenzio? Come si può definire il silenzio? Esiste solo il silenzio acustico? Il silenzio è soprattutto un enigma narrativo: si può raccontare in silenzio?
Ecco, forse il fumetto ce la fa. E forse anche le parole possono dipingere il silenzio.