di Giulio Mozzi, direttore della Bottega di narrazione
Il bando del Laboratorio annuale di narrazione dice che ci si candida “presentando un progetto di narrazione redatto in qualunque forma si voglia (soggetto, scaletta, stesura parziale, prima stesura ecc.) e corredato di qualunque informazione la candidata o il candidato ritengano utile (curriculum, autopresentazione, tesi di laurea, opere collaterali o già pubblicate, ecc.)”.
Queste indicazioni suscitano sempre molte domande. Cerco di mettere in fila un po’ di risposte alle domande più frequenti
1. Il lavoro nel Laboratorio prevede sostanzialmente due fasi: una prima fase nella quale al centro c’è l’invenzione della storia, una seconda fase nella quale al centro c’è la scrittura. In realtà le due fasi, logicamente distinte, nella pratica spesso si mischiano e avvengono in contemporanea (in certi casi, per esempio nella scrittura di racconti, sono indistinguibili). Ecco: scrittura e storia, storia e scrittura. Non mandateci tre pagine in cui spiegate in lungo e in largo l’importanza e l’attualità dei “temi” del vostro progetto di narrazione. Raccontateci la storia, l’idea di storia; e fateci sentire la vostra scrittura.
2. Una storia non si inventa dal nulla: e tutto ciò che si chiede, a chi si candida al Laboratorio, è avere un’immaginazione sulla quale si possa lavorare. Che poi ci siano pagine già scritte, scalette, soggetti eccetera, è secondario. Si parte dall’immaginazione. Ricordate cosa scrisse Umberto Eco nelle Postille al Nome della rosa, parlando della sua immaginazione originaria? Scrisse: “Avevo voglia di avvelenare un monaco”. Ecco, questo è un buon punto di partenza. Soprattutto se si pensa a un certo uso del verbo “avvelenare”, nell’espressione: “avvelenare i pozzi della verità”. Ecco: Il nome della rosa è un romanzo nel quale sì, viene avvelenato un monaco, ma soprattutto si racconta di avvelenamento dei pozzi della verità.
3. La trama è, di una narrazione, la parte più meccanica. Sulla trama è facile ragionare, è facile smontarla e rimontarla, cambiare forma e senso alle parti che la compongno, introdurre elementi nuovi, potare i rami secchi, e così via. Non per nulla gli sceneggiatori del cinema lavorano spesso in coppia, talvolta in gruppi. Quindi non è fondamentale candidarsi alla Bottega di narrazione con un progetto di trama (una sinossi, un soggetto, una scaletta…) perfettamente definito. Sulla trama si lavora, lavora, lavora.
4. Quasi tutti noi, quando abbiamo cominciato a scrivere, abbiamo vissuto e sofferto la solitudine. Entrare nel Laboratorio annuale della Bottega di narrazione significa entrare in una piccola comunità – nella quale si discute, ci si legge vicendevolmente, ci si pongono domande, si cercano risposte, si fanno tentativi, si incoraggia e si viene incoraggiati, si critica e si viene criticati. Soprattutto, una piccola comunità nella quale tutti hano fatto un investimento (di denaro, di tempo) e vogliono farlo fruttare. Ecco, questa cosa è importante ricordare: che il primo gesto creativo è la determinazione.
5. In molti ci scrivono: “Non ho una preparazione letteraria, non ho studiato lettere all’università”, e così via. Vale la pena di ricordare che – scelgo a caso – Carlo Emilio Gadda era un ingegnere, Primo Levi un chimico, e così via; al nostro tempo, Paolo Giordano è un fisico, Chiara Valerio è laureata in matematica, e così via. Io non ho fatto un percorso universitario, buona parte della mia formazione alla scrittura è avvenuta in un ufficio stampa sindacale. Quello che conta è l’immaginario: avere delle visioni nella mente; e avere un modo di pensare, non so come dire, sistemico: cioè pensare che in un oggetto, per esempio un romanzo, tutto deve tenersi, ogni sillaba deve avere una relazione precisa con l’insieme, e l’insieme con ogni sillaba.
6. Altri ci scrivono per domandarci come dev’essere scritta la “sinossi” del loro progetto narrativo. La risposta più sensata è: scrivetela come vi viene. Immaginate di aver visto un film, e di raccontarlo a un amico. Tutto qui. Ci sono persone che si sono candidate al Laboratorio annuale della Bottega, e sono state ammesse, avendo inviato un’email di dieci righe. Ecco: magari provate a scrivere un po’ di più, a spiegare un po’ di più, ma se un’immaginazione è forte è vera – c’è poco da fare, anche dieci righe possono bastare.
7. Dite qualcosa di voi. Dite qualcosa che sia pertinente. Raccontate il vostro percorso formativo. Come siete arrivati a desiderare di scrivere dei racconti, un romanzo, un poema in ottave – qualunque cosa sia ciò che desiderate scrivere. Raccontate anche dei tentativi falliti, se ce ne sono. Se il romanzo che volete scrivere è solo un’idea, al momento, ma avete scritto qualcos’altro, mandateci quel qalcos’altro: potrà aiutarci a farci un’idea di voi.
8. Se avete già scritto un po’ di pagine, magari un bel po’ di pagine, non diteci: “Ho scritto già tre, quattro, sette capitoli ma mi fanno schifo, perciò non ve li mando”. Mandàteli, invece. Siamo allenatissimi a leggere materiali ancora informi, errori di percorso, tentativi non riusciti: è il nostro pane quotidiano. E sappiamo anche noi che spesso la via giusta si trova non al primo colpo né al sesto, ma magari a tredicesimo. Anche noi abbiamo i cassetti pieni di tentativi falliti, di prime stesure orribili.
9. Avete sentito dire che “a scrivere non si insegna”. Ma tutti noi, tuti noi che insegnamo nella Bottega di narrazione, potremmo raccontarvi per filo e per segno dove e quando e come (spesso un processo abbastanza lungo) abbiamo imparato a scrivere. Ora: se si può imparare, si potrà anche insegnare.
10. Avete sentito dire anche che la vera scuola di scrittura è la lettura. Senza dubbio. Infatti vi faremo leggere come dei matti, vi proporremo nuove letture a ogni piè sospinto; e saranno spesso letture non canoniche, letture devianti, letture innovative. Ma vi diciamo anche: non fatevi sommergere dalla paura. È vero che tantissimi hanno preso la parola prima di voi. Ma questa non è, non può essere, una buona ragione per rinunciare alla propria parola.
Un testo fondamentale nel mio percorso di lettore/scrittore è la poesia di Antonio Porta Europa cavalca un toro nero. La cui prima strofa dice:
Attento abitante del pianeta,
guardati! dalle parole dei Grandi
frana di menzogne, lassù
balbettano, insegnano il vuoto.
La privata, unica, voce
metti in salvo: domani sottratta
ti sarà, come a molti, oramai,
e lamento risuona il giuoco dei bicchieri.
“La privata, unica, voce / metti in salvo”. Questo io ho cercato di fare scrivendo, questo – credo – è ciò che tutti cercano di fare.
Buongiorno,mi piacerebbe candidarmi vostro laboratorio..mando un mio scritto pubblicato su : IO DONNA del CORRIERE DELLA SERA del 29 / 5 /21..che ho scritto in risposta di partecipazione a un bellissimo servizio sulla Donna anni 70.Grazie
Il Sab 29 Mag 2021, 22:04 Bottega di narrazione – Corsi e laboratori di