di Giulio Mozzi, direttore della Bottega di narrazione
Hyppolite Taine, critico e storico francese della letteratura, nella sua Storia della letteratura inglese (Histoire de la littérature anglaise, t. III, pp. 265-266, Hachette 1863-63: questa l’edizione che ho potuto consultare grazie a Google Books) introduce Daniel Defoe (l’autore di Robinson Crusoe, Moll Flanders, Lady Roxana e tante altre opere) con questa pagina:
«La sua immaginazione è quella d’un uomo d’affari e non di un artista, tutta piena com’è e quasi stipata di fatti. Li dice così come gli vengono, senza ordine né stile, come uno che parli a braccio, senza darsi la pena di produrre un certo effetto o di governare il periodo, con le parole dei mestieri e i giri di frase più grevi, tornando se càpita sui propri passi, ripetendo due o tre volte la stessa cosa, senza avere mai l’aria anche solo di sospettare che ci siano dei mezzi per divertire, per emozionare, per coinvolgere o per piacere, senza avere altro desiderio che quello di scaricare sulla carta il troppo pieno di informazioni di cui si è dotato. Anche quando scrive finzione, le sue informazioni sono tanto meticolose quanto quelle dei libri di storia. Fornisce le date, l’anno, il mese, il giorno; segna il vento, nord-est, sud-ovest, nord nord-ovest; scrive un diario di viaggio, dei cataloghi di mercanzie, dei conteggi da avvocato e da mercante, il numero dei moïdori (una moneta portoghese), gli interessi, i pagamenti in contanti, in natura, il prezzo di costo, il prezzo di vendita, le rendite dovute al re, ai conventi, ai soci in affari e ai fattori, la liquidità totale, la statistica, la geografia e l’idrografia dell’isola, al punto che il lettore è tentato di prendere un atlante e di disegnarsi da sé una piccola planimetria dei luoghi, per entrare in tutti i dettagli della storia e vedere gli oggetti netti e tutt’interi come li vede l’autore. Il quale sembra aver fatto esperienza di tutti i mestieri del suo Robinson, tanto li descrive con esattezza, con i numeri, le quantità, le dimensioni, come un falegname, un vasaio o un marinaio specializzato. Non si era mai visto un tale sentimento del reale, e non lo si è visto mai più.» (*)
Ecco. Adesso sapete che cos’è un romanzo.
— Mozzi, permette?
— Prego.
— Il suo discorso sarà buono, suppongo, per un certo realismo soprattutto ottocentesco; ma, se permette, dal modernismo in poi…
— Dal modernismo in poi?
— Eh: l’arte, le piaccia o non le piaccia, si è fatta più astratta, più mentale, più… immateriale. I personaggi di Pirandello, per dirne uno, tanto per non citare Musil e la sua matematica, hanno sempre che fare con cose che non sono “cose”, che non sono “oggetti”: sono pensieri, sono ragionamenti, sono moti interiori…
— Vede che mi dà ragione?
— Ragione? Le sto dando torto.
— Lei s’inganna. Come s’ingannano tutti coloro che non hanno capito che nel romanzo, dal modernismo in poi, non è cambiato molto. Semplicemente, a certi tipi di “cose” si sono sostituiti altri tipi di “cose”. Ma i grandi scrittori, anche quelli che magari – come dice Taine di Defoe, e come tanti hanno detto, tanto per fare un nome, di Italo Svevo, scrivono male -, i grandi romanzieri sono quelli che sono capaci di trattare le “cose mentali” esattamente come Defoe trattava quelle materiali. La coscienza di Zeno, suvvia, non ha un che di contabile, di rendiconto, di procès-verbal, di «fisiologia dello spirito» (tanto per parafrasare Immanuel Kant, che definiva la filosofia di Locke «una sorta di fisiologia dell’intelletto»)? I nostri eroi moderni non trafficano più in grani o coloranti, ma con lo stesso pragmatismo (o: manifestando il fallimento del pragmatismo) borghese trafficano in angosce, in senso della vita, in coscienza di sé.
— Non mi convince.
— E io non so come fare a convincere lei: uno uomo che guarda una testuggine e dice «Oh che bell’anatra!», come si fa a convincerlo che sta guardando una testuggine e non un’anatra? Ciò che è evidente non può essere spiegato, può essere solo indicato. Guardi. Guardi cosa indico.
— Sta indicando me.
— Appunto.
— E dunque?
— E dunque, nel romanzo moderno anche lei, caro mio, e anch’io, caro lei – poiché non voglio tirarmi fuori dal discorso – è diventato una “cosa”; ed è diventato un oggetto da descrivere e raccontare con la stessa acribia realista che Taine riconosceva (e in parte rimproverava; ma in questa parte aveva torto) a Defoe. Ha presente Uno, nessuno e centomila?
— Come no! Me l’hanno fatto leggere al liceo.
— E poi non l’ha più riletto. Male, malissimo. Si ricorda qual è l’evento che mette in crisi, proprio all’inizio, il Vitangelo Moscarda?
— Il naso, no? Si guarda allo specchio e si accorge di avere il naso storto.
— Appunto: si guarda allo specchio; e nel guardarsi allo specchio scopre di essere non come ha sempre pensato di essere, non come si è sempre sentito di essere, bensì di essere una “cosa” con il naso storto. La modernità è questo (tra le altre cose): che le cose spirituali sono diventate “cose”.
— E la postmodernità?
— Che quelle “cose” sono diventate merci; o, più esattamente, si sono rivelate a tutti come tali. Oggi Vitangelo Moscarda si rivolgerebbe a un chirurgo estetico. Comprerebbe una modifica del suo naso, ovvero: comprerebbe una modifica della propria identità. Ecco: questo è qualcosa che Defoe saprebbe raccontare bene, secondo me. L’instancabile lavorio di Robinson per creare attorno a sé un ambiente confortevole non è altro che un instancabile lavorio di Robinson per salvaguardare la propria identità (di cittadino inglese ec.).
[Potrebbe continuare…]
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(*) La traduzione è mia. «Son imagination est celle d’un homme d’affaires et non d’un artiste, toute remplie et comme bourrée de faits. Il les dit comme ils lui viennent, sans arrangement ni style, en manière de conversation, sans songer à faire un effet ou à combiner une phrase, avec le mots de métier et le tournures vulgaires, revenant au besoin sur ses pas, répétant deux et trois fois la même chose, n’ayant pas l’air de soupçonner qu’il y a des moyens d’amuser, de toucher, d’entraîner ou de plaire, n’ayant d’autre envie che de décharger sur le papier le trop-plein des renseignements dont il s’est muni. Même en fait de fiction, ses renseignements sont aussi précis qu’en fait d’histoire. Il donne les dates, l’année, le mois, le jour; il marque le vent, nord-est, sud-ouest, nord nord-ouest; il écrit un giornale de voyage, des catalogues de marchandises, des comptes d’avoué et de marchand, le nombre des moïdores (monnaie portugaise), les intérêts, le payements en espéces, en nature, le prix de revient, le prix de vente, la part du roi, des couvents, des associés et de facteurs, le total liquide, la statistique, la géographie et l’hydrographie de l’île, tellement que le lecteur est tenté de prendre un atlas et de dessiner lui-même une petite carte de l’endroit, pour entrer dans tous les détails de l’histoire et voir les objets aussi nettement et pleinement que l’auteur. Il semble que celui-ci ait fait tous le travoux de son Robinson, tant il les décrit exactement, avec le nombres, les quantités, les dimensions, comme un charpentier, un potier ou un matelot émerite. On n’a jamais vu un tel sentiment du réel, et on ne l’ha point revu.» Ho scoperto questa pagina di Taine grazie a una noterella in Facebook di Stefano Brugnolo.
