di Giulio Mozzi
[Diversi anni fa Gianni Bonina mi chiese di compilare per la rivista Stilos una rubrica che fosse qualcosa come “un corso di scrittura creativa a puntate”. Scrissi 100 puntate. Se le volete tutte in un colpo, le trovate qui. Rielaborate e aggiustate, le 100 puntate sono diventate anche un libro, pubblicato da Terre di mezzo: (non) un corso di scrittura e narrazione. Da oggi le ripubblicherò qui, una al giorno (salvo inconvenienti e incidenti); e cercherò di rispondere a eventuali domande, obiezioni, dubbi eccetera. Occasionalmente inserirò negli articoli, come approfondimento, qualcuna delle mie videolezioni].
[Questo scrivevo più di dieci anni fa. Oggi le cose vanno diversamente. Ma è interessante notare come alcune cose siano cambiate nel tempo].
1. Il dattiloscritto deve essere leggibile. Sembra un consiglio stupido per eccesso di ovvietà; ma non è così. Ricevo parecchi dattiloscritti quasi illeggibili. La leggibilità è assicurata da: corpo del carattere non troppo grande e non troppo piccolo (l’ideale è l’11 o il 12); carattere non troppo semplice e non troppo elaborato (Garamond e Times sono l’ideale; Arial, Helvetica e simili sono più faticosi da leggere; assolutamente da evitare i caratteri più complicati, in particolare quelli che imitano il corsivo); foglio con ampi margini (diciamo 4 centimetri per parte); interlinea normale, non più stretto né più largo di quello che il vostro sistema di scrittura propone come standard; rientro a inizio paragrafo (di 0,25 centimetri, in linea di massima). In particolare, spesso ricevo dattiloscritti con margini minimi, tipo un centimetro e mezzo: la riga di testo risulta così lunga che la lettura è faticosissima. Immaginate: se questo foglio di giornale non fosse impaginato sei colonne, ma fosse tutto un colonnone unico, riuscireste a leggerlo?
[Oggi nelle case editrici circolano quasi esclusivamente documenti digitali; che tutti leggono con tablet o lettori. Quindi è meno importante che il testo sia impaginato bene eccetera. Tuttavia, una cosa che si presenta gradevolmente all’occhio è sempre più gradita di una cosa che si presenta sgradevolmente all’occhio; un testo che devo reimpaginare per riuscire a leggerlo comodamente sul mio lettore digitale mi dà sui nervi ancora prima che ne abbia letta una sola parola…].
2. Sul dattiloscritto scrivete il vostro nome, cognome, indirizzo, numero di telefono, e-mail, tutto quanto. Mi è successo di ricevere dattiloscritti senza i dati dell’autore.
[Oggi molti mandano un’email con il loro lavoro in allegato; e mettono tutte le informazioni di contatto solo nell’email, e non nella prima pagina del loro lavoro. Meglio metterle anche lì, invece].
3. Mandate il dattiloscritto intero. Non mandate due capitoli scrivendo: «Se vi sembrerà interessante, chiedetemi pure i successivi: sarò felice di mandarveli»). Non esiste. Non mandate una lettera con una “scheda” del vostro romanzo: mandate il romanzo.
[Anche perché, adesso che girano quasi solo documenti digitali, non dovete spendere nulla].
4. Se mandate il vostro dattiloscritto a una casa editrice, cioè a un’azienda, mandatelo pure senza preavviso. Se lo mandate a una persona privata (ad esempio a me) e avete la possibilità di chiedere permesso (per telefono, via posta elettronica) fàtelo: è una gentilezza.
[Questo, per me, non vale più. Ormai leggere è il mio mestiere].
5. Non mandate un file via posta elettronica, a meno che vi sia esplicitamente richiesto. Già mi sobbarco l’onere di leggervi, perché mai dovrei mettere io i soldi dell’inchiostro e della stampa? (Nonché il tempo per stampare).
[Questo appunto non vale più, nell’epoca dei tablet e dei lettori digitali. Piuttosto, evitate di mandare file Pdf: per alcuni lettori digitali sono poco gestibili].
6. Mandate un dattiloscritto rilegato con la spirale di plastica, cioè con una rilegatura che possa essere facilmente disfata. In questo modo, se l’editore vorrà fotocopiarlo (per passarlo a più lettori, ad esempio), gli basterà sfilare la spirale e passare tutto nella copiatrice automatica. Se rilegate con graffe, colla, spirali di metallo ecc., l’editore dovrà far fotocopiare il libro pagina per pagina (in alternativa, sfascerà il vostro bell’oggetto rilegato).
[Vedi sopra].
7. Non mandate dattiloscritti «per ricevere un giudizio». Se io comincio a leggere un testo, e a pagina 10 mi rendo conto che chi l’ha scritto non sa nemmeno dove sta di casa l’italiano, è chiaro che interrompo la lettura (magari sfogliacchio un po’, tanto per essere sicuro). A quel punto io so che quel testo non è leggibile; ma non posso emettere un «giudizio». Io sono pagato (dall’editore) per scegliere libri da pubblicare: non per fare il critico letterario su tutto ciò che mi arriva in casa. Oltretutto, il giudizio è quasi sempre negativo (statistica: su mille dattiloscritti, non più di cento sono leggibili; non più di dieci sono davvero interessanti; uno o due sono pubblicabili). E nessun editore (nemmeno io) ha voglia di spendere tempo su un testo, nel momento in cui ha deciso che quel testo non è almeno davvero interessante. Io inizialmente cedevo: dicevo alla persona che cosa effettivamente pensavo di ciò che avevo letto. Quindi mi toccava dire: «Guardi, il suo romanzo mi è sembrato bruttissimo. È evidente che lei non ha la minima idea di che cosa sia la lingua italiana», eccetera. In cambio ricevevo insulti. Vale la pena di conversare un po’ con l’autore, ed eventualmente di avviare un rapporto continuativo, se il testo, alla prova della lettura, sembra avere più potenzialità che risultati. Ma sono, al solito, assai pochi casi.
8. È bene se unite al dattiloscritto una lettera di autopresentazione. Dite chi siete, di che campate, se avete figli, cose così. Se avete vinto premi letterari per racconti e romanzi inediti, non scrivetelo. Se il vostro professore d’italiano del liceo diceva che scrivevate benissimo, non scrivetelo. Se siete laureati, non fatevi fare una lettera di raccomandazione dal professore con cui avete fatta la tesi. Se avete pubblicato un libro a vostre spese, allegàtelo al dattiloscritto; ma non allegate gli articoli che sono usciti sui giornali locali. In somma, ricordàtevi di questo: il lettore professionista che legge la vostra opera, è interessato solo alla vostra opera.
[Magari, mettete la lettera di autopresentazione dentro al documento che contiene la vostra opera, subito dopo la pagina del titolo. Così resta tutto insieme].
9. Scegliete bene la casa editrice alla quale mandare il dattiloscritto. Andate in libreria, guardate che cosa pubblica l’editore Tale e che cos’altro pubblica l’editore Talaltro, e fate la vostra scelta. Mi ricordo di un tizio, di professione geometra, che aveva mandati i suoi romanzi agli editori Pirola e Maggioli. Pirola e Maggioli fanno libri di argomento legale, fiscale, economico, edile: non certo romanzi. Ma lui, il geometra, conosceva solo Pirola e Maggioli. Sia Mondadori sia Einaudi o Garzanti o Guanda fanno narrativa, ma non esattamente lo stesso tipo di narrativa. Se scrivete poesie, non mandatele a me: lavoro per un editore che fa solo prosa. E così via. Bene. Questo è tutto. Alla prossima. Arrivederci.
L’ha ribloggato su Flavio Firmo's Blog.