Don Rodrigo insegna la pietà a fra Cristoforo (istruzioni per leggere i “Promessi sposi”, 2)

Scrittura creativa

di Giulio Mozzi

Fra Cristoforo è forse un uomo perfettamente buono? No, tutt’altro; e non solo perché in gioventù ha ammazzato un uomo; ma perché gli tocca buscare lezioni di pietà perfino da don Rodrigo.

Riassumiamo: il centro ideologico (diciamo così) del personaggio di fra Cristoforo è il perdono. Quando portava ancora il nome di Lodovico ed era il giovane figlio d’un mercante, così ricco da aver “contratte abitudini signorili”, per una bega futilissima – una questione di precedenza – aveva ammazzato un uomo; s’era rifugiato in una chiesa di cappuccini (“asilo, come ognun sa, impenetrabile allora a’ birri, e a tutto quel complesso di cose e di persone, che si chiamava la giustizia”) a chieder protezione; n’era uscito, tempo dopo, solo per gettarsi ai piedi dei familiari dell’ammazzato, ovviamente ansiosi di vendetta; e aveva fatto loro una tale impressione, da ritrovarsi imprevedibilmente perdonato (la storia è raccontata nel cap. iv).

Quindi fra Cristoforo sa a che cosa serve il perdono: a salvare delle vite (ma c’è un altro dettaglio, che non è un dettaglio ma la cosa principale; e lo vedremo alla fine).

Ora: Cristoforo va, nel capitolo vi, a trovare don Rodrigo; spera di convincerlo a rinunciare, per opportunità se non per bontà, alle sue frenesie su Lucia; fa un po’ d’anticamera, assiste a un pranzo e a una disputa sulle regole di cavalleria; infine viene invitato da Rodrigo a far due chiacchiere in una saletta a parte. Espone la questione, Cristoforo, girandoci intorno; senza fare nomi né cognomi; lasciando intendere assai più che dicendo esplicitamente. Com’è ovvio, Rodrigo capisce benissimo; e decide di rispondere con la maggiore delle insolenze. Leggiamo, e mandate a mente le parole in neretto:

– Ebbene, – disse don Rodrigo, – giacché lei crede ch’io possa far molto per questa persona; giacché questa persona le sta tanto a cuore…
– Ebbene? – riprese ansiosamente il padre Cristoforo, al quale l’atto e il contegno di don Rodrigo non permettevano d’abbandonarsi alla speranza che parevano annunziare quelle parole.
– Ebbene, la consigli di venire a mettersi sotto la mia protezione. Non le mancherà più nulla, e nessuno ardirà d’inquietarla, o ch’io non son cavaliere.
A siffatta proposta, l’indegnazione del frate, rattenuta a stento fin allora, traboccò. Tutti que’ bei proponimenti di prudenza e di pazienza andarono in fumo: l’uomo vecchio si trovò d’accordo col nuovo; e, in que’ casi, fra Cristoforo valeva veramente per due.
– La vostra protezione! – esclamò, dando indietro due passi, postandosi fieramente sul piede destro, mettendo la destra sull’anca, alzando la sinistra con l’indice teso verso don Rodrigo, e piantandogli in faccia due occhi infiammati: – la vostra protezione! È meglio che abbiate parlato così, che abbiate fatta a me una tale proposta. Avete colmata la misura; e non vi temo più.
– Come parli, frate?…
– Parlo come si parla a chi è abbandonato da Dio, e non può più far paura. La vostra protezione! Sapevo bene che quella innocente è sotto la protezione di Dio; ma voi, voi me lo fate sentire ora, con tanta certezza, che non ho più bisogno di riguardi a parlarvene. Lucia, dico: vedete come io pronunzio questo nome con la fronte alta, e con gli occhi immobili.
– Come! in questa casa…!
– Ho compassione di questa casa: la maledizione le sta sopra sospesa. State a vedere che la giustizia di Dio avrà riguardo a quattro pietre, e suggezione di quattro sgherri. Voi avete creduto che Dio abbia fatta una creatura a sua immagine, per darvi il piacere di tormentarla! Voi avete creduto che Dio non saprebbe difenderla! Voi avete disprezzato il suo avviso! Vi siete giudicato. Il cuore di Faraone era indurito quanto il vostro; e Dio ha saputo spezzarlo. Lucia è sicura da voi: ve lo dico io povero frate; e in quanto a voi, sentite bene quel ch’io vi prometto. Verrà un giorno…
Don Rodrigo era fin allora rimasto tra la rabbia e la maraviglia, attonito, non trovando parole; ma, quando sentì intonare una predizione, s’aggiunse alla rabbia un lontano e misterioso spavento.
Afferrò rapidamente per aria quella mano minacciosa, e, alzando la voce, per troncar quella dell’infausto profeta, gridò: – escimi di tra’ piedi, villano temerario, poltrone incappucciato.
Queste parole così chiare acquietarono in un momento il padre Cristoforo. All’idea di strapazzo e di villania, era, nella sua mente, così bene, e da tanto tempo, associata l’idea di sofferenza e di silenzio, che, a quel complimento, gli cadde ogni spirito d’ira e d’entusiasmo, e non gli restò altra risoluzione che quella d’udir tranquillamente ciò che a don Rodrigo piacesse d’aggiungere. Onde, ritirata placidamente la mano dagli artigli del gentiluomo, abbassò il capo, e rimase immobile, come, al cader del vento, nel forte della burrasca, un albero agitato ricompone naturalmente i suoi rami, e riceve la grandine come il ciel la manda.
– Villano rincivilito! – proseguì don Rodrigo: – tu tratti da par tuo. Ma ringrazia il saio che ti copre codeste spalle di mascalzone, e ti salva dalle carezze che si fanno a’ tuoi pari, per insegnar loro a parlare. Esci con le tue gambe, per questa volta; e la vedremo. Così dicendo, additò, con impero sprezzante, un uscio in faccia a quello per cui erano entrati; il padre Cristoforo chinò il capo, e se n’andò, lasciando don Rodrigo a misurare, a passi infuriati, il campo di battaglia.

La scena è chiara, no? Ed è pure celebre.



Adesso corriamo avanti di una trentina di capitoli. Siamo nel Lazzaretto (cap. xxxv). Renzo vi è appena entrato, e s’imbatte in fra Cristoforo (che qualche capitolo prima aveva chiesto di esservi mandato a servire). Si ragguagliano reciprocamente; Renzo (che ha avuto la peste, è sopravvissuto, ed è quindi immune) dice d’esser lì in cerca di Lucia; sperando di trovarla almeno viva; e magari, come lui, risanata. “E se non la trovo!…”, dice, lasciando a metà la frase.

– Se non la trovi? – disse il frate, con un’aria di serietà e d’aspettativa, e con uno sguardo che ammoniva.
Ma Renzo, a cui la rabbia riaccesa dall’idea di quel dubbio aveva fatto perdere il lume degli occhi, ripeté e seguitò: – se non la trovo, vedrò di trovare qualchedun altro. O in Milano, o nel suo scellerato palazzo, o in capo al mondo, o a casa del diavolo, lo troverò quel furfante che ci ha separati; quel birbone che, se non fosse stato lui, Lucia sarebbe mia, da venti mesi; e se eravamo destinati a morire, almeno saremmo morti insieme. Se c’è ancora colui, lo troverò…
– Renzo! – disse il frate, afferrandolo per un braccio, e guardandolo ancor più severamente.
– E se lo trovo, – continuò Renzo, cieco affatto dalla collera, – se la peste non ha già fatto giustizia… Non è più il tempo che un poltrone, co’ suoi bravi d’intorno, possa metter la gente alla disperazione, e ridersene: è venuto un tempo che gli uomini s’incontrino a viso a viso: e… la farò io la giustizia!
– Sciagurato! – gridò il padre Cristoforo, con una voce che aveva ripresa tutta l’antica pienezza e sonorità: – sciagurato! – e la sua testa cadente sul petto s’era sollevata; le gote si colorivano dell’antica vita; e il fuoco degli occhi aveva un non so che di terribile.
– Guarda, sciagurato! – E mentre con una mano stringeva e scoteva forte il braccio di Renzo, girava l’altra davanti a sé, accennando quanto più poteva della dolorosa scena all’intorno. – Guarda chi è Colui che gastiga! Colui che giudica, e non è giudicato! Colui che flagella e che perdona! Ma tu, verme della terra, tu vuoi far giustizia! Tu lo sai, tu, quale sia la giustizia! Va’, sciagurato, vattene! Io, speravo… sì, ho sperato che, prima della mia morte, Dio m’avrebbe data questa consolazione di sentir che la mia povera Lucia fosse viva; forse di vederla, e di sentirmi prometter da lei che rivolgerebbe una preghiera là verso quella fossa dov’io sarò. Va’, tu m’hai levata la mia speranza. Dio non l’ha lasciata in terra per te; e tu, certo, non hai l’ardire di crederti degno che Dio pensi a consolarti. Avrà pensato a lei, perché lei è una di quell’anime a cui son riservate le consolazioni eterne. Va’! non ho più tempo di darti retta.
E così dicendo, rigettò da sé il braccio di Renzo, e si mosse verso una capanna d’infermi.
– Ah padre! – disse Renzo, andandogli dietro in atto supplichevole: – mi vuol mandar via in questa maniera?
– Come! – riprese, con voce non meno severa, il cappuccino. – Ardiresti tu di pretendere ch’io rubassi il tempo a questi afflitti, i quali aspettano ch’io parli loro del perdono di Dio, per ascoltar le tue voci di rabbia, i tuoi proponimenti di vendetta? T’ho ascoltato quando chiedevi consolazione e aiuto; ho lasciata la carità per la carità; ma ora tu hai la tua vendetta in cuore: che vuoi da me? vattene. Ne ho visti morire qui degli offesi che perdonavano; degli offensori che gemevano di non potersi umiliare davanti all’offeso: ho pianto con gli uni e con gli altri; ma con te che ho da fare?
– Ah gli perdono! gli perdono davvero, gli perdono per sempre! – esclamò il giovine.
– Renzo! – disse, con una serietà più tranquilla, il frate: pensaci; e dimmi un poco quante volte gli hai perdonato.
E, stato alquanto senza ricever risposta, tutt’a un tratto abbassò il capo, e, con voce cupa e lenta, riprese: – tu sai perché io porto quest’abito.
Renzo esitava.
– Tu lo sai! – riprese il vecchio.
– Lo so, – rispose Renzo.
– Ho odiato anch’io: io, che t’ho ripreso per un pensiero, per una parola, l’uomo ch’io odiavo cordialmente, che odiavo da gran tempo, io l’ho ucciso.
– Sì, ma un prepotente, uno di quelli…
– Zitto! – interruppe il frate: – credi tu che, se ci fosse una buona ragione, io non l’avrei trovata in trent’anni? Ah! s’io potessi ora metterti in cuore il sentimento che dopo ho avuto sempre, e che ho ancora, per l’uomo ch’io odiavo! S’io potessi! io? ma Dio lo può: Egli lo faccia!… Senti, Renzo: Egli ti vuol più bene di quel che te ne vuoi tu: tu hai potuto macchinar la vendetta; ma Egli ha abbastanza forza e abbastanza misericordia per impedirtela; ti fa una grazia di cui qualchedun altro era troppo indegno. Tu sai, tu l’hai detto tante volte, ch’Egli può fermar la mano d’un prepotente; ma sappi che può anche fermar quella d’un vendicativo. E perché sei povero, perché sei offeso, credi tu ch’Egli non possa difendere contro di te un uomo che ha creato a sua immagine? Credi tu ch’Egli ti lascerebbe fare tutto quello che vuoi? No! ma sai tu cosa puoi fare? Puoi odiare, e perderti; puoi, con un tuo sentimento, allontanar da te ogni benedizione. Perché, in qualunque maniera t’andassero le cose, qualunque fortuna tu avessi, tien per certo che tutto sarà gastigo, finché tu non abbia perdonato in maniera da non poter mai più dire: io gli perdono.
– Sì, sì, – disse Renzo, tutto commosso, e tutto confuso: capisco che non gli avevo mai perdonato davvero; capisco che ho parlato da bestia, e non da cristiano: e ora, con la grazia del Signore, sì, gli perdono proprio di cuore.
– E se tu lo vedessi?
– Pregherei il Signore di dar pazienza a me, e di toccare il cuore a lui.
– Ti ricorderesti che il Signore non ci ha detto di perdonare a’ nostri nemici, ci ha detto d’amarli? Ti ricorderesti ch’Egli lo ha amato a segno di morir per lui?
– Sì, col suo aiuto.
– Ebbene, vieni con me. Hai detto: lo troverò; lo troverai. Vieni, e vedrai con chi tu potevi tener odio, a chi potevi desiderar del male, volergliene fare, sopra che vita tu volevi far da padrone.
E, presa la mano di Renzo, e strettala come avrebbe potuto fare un giovine sano, si mosse. Quello, senza osar di domandar altro, gli andò dietro.
Dopo pochi passi, il frate si fermò vicino all’apertura d’una capanna, fissò gli occhi in viso a Renzo, con un misto di gravità e di tenerezza; e lo condusse dentro.
La prima cosa che si vedeva, nell’entrare, era un infermo seduto sulla paglia nel fondo; un infermo però non aggravato, e che anzi poteva parer vicino alla convalescenza; il quale, visto il padre, tentennò la testa, come accennando di no: il padre abbassò la sua, con un atto di tristezza e di rassegnazione. Renzo intanto, girando, con una curiosità inquieta, lo sguardo sugli altri oggetti, vide tre o quattro infermi, ne distinse uno da una parte sur una materassa, involtato in un lenzolo, con una cappa signorile indosso, a guisa di coperta: lo fissò, riconobbe don Rodrigo, e fece un passo indietro; ma il frate, facendogli di nuovo sentir fortemente la mano con cui lo teneva, lo tirò appiè del covile, e, stesavi sopra l’altra mano, accennava col dito l’uomo che vi giaceva.
Stava l’infelice, immoto; spalancati gli occhi, ma senza sguardo; pallido il viso e sparso di macchie nere; nere ed enfiate le labbra: l’avreste detto il viso d’un cadavere, se una contrazione violenta non avesse reso testimonio d’una vita tenace. Il petto si sollevava di quando in quando, con un respiro affannoso; la destra, fuor della cappa, lo premeva vicino al cuore, con uno stringere adunco delle dita, livide tutte, e sulla punta nere.
– Tu vedi! – disse il frate, con voce bassa e grave. – Può esser gastigo, può esser misericordia. Il sentimento che tu proverai ora per quest’uomo che t’ha offeso, sì; lo stesso sentimento, il Dio, che tu pure hai offeso, avrà per te in quel giorno. Benedicilo, e sei benedetto. Da quattro giorni è qui come tu lo vedi, senza dar segno di sentimento. Forse il Signore è pronto a concedergli un’ora di ravvedimento; ma voleva esserne pregato da te: forse vuole che tu ne lo preghi con quella innocente; forse serba la grazia alla tua sola preghiera, alla preghiera d’un cuore afflitto e rassegnato. Forse la salvezza di quest’uomo e la tua dipende ora da te, da un tuo sentimento di perdono, di compassione… d’amore!
Tacque; e, giunte le mani, chinò il viso sopra di esse, e pregò: Renzo fece lo stesso.
Erano da pochi momenti in quella positura, quando scoccò la campana. Si mossero tutt’e due, come di concerto; e uscirono. Né l’uno fece domande, né l’altro proteste: i loro visi parlavano.
– Va’ ora, – riprese il frate, – va’ preparato, sia a ricevere una grazia, sia a fare un sacrifizio; a lodar Dio, qualunque sia l’esito delle tue ricerche. E qualunque sia, vieni a darmene notizia; noi lo loderemo insieme.
Qui, senza dir altro, si separarono; uno tornò dond’era venuto; l’altro s’avviò alla cappella, che non era lontana più d’un cento passi.

Se avete notato le parole scritte in neretto, non ho più niente da dirvi: se non per pedanteria.

Le due scene sono chiaramente ricalcate l’una sull’altra. Non è detto che il lettore se ne accorga (e, a dire il vero, in nessuna delle quattro edizioni commentate, di cui due per le scuole, che ho sottomano, il commentatore fa notare il parallelismo; nel film di Sandro Bolchi, da cui è tratta la scena sopra, nel secondo episodio manca il gesto del braccio: che è come un segnale per suggerire al lettore/spettatore la somiglianza), tuttavia i segni sono evidenti: il gesto del braccio appunto, i due inviti a togliersi di torno, il richiamo all’uomo come immagine di Dio, il riservare a Dio la giustizia. Fra Cristoforo, nella scena del Lazzaretto, non fa che rivivere lo scontro con don Rodrigo: e mentre castiga Renzo, castiga anche sé stesso: il sé stesso di una volta, quando ancora si chiamava Lodovico ed era un mercante con la vanità d’essere pari ai nobili, ma anche il sé stesso di venti mesi prima, quando difronte a don Rodrigo aveva ceduto all’ira e aveva – lui stesso, come ora Renzo – elargito maledizione anziché benedizione.

In tutto questo, fittissimi sono gli echi biblici. A me piace richiamare, per la somiglianza del tono ironico e per l’estremità della situazione, la risposta del Signore a Giobbe. A Giobbe che gli chiede conto dell’aver subito tante disgrazie pur essendo stato sempre uomo pio e ligio alla legge, il Signore prima elenca la gloria di tutte le proprie opere, e poi conclude beffardamente (Gb, 40, 6-14), dichiarando di volersi mettere a scuola di giustizia presso Giobbe:

Allora il Signore rispose a Giobbe di mezzo al turbine e disse:
Cingiti i fianchi come un prode:
io t’interrogherò e tu mi istruirai.
Oseresti proprio cancellare il mio giudizio
e farmi torto per avere tu ragione?
Hai tu un braccio come quello di Dio
e puoi tuonare con voce pari alla sua?
Ornati pure di maestà e di sublimità,
rivestiti di splendore e di gloria;
diffondi i furori della tua collera,
mira ogni superbo e abbattilo,
mira ogni superbo e umilialo,
schiaccia i malvagi ovunque si trovino;
nascondili nella polvere tutti insieme,
rinchiudili nella polvere tutti insieme,
anch’io ti loderò,
perché hai trionfato con la destra.

Ma avevo detto al principio che c’è un dettaglio che non è un dettaglio. Eccolo ora. Nella rissa in cui Lodovico uccise un uomo, morì anche (poiché allora, quando i padroni litigavano, si gettavano nella mischia anche i servi) un servitore di Lodovico; al quale Lodovico era affezionatissimo. Mentre Lodovico sta nell’infermeria dei cappuccini,

Un padre, il cui impiego particolare era d’assistere i moribondi, e che aveva spesso avuto a render questo servizio sulla strada, fu chiamato subito al luogo del combattimento. Tornato, pochi minuti dopo, entrò nell’infermeria, e, avvicinatosi al letto dove Lodovico giaceva, – consolatevi – gli disse: – almeno è morto bene [intende il servitore di Lodovico], e m’ha incaricato di chiedere il vostro perdono, e di portarvi il suo -. Questa parola fece rinvenire affatto il povero Lodovico, e gli risvegliò più vivamente e più distintamente i sentimenti ch’eran confusi e affollati nel suo animo: dolore dell’amico, sgomento e rimorso del colpo che gli era uscito di mano, e, nello stesso tempo, un’angosciosa compassione dell’uomo che aveva ucciso. – E l’altro? – domandò ansiosamente al frate.
– L’altro era spirato, quand’io arrivai.

Capite? Il guaio non è solo d’aver ammazzato un uomo; è d’averlo ammazzato senza neanche dargli la possibilità di chiedere in extremis il perdono. Di averlo ammazzato, essendo in quel momento entrambi impegnati a tentar d’ammazzarsi, in peccato mortale: destinandolo dunque, senza scampo, all’inferno. Perché ammazzare un corpo vabbè, è cosa grave; ma determinare la dannazione eterna di un uomo è la cosa più terribile che un uomo possa fare.

Per andare a concludere, citiamo quei versi ai quali avete nel frattempo pensato tutti. Commedia, Purgatorio, canto v; Dante chiede a Bonconte da Montefeltro, ucciso in battaglia, come mai il suo corpo non si sia mai trovato. Bonconte risponde di esser corso via, ferito; di essere caduto dove il fiume Archiano si getta nell’Arno (e quindi “il vocabol suo diventa vano”, il suo nome scompare); e di essersi rivolto in extremis a Maria. Un angelo era sceso dal cielo a raccogliere la sua parte eterna, ovvero l’anima; il diavolo, vistasi sottratta a quel modo un’anima che evidentemente considerava già sua, si era sfogato accanendosi sul corpo (“l’altro”) e facendone sparire ogni traccia (vv. 99-108).

Là ’ve ’l vocabol suo diventa vano,
arriva’ io forato ne la gola,
fuggendo a piede e sanguinando il piano.

Quivi perdei la vista e la parola;
nel nome di Maria fini’, e quivi
caddi, e rimase la mia carne sola.

Io dirò vero, e tu ’l ridì tra ’ vivi:
l’angel di Dio mi prese, e quel d’inferno
gridava: “O tu del ciel, perché mi privi?

Tu te ne porti di costui l’etterno
per una lagrimetta che ’l mi toglie;
ma io farò de l’altro altro governo!”.

Possiamo tranquillamente finire, dunque, sostenendo che è stato don Rodrigo, costringendo fra Cristoforo a pentirsi di quel gesto d’ira, e a materializzare il pentimento nella correzione di Renzo, a salvare l’anima di fra Cristoforo stesso.

Lasciate perdere il contenuto ideologico della cosa, e osservatene l’astuzia romanzesca.

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3 pensieri riguardo “Don Rodrigo insegna la pietà a fra Cristoforo (istruzioni per leggere i “Promessi sposi”, 2)

  1. C’è un’altra parola che andrebbe nerettata: l’appellativo “poltrone”, che ricorre in ambedue le scene (e che, in tutto il romanzo, compare solo quelle due volte)

  2. Giulio, è possibile che il parallelismo fra le due scene coinvolga anche la figura di Lucia? E che, a muovere il personaggio di fra’Cristoforo, vi sia non solo il perdono, ma anche una passione che, per quanto sublimata e idealizzata (con Lucia che pare quasi l’incarnazione di una Madonna – era forse Perpetua che l’aveva soprannominata “madonnina infilzata?), è pur sempre passione? Potrebbe, domando, esserci uno schema di questo tipo:
    1. Proponimento blasfemo di Don Rodrigo e di Renzo: a) Don Rodrigo invita a Lucia a mettersi sotto la sua protezione; b) Renzo vuol farsi vendetta da sé.
    2. Fra’ Cristoforo s’infiamma: a) “l’uomo vecchio si trovò d’accordo col nuovo”; b) “le gote si colorivano dell’antica vita; e il fuoco degli occhi aveva un non so che di terribile”).
    3. Fra’ Cristoforo pronuncia, per la prima volta nella scena, il nome di Lucia, esaltandone le virtù ma lasciando quasi da intendere che è “cosa sua”: a) “Lucia, dico: vedete come io pronunzio questo nome con la fronte alta, e con gli occhi immobili” (e qui, forse, ci si ricollega all’insinuazione che Don Rodrigo aveva fatta poco prima: “non capisco altro se non che ci deve essere qualche fanciulla che le preme molto”); b) “ho sperato che, prima della mia morte, Dio m’avrebbe data questa consolazione di sentir che la mia povera Lucia fosse viva”.
    Ora: non voglio insinuare che vi sia, in Fra’ Cristoforo, un trasporto amoroso verso Lucia. Ugualmente però, la sua figura mi è sempre parsa la più passionale dell’intero romanzo e, forse, è proprio questa sua passionalità a renderlo così diverso dagli altri frati cappuccini per i quali non mi sembra che Manzoni abbia molta simpatia (penso ai frati che salutano la conversione di Lodovico come una magnifica opportunità per scansar grane; o a fra’ Galdino che, di fronte ai patimenti di Agnese, le ricorda che di lì a giorni verrà alla questua dell’olio). Il contrasto lo vede pure un uomo tutto sommato da poco come il conte zio: “padri cappuccini ne conosco parecchi: uomini d’oro, zelanti, prudenti, umili […] E questo padre Cristoforo, so da certi ragguagli che è un uomo… un po’ amico de’ contrasti… che non ha tutta quella prudenza, tutti que’riguardi…”.
    Sono, le mie, impressioni di pancia senza senso? I Promessi Sposi li ho letti un paio di volte e fra le svariate analisi critiche non mi sono mai avventurata… però questa percezione di sottile ambiguità nella figura di fra’ Cristoforo (positiva, per carità) ce l’ho sempre avuta.

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