di Giulio Mozzi
[Diversi anni fa Gianni Bonina mi chiese di compilare per la rivista Stilos una rubrica che fosse qualcosa come “un corso di scrittura creativa a puntate”. Scrissi 100 puntate. Se le volete tutte in un colpo, le trovate qui. Rielaborate e aggiustate, le 100 puntate sono diventate anche un libro, pubblicato da Terre di mezzo: (non) un corso di scrittura e narrazione. Da oggi le ripubblicherò qui, una al giorno (salvo inconvenienti e incidenti); e cercherò di rispondere a eventuali domande, obiezioni, dubbi eccetera. Occasionalmente inserirò negli articoli, come approfondimento, qualcuna delle mie videolezioni].
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Sono nel mio studio. Sono le sette e venti del mattino. Sto lavorando. Il telefono suona. Alle sette e venti del mattino mi telefonano solo gli amici, quindi rispondo fiducioso.
«Buongiornoo, è il dottor Mozzii?». Una voce maschile, voluminosa.
«Buongiorno», dico. «Sono Giulio Mozzi. Lei cercava Giulio Mozzi?».
In Padova, mia città, abita un altro Giulio Mozzi. Fa il cardiologo.
«Cercavoo lo scrittoree, è leii?», dice la voce.
«Sono io», dico. Amen.
«Ecco sentaa, io le telefonavoo perché avrei scrittoo due romanzii, cioè quattroo, ma due sono già stati pubblicatii, per le Edizioni dell’Antico Torchioo, lei ha presentee?».
Penso all’Antica Gelateria del Corso e rispondo: «No. Mai sentite nominare».
«Ecco sentaa, io con questi quii ho fatto due romanzii, noo?, e avrebbero anche venduto benee, se loro si fossero dati una mossaa, invece hanno venduto solo duemila copiee, abbiamo fatto due edizionii, e allora adessoo che ho qui due romanzii, volevo pubblicarli da leii», dice la voce.
«Ma», dico, «prima dovrò leggerli».
«Ecco sentaa, io passavo per Padova giovedìi, così glieli portoo, facciamo quattro chiacchieree», dice la voce.
«Ma, vede», dico, «anche se ci vediamo, finché io non ho letti i testi, non è che abbiamo molto da dirci».
«Ecco sentaa, noo, è che le volevo spiegaree, perché sono romanzi che hanno un messaggioo particolaree, così non volevo essere fraintesoo, e poi così possiamo parlare degli aspetti commercialii, che sono importantii, noo?», dice la voce.
«Ma, guardi», dico, «quanto al messaggio contenuto nei romanzi, è proprio meglio se non ne parliamo prima: perché se il romanzo fa passare il suo messaggio, bene, ma se ha bisogno di spiegazioni di contorno, allora vuol dire che non basta a sé stesso. E quanto agli aspetti commerciali, mi pare un po’ prematuro».
«Ecco, sentaa, ad esempio io potrei portare degli sponsoor, come la Cassa di Credito Cooperativo del Tagliamentoo e del Piavee, che ha sponsorizzato anche gli altri due romanzii, e la Cantina Sociale di Sacilee, che ha sponsorizzato solo il secondoo, perché è arrivata tardii, ma si è già detta interessataa al terzoo», dice la voce.
«Ma, sa», dico, «che ci sia o non ci sia uno sponsor, a me non interessa mica tanto. A me interessa consigliare all’editore buoni libri».
«Ecco, sentaa, io comunque sarei là giovedìi, le faccio uno squilloo, andiamo a mangiaree un bocconee», dice la voce.
«Ma, ecco», dico, «io giovedì non ci sono proprio. Sono a Milano, in casa editrice».
L’uomo, mi aspettavo che rilanciasse su mercoledì o venerdì. Invece, e non me l’aspettavo, sta zitto qualche secondo.
«A Milanoo, ha dettoo?», dice poi.
«Sì», dico. «A Milano. La casa editrice per la quale lavoro è a Milano».
«Non è a Padovaa?», dice.
«No», dico. «Io abito a Padova, ma lavoro per una casa editrice di Milano».
«Ma allora è una cosa milanesee», dice.
«È un’azienda di Milano», dico.
«Quindi non vi interessaa, uno scrittore di Gradoo», dice.
«Ma no!», dico. «L’editore è di Milano, ma pubblica persone che abitano in ogni parte d’Italia. Abbiamo autori piemontesi, emiliani, pugliesi, napoletani…».
«Ecco sentaa, anche del Sud, alloraa?», dice.
«Sì, certo», dico, «anche del Sud. Anzi, in proporzione con le altre case editrici, abbiamo parecchi autori del Sud».
«Ah beeh, alloraa, mi scusi tantoo, ma non ci siamoo», dice.
«Cioè?», domando.
«Non ci siamoo, non ci siamoo. Arrivederla, dottor Mozzii», dice.
«Buona giornata», dico.
Clic.
***
Sono certo che l’anonimo telefonatore abbia veramente vendute migliaia di copie del suo romanzo stampato dalle Edizioni dell’Antico Torchio. Uno che è capace di telefonare a un perfetto sconosciuto alle sette e venti di mattina, sarebbe capace di vendere frigoriferi agli esquimesi. Li prenderebbe per sfinimento.
E non mi fa neanche tanta impressione il razzismo. Che non è un razzismo verso il Sud (già Milano non andava bene): è razzismo verso chiunque non sia identico. Ed è, ovviamente, un razzismo-autogol: se si accetta di comunicare solo tra identici, è come non comunicare con nessuno.
Mi spaventa più di tutto la velocità della decisione. Gli sono bastati pochi secondi, a quell’uomo, per chiudere la telefonata. Per escludere dall’orizzone questa realtà scomoda e fastidiosa, che è l’editore per il quale io lavoro. Sono stato bruciato con una sola fiammata.
Per carità: non abbiamo perso niente. Sono sicuro. Alla prossima.
[Quella di ieri e quella di oggi sono due lezioni “d’alleggerimento”. Da domani si ricomincia a fare sul serio].

Assodato che l’incontro servisse appunto a spiegarLe il contenuto xenofobo e\o orgogliosamente veneto dei suoi libri, il signore, pur “non volendo essere frainteso”, ha dato “meglio” di se.