di Giulio Mozzi
[Diversi anni fa Gianni Bonina mi chiese di compilare per la rivista Stilos una rubrica che fosse qualcosa come “un corso di scrittura creativa a puntate”. Scrissi 100 puntate. Se le volete tutte in un colpo, le trovate qui. Rielaborate e aggiustate, le 100 puntate sono diventate anche un libro, pubblicato da Terre di mezzo: (non) un corso di scrittura e narrazione. Le ripubblico qui, una al giorno (salvo inconvenienti e incidenti); e cercherò di rispondere a eventuali domande, obiezioni, dubbi eccetera. Occasionalmente inserirò negli articoli, come approfondimento, qualcuna delle mie videolezioni].
Un’avventura che può capitare a un autore, è questa: interrogarsi su ciò che fa, sul perché lo fa, sull’utilità e l’opportunità di ciò che fa. E se anche un autore non si interroga su questo, a interrogarlo ci pensa il pubblico: che gli domanda: «Perché scrivi?». Non è necessario aver pubblicato libri, per sentirsi fare questa domanda. Basta che qualcuno vi chieda perché uscite poco la sera, e che voi rispondiate: «Sto cercando di scrivere un romanzo». Entro tre minuti di conversazione arriverà la domanda: «Perché lo fai?».
Vittorio Bianchi è un uomo circa della mia età; ha un paio d’anni di più. Da quando aveva ventiquattro anni, e quindi da più di vent’anni, è ospite di quello che una volta si chiamava Ospedale psichiatrico, e oggi si chiama Comunità terapeutica residenziale protetta (Ctrp). A Padova, la mia città.
Qualche anno fa un mio conoscente mi disse: «Senti, c’è uno che ti vorrebbe conoscere»; e mi presentò Guido Solerti. Guido mi spiegò in quattro e quattr’otto perché mi voleva conoscere: insegnava da alcuni anni nel “corso di alfabetizzazione” interno alla Ctrp di Padova; lì aveva conosciuto Vittorio Bianchi, che del corso era uno dei più fedeli frequentatori; e Vittorio Bianchi, mi disse Guido, scriveva delle cose assai interessanti.
«Fammi vedere», dissi.
Guido mi fece vedere.
Un anno e mezzo dopo usciva il libro di Vittorio. L’editore era Theoria (un editore allora glorioso, oggi defunto). Il libro era un montaggio di tanti brevi testi, di tanti “temi” che Vittorio aveva scritto nel corso di qualche anno. I “temi” erano stati a volte proposti da Guido, altre volte Vittorio se li era autoproposti. Guido e io leggemmo tutti i quadernoni di Vittorio, individuammo alcuni filoni (la storia delle vita prima dell’internamento, le relazioni con i medici e gli infermieri, gli effetti dei farmaci, le amicizie, riflessioni morali e religiose, favolette), scegliemmo un’ottantina di “temi”; e senza troppa fatica venne fuori appunto un libro.
Come introduzione al libro ponemmo un “tema” dal titolo: Il piacere di scrivere.
Io amo scrivere molto, specialmente se faccio corrispondenza postale. Ho sempre desiderato (e tutt’ora desidero) scrivere lettere o cartoline ai miei parenti ed amici. Come e quanto è bello, fare così!! Provo molta soddisfazione ed anche coloro che ricevono i miei scritti, provano soddisfazione. Cosa pensano loro, se scrivo mie notizie? Certamente, pensano che io sia attivo e che li tengo sempre aggiornati; pensano anche, che per me, è un piacere e che lo faccio volentieri. Quando scrivo, espongo le mie idee, avvenimenti, sentimenti, problemi, ecc. Così facendo, loro mi comprendono e mi rispondono. Più scrivo, meglio è! Secondo me, lo scrivere ad una o più persone, è una manifestazione d’affetto (specialmente se scrivo ad una persona cara, a cui voglio bene). Sono scrittori anche i poeti. Essi amano molto scrivere. Di solito, i poeti compongono poesie; qualsiasi tipo di poesie, a seconda delle loro idee, aspirazioni o sentimenti dell’animo, a tal punto da coinvolgere, commuovere, esaltare, ecc. una persona che è intenta a leggere una determinata poesia. I poeti, trascorrono la maggior parte della loro giornata (anche a costo della vita) componendo poesie; che fascino! Che bellezza! Che incanto e con quanta tenerezza! (nel caso, scrivano poesie d’amore). Eppure, essi non si stancano mai! Quanta intelligenza! Quanta bravura e che stile! Anch’io, vorrei essere un poeta, ma, per fortuna, non lo sono, perché non amo comporre poesie. Se scrivo, mi diletto a comporre lettere, o temi. Mi piacerebbe, scrivere un libro, cioè, descrivere la mia vita vissuta
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Il libro uscì, e s’intitolò: Io, avrei voluto essere come quel passero. Fu recensito ampiamente in un paio di settimanali “per lettori forti” (un bellissimo articolo di Mauro Covacich in Diario, uno di Alberto Casadei in Avvenimenti), ebbe qualche segnalazione qua e là, dopodiché, come succede a molti libri, morì.
Vittorio ci guadagnò anche una partecipazione al Maurizio Costanzo Show. Per felice coincidenza, infatti, poche settimane dopo la pubblicazione del libro cadeva il ventesimo anniversario della legge Basaglia. Costanzo dedicò all’argomento una puntata. Mi chiamarono dalla redazione. Con mille cautele, Vittorio, Guido e un infermiere affrontarono il viaggio fino a Roma, al Teatro dei Parioli. Costanzo, come allora gli succedeva talvolta, condusse la faccenda assai bene. Vittorio fece un’ottima figura, si divertì moltissimo, e incontrò Heather Parisi al bar.
Oggi Vittorio abita sempre al Ctrp [oggi, 2015, in una residenza assai più piacevole; e sta, nei suoi limiti, bene]. Non scrive più, se non qualche lettera a Guido. Ha conservata la passione per la lirica. Canta bene, suonicchia il pianoforte, ha una discreta collezione di dischi e videocassette.
Guido non lavora più al Ctrp, ma vede spesso Vittorio.
Io incontro Vittorio ogni tanto, al bar del Ctrp. Non mi riconosce sempre.
Allora, la domanda è questa: Vittorio è un autore? Sicuramente ha scritto un libro, sia pure con l’aiuto di due editor un po’ speciali (che, peraltro, si sono limitati alla scelta dei pezzi e alla correzione di due o tre errori di ortografia); sicuramente il libro è scritto in una lingua fuorinorma; forse Vittorio riprenderà a scrivere, difficilmente farà un altro libro.
Il pezzo Il piacere di scrivere mostra che Vittorio aveva ben chiaro il senso di ciò che faceva: «Secondo me, lo scrivere ad una o più persone, è una manifestazione d’affetto (specialmente se scrivo ad una persona cara, a cui voglio bene)». E se non sapeva usare alla perfezione il mezzo della lingua, la sua istanza comunicativa era abbastanza intensa da farglielo usare comunque: piegandolo e storcendolo, se serviva, fino a fargli dire ciò che aveva da dire.
Vittorio Bianchi è un autore? Io dico di sì. Ne riparliamo la prossima volta.