Dieci trucchi sicuri per diventare un classico

Questo non è un classico.
Questo non è un classico.

di giuliomozzi

1. L’aggettivo “classico” significava in origine “di classe”, ovvero appartente alla “classe” per antonomasia: la più ricca delle sei classi nelle quali Servio Tullio aveva diviso, in base alla ricchezza e quindi alla capacità contributiva, il popolo romano. Fuori dalle “classi” stavano i “proletari”. In un luogo – citatissimo – delle Notti attiche (libro xix, par. 8), Aulo Gellio per la prima volta (per quello che ne sappiamo) usa la parola riferendola agli scrittori: di qua lo “scriptor classicus”, di là quello “proletarius”. Dunque, se volete diventare dei “classici”, sapete che gente dovete frequentare.

2. D’accordo, è una paretimologia: ma per molti i “classici” sono gli scrittori che si leggono “in classe”. Se volete diventare “classici”, dunque, curate i vostri rapporti con il ministero, con i dirigenti scolastici, con gli insegnanti, con i bibliotecari, e tutta quella gente lì.

3. “Classico”, al di là delle polemiche dei secoli passati, è ancora spesso opposto a “romantico”; e il “romantico” per eccellenza, si sa, è il bohémien. Quindi, se volete diventare “classici”, curate il vostro aspetto; siate rispettabili; e, soprattutto, evitate di morire di tisi in una soffitta di Montmartre.

4. T. S. Eliot sosteneva (non mi ricodo più dove: vado a memoria) che non ci sono “classici” se non c’è un impero. Se volete diventare “classici”, dunque, sceglietevi un “impero”, ovvero una grande istituzione o una grande entità ideale (che so: il comunismo – ma è passato di moda -, la cristianità, l’anticristianità, la tifoseria juventina, i beatlesiani ecc.) nella quale collocarvi e ai cui abitanti rivolgervi.

5. Un luogo comune (ma condiviso anche, tanto per dirne uno, da Charles de Sainte-Beuve) dice che quelli che oggi ci appaiono come “classici” furono ai loro bei dì “rivoluzionari” o “scandalosi” (il suo esempio è: Molière). Se volete diventare dei “classici”, dunque, dovete valutare la fattibilità di un adeguato rivoluzionarismo capace di diventare nell’arco di un certo tempo un adeguato conservatorismo.

6. Un altro luogo comune dice che i “classici” sono quei libri che “non si leggono: si rileggono”. Se volete diventare “classici”, dunque, componete le vostre opere in modo che resistano – non per oscurità, ma piuttosto per eccesso di chiarezza: il “classico” è spesso identificato con l’ “apollineo” – a una comprensione immediata. In ogni lettura il lettore dovrebbe percepire la presenza di un residuo, di un qualcosa che una succcessiva lettura potrebbe forse donargli.

7. Se è veritiera l’analisi del “campo letterario” che Pierre Bourdieu propone in Le regole dell’arte, dovete considerare che l’acquisizione in futuro dello statuto di “classico”, cioè del massimo del potere nel campo letterario, è correlata con l’emarginazione nel tempo presente dal campo economico. Ovvero: se volete diventare “classici”, dovete rassegnarvi alla povertà; opporvi all’arricchimento (soprattutto il vostro); disprezzare il vil denaro; preferire una parca cena con un vostro vero lettore al fasto fatuo dei premi letterari; e così via. (Non fate troppo i fricchettoni, però: vedi il punto 3).

8. Lo sanno tutti che i “classici” sono belli, ma noiosi: un romanzo bellissimo e divertente è e resta e resterà un romanzo bellissimo e divertente, ma non non diventerà mai davvero un “classico” (volete un esempio? Il conte di Montecristo). Se volete diventare “classici”, dovete dunque adottare a vostro motto la celebre frase pensata (ma non detta) da don Abbondio mentre il Cardinale gli faceva il cazziatone: “Che sant’uomo! Ma che tormento!” (I promessi sposi, cap. xxvi).

9. I “classici” sono dei “modelli”: non solo per gli epigoni, ma anche per chi nelle successive generazioni li ripudierà (se voglio fare il contrario di X, X sarà pur sempre determinante in ciò che io faccio) o cercherà di superarli (come “nani sulle spalle di giganti”). Se volete diventare dei classici, dunque, provvedete a dotarvi di modelli: nessun “classico” è isolato, ma tutti i “classici” si collocano in un flusso universale di continuità.

10. Si diventa “classici”, si sa, solo dopo la morte: preparàtevi dunque a morire.

[Questo articolo è già stato pubblicato in vibrisse l’8 maggio 2015]