Dieci segreti che un docente di scrittura creativa non rivelerà mai ai suoi allievi

di Giulio Mozzi, direttore della Bottega di narrazione

1. Il proverbio dice: “Chi non sa fare, insegna”. I proverbi, si sa, vanno presi con le pinze; ed è noto che molti grandi o almeno notevoli scrittori (da John Barth a Raymond Carver nei mitici States, da Giuseppe Pontiggia ad Alessandro Baricco), si sono dedicati volentieri e con passione all’insegnamento. Quindi un docente di scrittura creativa non rivelerà mai ai propri allievi questo segreto: che egli, pur essendo capace di fare molte cose, e magari alcune ad assai alto livello, non sa fare certe cose che tuttavia gli piacerebbe moltissimo saper fare; e spera sempre di trovare un allievo che possieda il talento – tutto da crescere, d’accordo – proprio per quelle cose lì.

2. Dei docenti in genere si dice, che spesso “fanno le preferenze”. Ebbene, è così anche per i docenti di scrittura creativa. Inevitabilmente essi incontrano degli allievi con i quali sentono un’affinità particolare, una consonanza istintiva. E c’è poco da fare: su questi allievi investiranno di più, per questi allievi avranno un’attenzione in più, verso questi allievi si spenderanno – a dirla tutta – al meglio delle loro possibilità. Ma il segreto che mai nessun docente di scrittura creativa confesserà è che, a volte, nel percepire questa affinità, questa consonanza, egli si sbaglia, e allora son dolori.

3. Mark Twain scrisse, non so dove (ma è una frase citatissima; e anche se non l’avesse scritta Mark Twain nulla cambierebbe del suo valore): “Nella prima metà della vita sono andato a scuola; nella seconda metà sono diventato adulto”. Vero, verissimo. Il terzo segreto, dunque, che nessun docente di scrittura creativa confesserà, è che la scuola di scrittura creativa, come ogni scuola, è sì un luogo dove si impara, ma è anche – in quanto frequentata volontariamente – un luogo nel quale si sceglie di stare per rimandare il momento in cui si diventerà adulti. Se la cosa vi pare paradossale, rileggete il punto n. 3.

4. In una pagina web che raccoglie detti e proverbi sulla scuola trovo questo, spacciato come al solito per “antico proverbio cinese”: “Una sola conversazione con un uomo saggio è meglio di dieci anni di studio”. Un po’ iperbolico, il nostro proverbista cinese (antico): ma, nella sostanza, chi ha il coraggio di dargli torto? E infatti, se chiedete a chi frequenta un corso di scrittura creativa la ragione per cui ha scelto quel tale corso anziché il talaltro, vi sentirete rispondere: “Perché qui ci insegna il Tale, e non il Talaltro”. Ma il segreto che nessun docente di scrittura creativa confesserà, nemmeno sotto tortura, è che: sì, lui lo sa, di essere considerato un uomo saggio, e sa quindi che molti ritengono che un corso di dieci o cento o duecento ore con lui sia meglio di cento, mille, duemila anni di studio – ma sa anche, nell’intimo del proprio cuore, di non essere, lui, se non una stanca, incerta, dubitosa, fasulla immaginazione di un uomo saggio.

5. Sempre un anonimo, ma stavolta né antico né cinese, in quel medesimo sito, riporta la significativa affermazione: “La nostra insegnante parla sempre al suo amico immaginario chiamato classe”. E, vabbè, sui meccanismi di transfert e di idealizzazione che scattano nelle classi d’ogni ordine, genere e grado, credo che chiunque sia stato a scuola, per il solo fatto di essere stato a scuola, la sappia lunga. Ma ciò che nessun docente di scrittura creativa confesserà mai è che il suo amico immaginario, quello al quale parla quando parla in classe, quello del quale corregge i compiti, quello i cui scritti analizza, quello che incoraggia a leggere e studiare, eccetera, non è la classe, e tantomeno – come, da vero docente di scrittura creativa, cercherà di dare a intendere – la letteratura: è il suo mutuo.

6. Martin H. Fischer, un medico morto famoso una cinquantina d’anni fa, al quale è attribuita la battuta: “Un medico deve lavorare diciotto ore al giorno e sette giorni su sette: se la cosa non vi va a genio, cambiate mestiere”, pare abbia detto anche: “Un buon insegnante deve conoscere le regole; un buon allievo, le eccezioni”. E infatti chi ha poca stima in generale delle scuole di scrittura usa spesso i luoghi comuni del tipo: “Scrittori prodotti in catena di montaggio che producono romanzi fatti con lo stampino”, e così via. Ma il vero segreto che un docente di scrittura creativa non rivelerà mai a nessuno è che anche la più mirabile delle eccezioni, nel momento in cui viene trasmessa nella scuola, automaticamente degrada e diventa regola. Non è colpa del docente, non è colpa degli allievi, non è colpa della scuola: è destino che sia così. Qualunque scuola che prometta di educare all’eccezione, è sospetta di menzogna (o, almeno, di cieca ambizione).

7. A uno dei più gloriosi e stimati tra i presidenti degli States, Theodore Roosevelt, si deve invece la battuta – probabilmente pronunciata in campagna elettorale – secondo la quale “un uomo che non è mai andato a scuola può rubare da un carro merci; ma se ha una formazione universitaria, può rubare tutta la ferrovia”; il che, mutatis mutandis, potrebbe ridirsi così: “A chiunque può scappare di scrivere un buon racconto, una buona pagina, o addirittura una buona breve lirica; ma solo a suon di dedizione accanita, applicazione allo studio, giorni e settimane e mesi interi in biblioteca, eventuale frequentazione di una scuola di scrittura creativa, eccetera, si può scrivere un buon romanzo o una serie di buoni romanzi, una grande quantità di buone pagine, o una buona raccolta di brevi liriche”. Nella coscienza del docente di scrittura creativa, peraltro, s’agita una oscura consapevolezza: per quanti romanzi, per quante pagine, per quante raccolte di liriche brevi lunghe egli abbia composto, forse, ma forse forse forse, in una sola pagina, in un solo capitolo di romanzo, in una sola breve lirica egli è riuscito a restituire una scintilla della bellezza suprema intravista quasi per caso, in un giorno di primavera, alle quattro del pomeriggio, quando aveva diciott’anni, a Torre di Mosto (Ve), all’angolo tra via Mazzini e via Garibaldi. E il segreto che mai, mai, mai egli confesserà, è: che, quel giorno a quell’ora in quel luogo, la bellezza suprema stava baciando uno che non era lui.

Vincenzo Camuccini, “Morte di Cesare”, 1798

8. John Fowles, l’autore de La donna del tenente francese, liquidava le scuole di scrittura creativa con questa battuta: “Non si fa del bene a nessuno, insegnandogli a correre prima che a camminare”. Ma un docente di scrittura creativa che abbia un minimo di desiderio di non essere ucciso da molteplici coltellate (stile Giulio Cesare o Assassinio sull’Orient Express), non rivelerà mai ai propri allievi che ciò che egli insegna loro, che a loro costa tanta pena, non è una gioiosa corsa danzante: è appena appena poco più che un rotolarsi per terra nel fango, grugnendo saltuariamente.

9. Che nelle classi – d’ogni genere – scoppino amori, è normale. Ciascuno di noi sa la storia di un amico che ha sposato l’insegnante di italiano delle superiori, di un’amica che ha sposato il maestro del coro parrocchiale, e così via. Le classi di scrittura creativa non sfuggono a questa regola. Ma ciò che ogni docente di scrittura creativa conserva nel sancta sanctorum del proprio cuore, e non rivelerà mai a nessuno, è il ricordo di quella volta che un’allieva per la quale aveva avuta una flebile infatuazione, reincontrata molti anni dopo e casualmente sul tram per Buccinasco, gli ha detto: “Si vedeva, sa; si vedeva tantissimo; ed ero cotta anch’io. Ma lei è stato bravissimo a contenersi. Sarebbe stata una sciocchezza” (poi, sul telefono, mentre a lui si scioglieva il cuore – perché tanto tempo è passato; perché avrebbe fatto benissimo a provarci, invece; perché lei gli è tornata in sogno tante volte; perché anche la sua “attuale compagna”, saggiamente ma mediocremente amata, è la sua attuale compagna, in fondo, perché somiglia in un decisivo dettaglio a lei – gli ha fatto vedere le foto dei suoi tre bambini: uno biondo, uno alto, e uno con gli occhiali).

10. Infine: ogni docente di scrittura creativa conosce la battuta, attribuita a Thomas Alva Edison, secondo la quale la composizione di un’opera o la realizzazione di un’idea prevederebbe un 1% di ispirazione e un 99% di sudata fatica. E quindi – e con ciò finiamo – egli è ben deciso a provare a farsi carico di un, diciamo, 50% di quell’1%: ma di quel 99% non ne vuole proprio sapere. E’ sua profonda convinzione che l’ispirazione sia tutto sommato un bene facilmente disponibile, mentre la disponibilità a sudare fatica è un bene scarsissimo: lui stesso – ma non lo confesserà mai – non ha avuto il coraggio di investire fino in fondo quel 98%; si è sempre lasciato distrarre da altro, dalla famiglia, dai lavori provvisori, dallo studio, dai modesti ma comunque confortevoli primi successi, talvolta addirittura dal desiderio di ozio o di riposo. Ed è per questo, perché è in fondo uno scansafatiche, non perché gli manchino il talento o il “dono”, che gli tocca insegnare (vedi il punto 1).

12 pensieri riguardo “Dieci segreti che un docente di scrittura creativa non rivelerà mai ai suoi allievi

  1. Al punto 6 Fischer è “morto famoso”. È così o è un refuso?
    Al punto 10 compare due volte un 99% e poco dopo un 98% sempre riferiti alla “sudata fatica”; in entrambi i casi, che fatica.

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