Dieci criteri utili a decidere se il prezzo di un corso di scrittura è congruo o no

di giuliomozzi

1. Dal punto di vista di chi vende, il “prezzo giusto” è, ovviamente, il più alto possibile. Dal punto di vista di chi compra, il “prezzo giusto” è, ovviamente, il più basso possibile. Qui si parla, adottando il punto di vista di chi compra, di prezzo congruo: “Conveniente, proporzionato, rispondente a determinate esigenze, opportuno”, secondo la Treccani.

2. Il concetto di congruità implica una proporzione tra ciò che viene venduto e ciò che viene pagato. Poiché il pagamento avviene solitamente in denaro, e il denaro è facilmente misurabile, mentre ciò che viene venduto può essere di varia natura (anche restando dentro il ristrettissimo àmbito dei corsi di scrittura), la faccenda è complessa. La prima domanda è dunque: che cosa viene effettivamente venduto, in un corso di scrittura?

3. Viene venduto, per prima cosa, e come in qualunque prestazione di servizio, del tempo. Ci sono dei corsi nei quali il tempo da conteggiare sembra essere unicamente quello delle lezioni (a es. se si tratta di un corso composto esclusivamente di lezioni frontali, senza esercizi né compiti a casa né lavoro di correzione svolto a casa dal docente ec.); ma anche una lezione frontale ha bisogno di un tempo di preparazione da parte del docente: e può non essere poco. Si può pensare peraltro che se in una certa scuola un certo docente fa tutti gli anni un corso composto di lezioni frontali sempre con il medesimo programma – il tempo di preparazione sia, ormai, piuttosto scarso: giusto un ripassino. Ci sono invece dei corsi nei quali molto tempo – almeno a giudicare da ciò che viene detto nella promozione – viene dedicato al di fuori delle ore di lezione (es.: l’attuazione della promessa di seguire un romanzo in corso d’opera richiede, da parte del docente, svariate ore di letture e riletture – nonché di meditazione sulle letture: Raul Montanari – in una recente conversazione in Facebook – stima circa cinquemila pagine lette per ogni “anno accademico”, e la stima pare realistica).

4. Viene venduta, per seconda cosa, una competenza. Mi permetto un aneddoto. Tizio ha l’automobile che non va bene: sente un rumorino inquietante provenire da qui o da lì. Va dal meccanico. Il meccanico sale in auto, avvia, ascolta attentamente per qualche secondo, spegne, scende dall’auto, le dà una pedata, risale in auto, avvia, il rumorino non c’è più. “Quant’è?”, dice Tizio. “Cento euro”, dice il meccanico. “Cento euro per una pedata!”, dice Tizio. “Sì”, dice il meccanico. “Mi faccia almeno la fattura!”, dice Tizio. “Certo”, dice il meccanico. Va nello sgabuzzino, prende il blocco delle fatture, compila, presenta a Tizio. La fattura dice: “Pedata, 1 euro. Sapere dove darla, 99 euro”.
Notare che la competenza nella composizione letteraria (non parlo in questo capoverso della competenza didattica o pedagogica) conta sia in quanto è nel docente, o nei docenti, e viene usata nelle lezioni, nei laboratori, eccetera, sia in quanto attraverso le lezioni e i laboratori e gli eccetera viene trasmessa, esplicitamente od osmoticamente, agli alievi. Tizio, insomma, se il suo meccanico è un buon meccanico, la prossima volta provvederà autonomamente alla pedata (sempre che sia stato a guardare attentamente: le cose, si sa, si imparano con gli occhi).

5. Viene venduto, per terza cosa, il raggiungimento di un obiettivo. Va detto che la maggior parte dei corsi di scrittura lascia piuttosto nel vago la descrizione dell’obiettivo che si promette di raggiungere: si preferisce, per lo più, descrivere il processo che sarà messo in atto. “L’allievo sarà guidato a comporre un racconto di una quindicina di cartelle, affrontando una prima e una seconda revisione, sotto la guida del docente e di un tutor”: cose di questo genere. In effetti, per chi organizza il corso è difficile, anzi quasi impossibile – anche se l’accesso prevede una selezione -, avere un’idea particolarmente precisa dei candidati, della loro preparazione di base e specifica, della loro personalità, della loro forza di volontà, della loro inventiva, eccetera. Una soluzione potrebbe essere quella di fare selezioni più accurate, ma le selezioni sono – per chi organizza – un costo; bisognerebbe fare delle selezioni a spese dei selezionati, ma vedo già spuntare come funghi i gruppi Facebook No alle selezioni a pagamento, la scrittura è libertà, eccetera.
Se un obiettivo è proposto, deve essere realistico e sensato. Gli obiettivi del tipo “Faremo di te uno scrittore” sono, ovviamente, tanto irrealistici quanto insensati. Gli obiettivi del tipo “Alla fine del corso si farà un volume con i migliori racconti scritti dai partecipanti” sono realistici (il volume si farà) e insensati (a che cosa serve un cotale volume?).

6. Viene venduto, per quarta cosa, un certo prestigio. Una volta una ragazza, incerta se frequentare o no un mio corso, mi domandò: “Ma lei ha studiato alla Scuola Holden?”. Risposi: “No: io insegno alla Scuola Holden”. La ragazza se ne andò delusa. Evidentemente le parole Scuola Holden per lei non erano significative tanto in termini di competenza, quanto di prestigio: e, all’epoca (l’aneddoto è di parecchi anni fa), evidentemente dava più prestigio l’aver frequentato la Scuola Holden da studente che l’insegnarci (a meno di non essere il Fondatore in persona, suppongo). Di solito peraltro il prestigio è legato al nome dei docenti: e non c’è dubbio che una scuola che abbia tra i propri docenti Philip Roth goda di un prestigio maggiore di una scuola che abbia tra i suoi docenti Giulio Mozzi, indipendentemente dal talento di Roth o di Mozzi come insegnanti.
Non parlo, sia chiaro, di culto della personalità. Se una scuola italiana riesce ad avere tra i propri docenti Philip Roth, è molto probabilmente una scuola coi controcazzi (suppongo che farsi stimare da Roth sia complicato – e che sia complicato anche attirarlo sul piano meramente venale).

7. Viene venduta, per quinta cosa, un’entratura. Ci sono scuole che forniscono a chi le frequenta delle occasioni di entrare nella Repubblica delle lettere, sia per il loro prestigio sia per il lavoro specificamente compiuto dai docenti o dalla scuola. Non mi riferisco soltanto a quanto un docente o una scuola possono fare perché il lavoro dell’allievo venga pubblicato da questa o quella casa editrice: mi riferisco alla possibilità, per gli allievi, di incontrare ed eventualmente frequentare – non superficialmente – persone del milieu letterario e del milieu editoriale. I mezzi sono i più varii: dall’invitare questo o quello a far lezione fino all’organizzare feste, dal mettere semplicemente Tizio in contatto con Caio fino al partecipare alle varie fiere del libro con appuntamenti e incontri, e così via. Possono essere importanti anche i momenti mondani e conviviali, per dire.

8. Tempo, competenza, obiettivo, prestigio, entratura: mi rendo conto che tutti questi fattori sono assai poco misurabili, ridicolmente immisurabili rispetto alla facilissima misurabilità del denaro. Ma le cose possono diventare un po’ più chiare nel momento in cui si cominci mettere tutti i fattori sulla bilancia, nonché a fare qualche confronto tra scuola e scuola, tra corso e corso, tra prezzo e prezzo.

9. E naturalmente, perché un confronto si possa fare, bisogna che il potenziale cliente abbia buone informazioni su ciò che un certo corso o una certa scuola offre in termini di tempo, competenza, obiettivo, prestigio ed entratura. Non mi riferisco solo alla materialità dei varii bandi, programmi, eccetera, o alla disponibilità a fornire informazioni per telefono o via email o di persona; mi riferisco anche alla visibilità del lavoro interno della scuola. Per esempio: la Scuola Omero di Roma pubblica dei libri; alcuni sono sono saggi in traduzione, altri sono stati scritti dai docenti della scuola. Una persona che voglia sapere qualcosa sulla Scuola Omero può andare a vedere come sono questi libri, che impostazione hanno, che qualità hanno: ed è un bell’aiuto nella scelta. Anche la Scuola Holden per un certo tempo – parlo di quindici anni fa, a occhio – pubblicò dei libri: che però, per quel che potevo vedere, non avevano un preciso legame con il lavoro che nella scuola si faceva. Oppure: gli spettacoli-lezione che Alessandro Baricco portava in giro non corrispondevano, evidentemente, alla quotidianità del lavoro nella Scuola Holden; ma sicuramente davano un’idea dello spirito – almeno quello ideale – della faccenda. Eccetera.
C’è anche il passaparola, naturalmente: un buon modo per sapere com’è la Bottega di narrazione, per esempio, è parlarne con qualcuno che l’abbia frequentata. Conosco un docente che fa fare giurin giuretto agli allievi perché non raccontino mai a nessuno ciò che avviene in aula durante le sue lezioni: ho sempre trovato la cosa piuttosto bizzarra.

10. C’è poi il desiderio. E’ indubbio che, se uno desidera tanto – ma proprio tanto – mettersi alla scuola di Tizio, il prezzo chiesto da Tizio gli sembrerà sempre più basso di quello che sembrerà a un altro per il quale Tizio è semplicemente una delle tante opzioni.

5 pensieri riguardo “Dieci criteri utili a decidere se il prezzo di un corso di scrittura è congruo o no

  1. E pensare che per me il problema non è nemmeno il vil denaro (spacco la musina del nonno per le grandi occasioni, occasioni oramai sfumate, e investo su questo). Il problema è logistico: non va molto d’accordo con l’attuale lavoro, anche se si tratta di lezioni nel week end (ma spero di poterci lavorare su per i prossimi anni). A meno ché non vi convertiate alle conferenze online (ma concordo che sono brutte e asettiche…anche se ti salvano dal famoso caffè Mozzi 😉 ).

  2. Oh grazie! Appena inviata email con richiesta, anche se il corso che mi serviva di più parte proprio domani, e sono fuori termine.

  3. L’ha ribloggato su filosofo79e ha commentato:
    Un posto di Giulio Mozzi sulle scuole di scrittura, sui docenti delle scuole di scrittura, sui corsi dei docenti delle scuole di scrittura, sugli obiettivi dei corsi dei docenti delle scuole di scrittura, sull’appeal degli obiettivi dei corsi dei docenti delle scuole di scrittura.

    P.s. Non, purtroppo, sull’uso del genitivo.

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