di Giulio Mozzi
[Queste schede furono scritte per un libro curato da Giorgio Vasta, Annalisa Garavaglia e Dario Voltolini che apparve nella collana Holden Maps pubblicata da Bur. Il libro s’intitolava Faq ed era composto da domande e risposte sulla narrazione: le domande a cura dei curatori, le risposte a cura di un certo numero di autori invitati. Qui sopra: Johannes Gumpp, Autoritratto, 1646].
4.4.a
Le descrizioni devono essere un tutt’uno col romanzo, o possono essere inserite dopo per chiarire alcuni punti ed allungare il brodo nei limiti del decente?
La domanda è faziosa. Dà per scontato che le «descrizioni» siano un elemento accessorio. Ebbene, non è così.
L’immaginazione di una storia è un’immaginazione «complessiva». Non si immagina una storia nel vuoto cosmico: si immagina sempre una storia in un luogo. Non si immaginano personaggi disincarnati: si immaginano personaggi con carne, ossa, guardaroba e preferenze in materia di scarpe.
Per molti narratori la prima immaginazione è una visione. Vedono un paesaggio, dei corpi, dei movimenti di corpi nel paesaggio. Vedono dei colori, degli oggetti. E, oltre che vedere (meglio: oltre che immaginare di vedere) anche immaginano di toccare con le dita, di annusare con il naso, di assaggiare con la bocca.
Ci sono, evidentemente, storie nelle quali prevale il meccanismo narrativo. Ce ne sono altre nelle quali prevale l’agitarsi dei personaggi. Altre ancora nelle quali il dominano gli oggetti. E così via. La risposta più di buon senso sarebbe dunque: le descrizioni sono essenziali (e quindi sono «un tutt’uno col romanzo») nei romanzi in cui le descrizioni sono essenziali; sono invece accessorie (e quindi possono essere eseguite a parte, al limite delegate a uno specialista in descrizioni) nei romanzi in cui sono accessorie.
Il brodo, comunque, non va allungato mai. Anche un brodo di cinquecento pagine deve avere, in ogni pagina, la stessa densità.
(Questo è un ideale. Ma anche il vecchio Omero, ogni tanto dormicchiava…).
4.4.b
Come si fa una descrizione?
Mettiamo che io voglia descrivere una pistola. Questa pistola viene usata da un criminale per ammazzare una persona. Ovviamente la pistola è un oggetto assai differenti per il criminale e per la vittima.
Mettiamo che io voglia descrivere due corpi, uno dei quali è molto desiderato da me; mentre l’altro mi è indifferente. Ovviamente questi due corpi sono oggetti assai differenti.
Mettiamo che io voglia descrivere un luogo. Ovviamente il mio lavoro sarà assai diverso se la descrizione è commissionata da un architetto (che deve progettare un intervento in quel luogo) o da un terrorista (che deve far esplodere una bomba in quel luogo, col massimo di danno per l’avversario e il minimo di rischio per sé) o da un regista (che intende usare quel luogo per girarvi delle scene d’un film comico, tragico, d’avventura o porno).
Eccetera.
La domanda: «Come si fa una descrizione?» è sbagliata.
La domanda giusta è: «Che cosa mi interessa di questo oggetto, di questo luogo e di questo corpo? Che cosa interessa ai personaggi della storia di questo oggetto, di questo luogo e di questo corpo?».
Il mio scopo è: far sì che l’oggetto, il luogo e il corpo appaiano nella scena mentale del lettore così come sono apparsi nella scena mentale mia – e dei miei personaggi.
Come si fa?
Bisogna avere chiara la visione. Bisogna non trascurare la visione. Bisogna dedicare tempo alla visione. Bisogna contemplare la visione. Bisogna non tirare via sulla visione. Bisogna capire che la visione è importante (vedi 4.4.a).
Poi, vabbè: ci sono tanti modi per descrivere:
– la carrellata (l’autore si muove su una linea continua, gli oggetti appaiono in sequenza),
– la carrellata in soggettiva (il personaggio si muove su una linea continua, gli oggetti appaiono in sequenza),
– camera fissa (l’autore o il personaggi contemplano l’oggetto o gli oggetti che appaiono tutti contemporaneamente),
– la lettura (da sinistra a destra e dall’alto al basso),
– l’incontro casuale (come nel gioco in cui si benda un amico e lo si invita ad attraversare una stanza il cui pavimento è cosparso di bottiglie, formaggini scartati, puntine da disegno, trappole per topi),
– la prospettiva (dato un punto focale, gli si va incontro),
– lo sfondamento (si cammina in avanti, senza un vero punto focale, e ogni piano dello spazio è come un velo che attraversiamo e ci lasciamo alle spalle),
– l’elenco ordinato logicamente (tutto ciò che c’è in un luogo, o addosso a un personaggio, o sopra un oggetto; secondo una tassonomia condivisibile dal lettore),
– l’elenco ordinato arbitrariamente (idem, ma con una tassonomia non condivisibile dal lettore: ad esempio, tutto ciò che c’è in un luogo in ordine alfabetico),
– l’elenco disordinato (privo di una tassonomia riconoscibile),
– la focalizzazione (punto l’attenzione del narraotre o del personaggio su un particolare significativo),
– l’omissione (nascondo all’attenzione del narratore o del personaggio un particolare significativo, «coprendolo» con altri particolari),
– lo sguincio (faccio apparire il particolare significativo, ma di sfuggita e come per caso, sperando che il lettore non lo noti),
– l’astensione (non descrivo),
– la nominazione (non descrivo, ma nomino: dico «un BicMac» anziché dire: «un panino di pane e carne con due fette di carne inframmezzate da una fetta di pane, formaggio, ketchup, lattuga, zucchina, forse maionese»),
– i sensi tutt’insieme (vista, udito, tatto, olfatto, gusto),
– i sensi in sequenza (prima la vista, poi l’udito ecc.; oppure prima il gusto, poi il tatto ecc.),
– i sensi selezionati (solo l’udito, oppure solo l’olfatto; oppure solo tatto e gusto, ecc.).
– i sensi incongrui (vedere con l’udito, udire con gli occhi ecc.),
– la guida turistica 1 (un personaggio accompagna un altro personaggio in un luogo, o gli presenta una persona, o gli mostra un oggetto ecc.),
– la guida turistica 2 (un personaggio, o un testo, descrivono un luogo o una persona o un oggetto ecc.).
e così via.