Dialogo tra un venditore di dolci e il conte Giacomo Leopardi

Giacomo Leopardi, Bottega di narrazione, Operette morali, Scrittura creativa, Creative writing

di Emanuela Carbonelli

[Continuiamo nella pubblicazione dei migliori tra i testi pervenutici nell’ambito del concorso basato sulle Operette morali di Giacomo Leopardi].

Venditore di dolci: Dolci, dolci appena sfornati, sfogliatelle frolle, confetti di Sulmona, dolci per tutte le tasche e golosità! Ne volete Signore?

Conte Giacomo Leopardi: Ah, non potrei, ma… tenete forse dei cannellini?

Venditore di dolci: Certo che sì, Signore, favorite, favorite un assaggio e ditemi se non state in Paradiso quando vi si sciolgono in’mocca e l’anima di cannella si spande! Se questa non è felicità…

Conte Giacomo Leopardi: Lo so bene, lo so bene… ma tanta felicità mi fu fatale.

Bottega di narrazione, Scrittura creativa, Corsi di scrittura creativa, Creative writingVenditore di dolci: Che dite mai illustrissimo? Di certo non furono i miei, tutti di ottima fattura e qualità!.

Conte Giacomo Leopardi: Non dico dei vostri, ma certo ne abusai se ora mi trovo qui con voi. E dite, fu il mio stesso motivo che vi portò in questa dimora?

Venditore di dolci: Che dite mai! Non vedete quanto mi gravano gli anni? Mica si scampa alla morte, ma me ne andai soddisfatto ché il segreto dei “Dolci Panariello & figli dal 1799” passava in mani accorte. Ma voi siete ancora giovane Illustrissimo, che ci fate qua?

Conte Giacomo Leopardi: Ve lo dissi. La felicità mi fu fatale.

Venditore di dolci: Ma come è possibile che la felicità v’abbia gettato nello scuorno della morte così presto?

Conte Giacomo Leopardi: Vedete, io nacqui col dono o la sventura d’esser disposto a comprendere le cose oltre il sentire comune e presto fui certo che la vita non fosse che un grande inganno.

Venditore di dolci: Che dite mai, che dite mai Illustrissimo? Sono parole dal sapore di bestemmia!

Conte Giacomo Leopardi: Eppure per me fu amara verità e cercai di alleggerire l’inganno con un altro inganno. M’adoperai di non mostrarmi troppo felice nel timore che qualche deità maligna, vuoi per invidia o semplice sberleffo non infierisse oltre il sopportabile. Poi il mio aspetto malaticcio unito a qualche guaio di salute aiutarono; ancor più che mi diedi a cantare in poesia i miei affanni e i miei flebili desii.

Venditore di dolci: Così siete poeta…

Conte Giacomo Leopardi: Ebbene sì, ma cedetti alla felicità della gola. Da qualche parte dovevo pur mendicare un po’ di dolcezza. Forse che questa non sia indispensabile a tutti noi?

Venditore di dolci: E lo chiede proprio a me che ho sempre dispensato dolcezze, Illustrissimo?

Conte Giacomo Leopardi: Vedete, esagerai. Deposta la penna, nel chiuso del mio studiolo aprivo un mobile a ribaltina, di cui custodivo la chiave, e naufragavo nel mare di golosità che ivi accumulavo per servirmene alla bisogna.

Venditore di dolci: Quali, Illustrissimo, dite, ché questa è mia materia.

Conte Giacomo Leopardi: Oh, la mia passione erano le tazze di cioccolata, ma quelle potevo consumarle al desco famigliare, così come certe frolle ripiene di ricotta vanigliata e cedro candito, o certi succosi babà al limoncello o ancora certi diplomatici dalla sfoglia croccante infarinata di zucchero a velo e farciti di pasticcera… ma i cannellini, oh i cannellini alla cannella…

Venditore di dolci (gli occhi lucidi di commozione, annuendo): Eh… cotesto si sa, si sa.

Retorica, Stile, Figure retoriche, Scrittura creativa, Corsi di scrittura creativa, Creative writing, Bottega di narrazioneConte Giacomo Leopardi (con occhi non meno lucidi di commozione): Vedete, io tornerei a vivere per riprovare con tutte le mie papille lo squagliarsi di queste creme e liquori fra lingua e palato; quel tripudio di morbidezza e croccantezza che riempie tutta la bocca e sovente deborda e si rivela con una goccia succosa e malandrina all’angolo delle labbra che subito un provvido tovagliolo corre a celare.

Venditore di dolci: Eh, caro signore, piacesse a Dio che si potessero rinnovare certi piaceri!

Conte Giacomo Leopardi: Ma più di tutto io tornerei a vivere per quel lento sciogliersi in bocca di un cannellino, subito seguito da un suo confratello e da un altro ancora. E ancora e ancora… Fugace consolazione alle ugge della vita nello scandire del tempo. Il mobiletto a ribaltina ne era pieno, quel giorno. Sapete la sorella del caro amico presso cui ero ospite aveva avuto la grazia di donarmene quasi due chili.

Venditore di dolci: Quantità da signori, Illustrissimo.

Conte Giacomo Leopardi: Quantità a cui cedetti per gola e per necessità di consolazione. Vedete, in quei giorni Napoli cercava di combattere per come sapeva un’epidemia di colera. Molte misure si erano rese necessarie. Uscire di casa l’indispensabile (ma per le incombenze quotidiane ci pensava la servitù); respirare protetti da un fazzoletto all’alcol di lavanda, tenere a distanza chi non si conosceva, lavare bene le mani e il cibo… insomma tutte le cautele per tenere il morbo lontano nell’attesa che si stancasse da sé. E molte furono le vittime, subito portate alle Fontanelle, vecchie cave di tufo adibite da sempre a ricevere le salme degli appestati.

Venditore di dolci: E vi colpì dunque il colera?

Conte Giacomo Leopardi: Mi colpì l’ingordigia. Per consolarmi di tutte queste restrizioni ne mangiai oltre un chilo senza accorgermene (si scioglievano così in fretta…). Ne fui ingombrato. Per scioglierne il peso vi aggiunsi una tazza di cioccolata bollente e lì iniziarono i dolori di stomaco. I miei amici si premurarono di farmi bere a sera del brodo caldo di pollo e poi, dato che lo stomaco non si liberava, della limonata. Fredda. Fu il disastro. Caddi in un insolito torpore che, se attenuò il dolore, non mi fece più risvegliare.

Venditore di dolci: E che accadde dopo, Illustrissimo?

Conte Giacomo Leopardi: Fu un torpore di morte e immaginate l’imbarazzo dei miei amici che mi avevano ospite e che si sentivano responsabili. Fu stilato un referto di circostanza che tenesse conto dei miei guai di salute, escludesse il colera e non esponesse i miei amici a spiacevoli sospetti.

Venditore di dolci: Quindi aveste degna sepoltura in una chiesa.

Conte Giacomo Leopardi: È mia speranza, anche se chi era preposto alla vigilanza del colera di sicuro avrà gettato dubbi sulla mia morte.

Venditore di dolci: Quindi?

Conte Giacomo Leopardi: Quindi ancor oggi se da quassù mi capita di gettare uno sguardo sul mondo, vedo che parte delle mie spoglie andarono perdute, che corsero dicerie e illazioni, e che in sostanza il mistero intorno alla mia dipartita e sepoltura non fu mai chiarito. A riguardare indietro pare proprio che “Quella vita ch’è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura”. E forse l’unica vita felice potrebbe essere quella della nostra condizione attuale, in questo non essere del e nel mondo. “Non è vero?”

Venditore di dolci: “Speriamo”, illustrissimo, ma dite: non vi pesa quest’incertezza sulla vostra morte e sepoltura e anche di non poter più gioire come allora dei vostri cannellini?

Conte Giacomo Leopardi: Perché mai? Il dubbio alimenta la curiosità e fa brillare ancora il mio nome, quanto ai cannellini, li gusterò più nel ricordo che nel piacere dei sensi, ma… non ne stavate giusto vendendo? Mostratemi i migliori che avete, ché resta sempre dolce il naufragar in questo mare.

Venditore di dolci: Ecco, illustrissimo. Codesti valgono trenta soldi.

Conte Giacomo Leopardi: Ecco trenta soldi.

Venditore di dolci: Grazie, illustrissimo: a rivederla. Dolci, dolci appena sfornati, sfogliatelle frolle, confetti di Sulmona, dolci per tutte le tasche e golosità!

Raccontare il paesaggio, Bottega di narrazione, Scrittura creativa, Creative writing, Letteratura e paesaggio

Una opinione su "Dialogo tra un venditore di dolci e il conte Giacomo Leopardi"

  1. Gradevolissimo. E se si sa che la gola era il vero peccato del conte, che il suo pessimismo fosse una mascheratura un po’ scaramantica è un’idea molto… napoletana.

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