di Giulio Mozzi, direttore della Bottega di narrazione
Uno. Nel nostro mondo vige il cosiddetto “paradigma vittimario”: chiunque sia stato vittima di qualcosa è, proprio in quanto vittima, buono. O quantomeno sta dalla parte del bene. Quindi, se volete scrivere un romanzo scandaloso (e che quindi venderà un sacco di copie), la cosa più semplice e pratica è costruire una storia in cui questo paradigma venga infranto.
Due. Per esempio, la vittima potrebbe essere un personaggio cattivo, infido, viscido, crudele, e chi più ne ha più ne metta. Ma, attenzione: il personaggio deve essere cattivo, infido, viscido, crudele, e chi più ne ha più ne metta, ma soprattutto deve essere veramente una vittima. Non può essere una falsa vittima, o uno che finge di essere una vittima.
Tre. Nel nostro mondo vige anche il cosiddetto “paradigma redentivo”: il cattivo può salvarsi, può redimersi appunto. Ma se volete scrivere un romanzo veramente scandaloso (e che quindi venderà un sacco di copie), dovete mostrare un cattivo che affronti tutte le tappe di un percorso redentivo – e alla fine risulti ancora cattivo. Ma, attenzione: il personaggio deve affrontare veramente tutte le tappe del percorso redentivo. Non può essere un mentitore, un falso redento, uno che finge di volersi redimere.
Quattro. Ma più scandaloso ancora (e venderà ancora più sacchi di copie) sarà il romanzo che mostri una vittima, una vera vittima, accettare lo statuto di vittima. Ma, attenzione: non stiamo parlando di personaggi perversi (il mondo ne è pieno). Stiamo parlando di una vittima normalissima, una casalinga di Treviso, un pastore abruzzese, un bracciante lucano, che trovandosi a essere vittime decidano, o scelgano, ragionatamente o d’istinto, di trovare nella condizione di vittima la propria felicità, il proprio senso della vita.
Cinque. Ma ancora più scandaloso (e via, con le dozzine di sacchi di copie) sarà il romanzo che mostri una vittima, una vera vittima rifiutare lo statuto di vittima. Ma, attenzione: non stiamo parlando di una vittima che si ribella al sopruso eccetera. No. Stiamo parlando i una vittima, una vera vittima, che decide, ragionatamente o d’istinto, di rifiutare tutti i possibili risarcimenti, tutti i possibili conforti – a cominciare dal conforto di essere, appunto, considerata “vittima” e in quanto tale da risarcire, confortare eccetera.
Sei. Ulteriormente scandaloso (e qui i sacchi di copie non si conteranno più) sarà però il romanzo che infranga contemporaneamente entrami i paradigmi, quello vittimario e quello redentivo. La vittima di cui al punto cinque non si ravvederà, continuerà fino alla morte, eventualmente usando anche la violenza, a rifiutare lo statuto di vittima; la vittima di cui al punto quattro non si ravvederà, continuerà fino alla morte, e con grande soddisfazione, a godersi la propria condizione di vittima.
Sette. Immaginiamo un bambino al quale vengano ammazzati i genitori. Lui ha dieci anni. Glieli ammazzano davanti agli occhi. Diventato adulto, l’ex ragazzino andrà in cerca di chi ha ucciso i genitori. Per vendicarsi? No, non stiamo parlando di quel pervertito di Batman. Andrà in cerca di chi gli ha ucciso i genitori per farsi uccidere. Naturalmente l’uccisore dei genitori non ucciderà l’ex bambino: lo terrà al proprio servizio, lo legherà con la promessa che prima o poi lo ucciderà, lo manderà a compiere le più orribili missioni – missioni nel compiere le quali l’ex bambino agirà con violenza inaudita, stritolando innocenti, squartando sant’uomini, violando vergini, licenziando lavoratori indefessi. Quando finalmente la polizia acchiapperà il cattivo originario – l’uccisore dei genitori dell’ex bambino – l’ex bambino combatterà contro la polizia. Libererà il cattivo. Gli chiederà, in ricompensa, di essere ucciso. Il cattivo rifiuterà, ridacchiando.
Otto. A questo punto, frustratissimo, l’ex bambino potrebbe decidere di intraprendere un percorso redentivo. Pian piano diventerà buonissimo. Naturalmente, però, non perderà la vecchia abitudine di cavare gli occhi a chiunque, ricordando il suo passato di vittima, accenni anche vagamente un gesto o un tono di voce di compatimento, comprensione, o caldo affetto.
Nove. Tutto questo c’è già, dirà qualcuno, nel cinema di Quentin Tarantino. Non per nulla l’immagine in alto ritrae la figlia di “Vernita Green”. Vernita viene uccisa nella scena d’apertura di Kill Bill I. E girano voci che, appena sarà possibile di nuovo girare film, Tarantino voglia buttarsi nell’impresa di girare Kill Bill III, che potrebbe avere per protagonista appunto la figlia, diventata grande, di Vernita Green: desiderosissima di vendicarsi su Beatrix Kiddo (Uma Thurman, ovvero la ragazza in giallo). Notate? Vittima che diventa vendicatrice, ma che vuole vendicarsi su un’altra vittima diventata vendicatrice (vittima per, quest’ultima, con un passato da assassina professionale). Sarebbe scandaloso se Beatrix vincesse suglia figlia di Vernita? Se la donna con un passato da assassina facesse fuori l’ex bambina innocente? O non sarebbe scandaloso il contrario, ossia se Beatrix – la Beatrix che tanti spettatori hanno adorato – venisse ammazzata dalla figlia della donna (un’altra assassina, detto en passant) che ha uccisa? Forse la cosa più scandalosa di tutte sarebbe: che le due donne finissero con l’allearsi.
Dieci. Ma: sono veramente scandalosi, i film di Quentin Tarantino? Tutto sommato no, visto che alla fin fine propongono sempre una specie di lieto fine. Ma è innegabile che al botteghino hanno sempre fatto un sacco di soldi, anzi svariati sacchi.
