di Giulio Mozzi
direttore della Bottega di narrazione
Sono sempre in difficoltà quando mi viene chiesto di spiegare di preciso che cosa sia il laboratorio di Autobiografia automatica che di tanto in tanto propongo per la Bottega di narrazione – scuola di scrittura creativa.
Sono in difficoltà perché da una parte il mio istinto è di spiegare tutto minutamente, dall’altra ho la sensazione che spiegando tutto minutamente l’efficacia del laboratorio – di questo specifico laboratorio – rischi di svanire, o almeno diminuire assai.
Allora ci provo così. Se io vi dicessi, ora, di scrivere, così sui due piedi, una poesia, anche piccola, diciamo una specie di haiku, credo che voi sareste in difficoltà. Ma se vi dicessi di scrivere, sempre sui due piedi, una poesia (anche piccola ec.) in cui tutte le parole (tolti gli articoli ec.) comincino con la lettera “f”, la faccenda sarebbe più facile. In pochi secondi ho scritto questo:
Fuori fa freddo,
le foglie frullano.
Il fato. La fine.
Il valore poetico è meno di zero, ma comunque il compito l’ho eseguito (molto autunnalmente).
Portando la cosa più in generale, vale – di solito – il principio che “le costrizioni aiutano l’invenzione” (se volete, è un caso particolare de “La difficoltà aguzza l’ingegno”). Nelle “Postille” al “Nome della rosa” Umberto Eco scriveva: “Sceglie una costrizione il pittore che decide di usare l’olio piuttosto che la tempera, la tela piuttosto che la parete; il musicista che opta per una tonalità di partenza (poi modulerà, modulerà, ma è a quella che dovrà pur tornare); il poeta che si costruisce la gabbia della rima baciata o dell’endecasillabo”. E non mancano le opere narrative interamente costruite a forza di costrizioni: basti pensare a La vita istruzioni per l’uso di Georges Perec (per chi volesse approfondire, un bel saggio di Paolo Albani).

Negli anni passati a leggere inediti – una ventina e passa – mi sono capitati tra le mani non so più quanti racconti di testimonianza e non so più quante autobiografie. Il difetto più frequente – ma anche il più sorprendente – di queste opere, spesso molto ingenue, è la sparizione dei fatti. Ci sono i sentimenti, spesso molti o moltissimi sentimenti, ci sono le grandi decisioni, ma non c’è traccia della vita quotidiana, del “lungo migrare dei giorni”, della materialità del vivere. Anche se è lì dentro, nella vita quotidiana, che tutto avviene.
Tanti anni fa (diciamo ventitre o ventiquattro anni fa), in un gruppo di scrittura (lavoravo ancora nel circolo “Lanterna magica” della mia città, Padova), assegnai un esercizio: “Scrivi tutto ciò che sai sui tuoi piedi”. E imposi, ovviamente, una costrizione: non meno di quattro pagine (all’epoca tutti arrivavano a lezione con quadernetto e la penna biro). Furono scritte cose strabilianti. Insistemmo. Nel giro di qualche incontro l’esercizio sui piedi lievitò, fino a diventare un vero e proprio lavoro di autobiografia.
A un altro gruppo di scrittura, sempre più o meno in quegli anni, partecipò un distinto signore che da anni andava scrivendo una – la definiva così lui, ridacchiando – “autobiografia sperabilmente interminabile”. Ne lessi circa duecento pagine, sbadigliando a slogamascella. Ma il testo era in effetti pieno di cose interessanti e curiose. Gli proposi di trasformarlo in una sorta di “enciclopedia della gioventù”. Riuscì una cosa abbastanza dignitosa, qua e là molto divertente. Il distinto signore se la stampò da sé – non aveva mai avuto alcuna ambizione letteraria, voleva lasciare un dono ai numerosissimi nipoti -, la distribuì, e poco dopo morì.
Allora: il laboratorio di “Autobiografia automatica” è basato su queste esperienze (e su un bel po’ di letture e di studio, com’è ovvio). E’ un laboratorio nel quale costringerò i partecipanti a scrivere molto e al volo – usando le costrizioni -, e poi a tornare su ciò che hanno scritto, riutilizzarlo e riformularlo, ritagliarlo e rimontarlo, e così via.
La cadenza stretta degli esercizi tende a sollecitare la parte involontaria della memoria e a provocare una scrittura quasi automatica; il lavoro successivo permette di dare a tale scrittura un ordine e, si spera, un senso.
Questo è tutto. Per il resto – ossia: per chi volesse iscriversi al laboratorio di Autobiografia automatica – tutte le informazioni sono nella pagina dedicata.
[In cime all’articolo: una fotografia di Mila Kucher]
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