di Giulio Mozzi
direttore della Bottega di narrazione
1. Scrivete libri. Ma non scrivete i vostri libri. Scrivete i libri degli altri. Basta fare un giretto in rete per scoprire che c’è chi chiede tranquillamente ventimila euro per un ghostwriting. E naturalmente dice: “Ho scritto libri che hanno vinto questo e quell’altro premio, che hanno fatto tot e tot decine o centinaia di migliaia di copie. Sono bravo, bravissimo. Epperò no, non posso permetterti di controllare se ciò che dico è vero no; non posso – per evidenti ragioni – dirti qual è il Campiello che ho scritto io, qual è lo Strega che ho rimesso a posto io, qual è il bestseller che ho fabbricato io per l’autore ormai stanco e in crisi”. Ventimila euro. Sulla fiducia. Senza uno straccio di garanzia, senza un minimo di curriculum, senza niente di niente. Se ne becchi anche solo uno per stagione, di clienti, fanno ottantamila lordi (lordi, eh) all’anno.
2. Leggete libri. Leggete libri inediti. Ho fatto un esperimento, all’inizio del 2020. Ho provato a chiedere qua e là dei preventivi per la lettura di un mio romanzo. Ho nascosto il mio nome, perché volevo propormi come un aspirante all’esordio – e nell’ambiente, nonostante tutto, il mio nome gira da un pezzo. Ma non l’ho nascosto proprio del tutto: ho affidato l’inchiesta a uno dei miei eteronimi storici. Chiunque avesse consultato Google avrebbe fatto due più due nel giro di un minuto. Ho consultato sette agenzie, un paio molto note e – per quel che ne so – assai qualificate, e altre molto meno note – un paio di assolutamente sconosciute a me, pescate a furia di ravanare nell’internet. Risultato interessante: meno conosciuta e qualificata è l’agenzia, più alto è il preventivo. Addirittura: una delle due agenzie del tutto a me sconosciute, una volta ricevuto il dattiloscritto, si è affrettata a propormi subito non solo il servizio di lettura (con redazione di una scheda) ma anche il servizio di editing. Il dattiloscritto faceva circa 220 mila battute. Complessivamente avrei speso 2.300 euro. Più iva, perché facciamo le cose regolari.
3. Insegnate a scrivere libri. Organizzate dei corsi. Tanto, oggi come oggi, basta un pc decentemente potente, un account Zoom, un po’ di occhio nel farsi la pubblicità su Instagram. Negli ultimi mesi ho collezionato scuole di scrittura, e ho l’impressione che il numero stia aumentando a dismisura. Non ho intenzione di parlar male della concorrenza. Parlo bene degli insegnanti che conosco o dei quali ho sentito parlare dettagliatamente bene (non mi fido di chi mi parla genericamente bene di qualcuno), ossia di Raul Montanari, di Antonella Cilento, di Ivano Porpora, di Mattia Signorini, di altri ancora; non parlo di chi non conosco – o non conosco come insegnante; dico quel che penso su chi ho visto con i miei occhi lavorare secondo me male. Ma noto come siano ormai frequentissime le offerte del tipo: “Come scrivere un romanzo. Un fine di settimana (dodici ore in tutto) full immersion. 160 euro (iva compresa)”. O son dei maghi, questi qua, o io sono proprio un deficiente.
4. Imitate libri. Dovete tenere le orecchie dritte. I libri vanno a folate. L’altr’anno c’erano i libri sulle lingue: com’è bello l’italiano, com’è bello il latino, com’è bello il greco antico, com’è bello l’inglese. Oppure: escono le Storie della buonanotte per bambine ribelli, e subito arrivano le storie della buonanotte per bambine romantiche, per bambini che stanno mettendo i denti, per manager in dissesto emotivo, per casalinghe che non ce la fanno più, per millennial sfiancati dal precariato, e così via. L’importante è essere veloci. Trovatevi un editore qualsiasi, meglio un editore medio-piccolo, di quelli che fanno un po’ fatica ad apparire in libreria, e fatevi venire un’idea geniale: una gramellinata, una bussolata, una medicina nuova (Curarsi con i libri c’è già, Curarsi con la musica pure, Curarsi l’anima con l’arte anche, ma basta diventare più specifici: curare l’ernia con i libri di filosofia, curare l’ansia con la musica hip-hop, curare il disincanto con l’arte povera, e così via); l’importante poi non è vendere davvero, è convincere l’editore, e beccarsi un anticipo come si deve. Il libro, poi, si scrive in due pomeriggi.
5. Copiate libri. La manualistica è il giardino di Armida della copiatura. Tutti hanno bisogno di saper fare le cose pratiche (cucinare i porri, aggiustare il gabinetto, confezionarsi mascherine in casa, rattoppare i copertoni della bici, far sparire la muffa dai muri del garage, ec.). Qui la ricerca di mercato è la più semplice di tutti: guardatevi un po’ di tutorial – tutorial di qualsiasi cosa – in Youtube, finché Youtube comincerà a proporvi tutorial di qualsiasi cosa. Guardate le visualizzazioni. Fatevi un cavolo di foglio Excel. Scegliete l’argomento. Magari vi inventate una collana. Quanto a scrivere, poi, con tutti quei tutorial a disposizione, è un gioco da ragazzi: basta trascrivere. (Se poi riuscite a confezionare un Come risolvere amichevolmente le questioni di condominio, sarò il vostro primo compratore).
6. Metamorfosate libri. Grandissimo è stato il successo de I leoni di Sicilia, di Stefania Auci, storia della dinastia dei Florio, quelli del Marsala. E perché non fare una storia degli Antinori o dei Frescobaldi di Firenze (tanto per stare sui vini, e avete un seicent’anni da raccontare), dei Borsalino di Alessandria, dei Barilla di Parma, dei Beretta di Brescia (cinque secoli!), dei Branca di Milano (quelli del Fernet), degli Zuegg di Laces, e chi più ne ha più ne metta (per trovare ispirazione: qui). Lasciate perdere Berlusconi, che i romanzi familiari preferisce scriverseli da solo. In fondo si tratta di storie semplici: le faccende industriali eccetera le trovate in Wikipedia, o negli stessi siti delle aziende; per il resto ci vogliono un po’ di corna, un po’ di lutti, un po’ di amori romantici, un po’ di intuizioni, un po’ di conflitti generazionali, un cognato matto, o un cognato di genio, un patriarca, un figliolo che voleva far l’artista e invece, eccetera. Tutta roba che si trova ovunque, basta scopiazzare dai romanzi dell’Ottocento.
7. Esasperate libri. Per molti anni il volumetto Ciò che gli uomini sanno delle donne fu stabilmente tra i più venduti: ed era un libretto, com’è facile intuire, fatto tutto di pagine bianche. Potreste immaginarvi, che so, Il grande libro della gente che conta, riempiendolo con tutti i numeri, ma proprio tutti, dall’1 fino a boh, vediamo: dipende dal numero di pagine cui volete arrivare, ma tutto sommato da uno a un miliardo in un libro ci si sta (una volta esisteva un blog che si chiamava Il blog della gente che conta, nel quale non si faceva altro – appunto – che scrivere numeri tutti in fila, dandosi il turno: l’ideatore si firmava Bandini. Un vero genio. Archive Org ha conservato una sua traccia: qui; ringrazio Alessandro Lise che mi ha aiutato a ritrovarla). Oppure: Il libro delle risposte c’è già, ma perché non ci inventiamo Il libro delle domande? In fin dei conti lo sanno tutti, che la cosa importante è farsi le domande giuste, che tante volte non si trovano le risposte perché le domande sono sbagliate, e così via. Oppure: il libro dell’orario ferroviario non si usa più (io ero tanto, tanto affezionato all’Orario Pozzo) ma perché non fare, anziché un libro con l’orario dei treni, un libro dei treni che arrivano in orario? Non esiste più l’elenco del telefono, ma perché non fare un libro di chi telefona a tutti i numeri dell’elenco?
8. Parassitate libri. Prendete un libro di successo, non un libro di narrativa, un saggio, possibilmente un saggio di attualità, e scrivete un altro libro nel quale si affermi puntualmente l’esatto contrario. Non è necessario che vi confrontiate con il vostro “avversario”. Potete anche non citarlo mai. Oppure: prendete un libro di vent’anni fa, uno di quei libri che vent’anni fa tentavano di immaginare che cosa sarebbe successo vent’anni dopo, cioè oggi; e scrivete un libro nel quale mostrate come vent’anni fa ci si immaginava un oggi completamente diverso da quello che l’oggi effettivamente è (o ci sembra). Anche qui: non è necessario esplicitare sulle spalle di chi vi state reggendo in piedi. O anche: prendete un saggio classico, ma classicissimo, per esempio il Discorso sullo stato presente dei costumi degl’italiani di Giacomo Leopardi, e scrivete un libro intitolato, per esempio, Discorso sullo stato presente dei costumi degli italiani (eh, quell’apostrofo non si usa più), ma attualizzandolo, e anche qui andando a contrasto, e decidendo prima se volete punto per punto sbugiardare Leopardi, o riconoscergli una virtù profetica, o farne un cattivo maestro, e così via.
9. Plagiate libri. Scrivete un romanzo d’amore. Tanto sono tutti uguali. Sceglietene uno per esempio ungherese, e che sia stato tradotto solo in Francia (perché voi, giustamente, la lingua ungherese non la praticate tanto). Cambiate un po’ le situazioni. Sostituite luoghi italianissimi ai luoghi ungheresissimi. Mettete la prima Repubblica al posto del comunismo, il berlusconismo al posto del postcomunismo. Ribattezzate Giuseppe quel Làszlo, Mariella quella Bözsi. Ricordatevi di consultare l’elenco storico dei cambi, per il valore dei soldi. Trasformate il viaggio di nozze del protagonista, ovviamente in Italia, in un Erasmus a Barcellona. Il gioco è fatto. Con un po’ di abilità, potreste cavar fuori almeno tre romanzi da un romanzo solo. E non scandalizzatevi: nei Seicento, nel Settecento, nell’Ottocento, prima del copyright insomma, queste cose le facevano tutti: e nessuno si faceva problemi.
10. Una vocina dice: “Ma, Mozzi, lei, queste cose le ha fatte tutte, vero?”. Ebbene sì, confesso, queste cose le ho fatte tutte (e continuo a farle, non proprio tutte, ma questo dipende dalle occasioni). “Lei è dunque uno che ha fatto, che fa, cose veramente ignobili”. No davvero. Perché, a pensarci bene, tutte queste cose possono essere fatte con onestà. In fondo, anche il Joyce, non ha forse plagiato l’Odissea? E il Manzoni, non ci ha forse propinato un Walter Scott alla milanese (in salsa fiorentina, però)? Eccetera eccetera. Alla fin fine, quel che conta è che un lavoro sia fatto bene, anche se è uno sporco lavoro (e qualcuno deve pur farlo, naturalmente).

Grazie Mozzi, la. sua analisi spietata,suggestiva,intrigante, coinvolgente, illuminante davvero utile a me esordiente del tutto ignara di come vanno certe cose. Lontana da quel mondo scrivo per il piacere di scrivere senza fini commerciali. A vendere non sono brava.
Signor Mozzi le suggerisco un libro di sole domande di Padgett Powell – The Interrogative Mood: A Novel? – è un libro che maciulla l’anima. Un caro saluto.
Uscì per Guanda, in Italia, una decina d’anni fa. E’ in effetti notevole.