In terza fila / Gialli in piscina

Narrativa gialla, bottega di narrazione, scrittura creativa, creative writing, come si scrive un giallo

di Giovanni Zucca
docente della Bottega di narrazione

Ma cos’è, com’è, come funziona, questa mania, questa follia dell’andar matti per i gialli?
In generale, sono sincero, non lo so.
Ma per me, per esempio, anche così.
Ah, certo, la solitudine di Philip Marlowe, la dialettica servo-padrone in Nero Wolfe e Archie Goodwin, la ricerca di un’identità nel crimine in Tom Ripley…
Eh no. Troppo facile, passare dalla porta principale.
Ma allora?
Così.

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Mi considero una sorta di topo di libreria (in entrambe le accezioni, anzi tre – libreria brick and mortar e digitale, oltre agli affollati scaffali di casa). Ma di tanto in tanto, persino a me capita di uscire e andare in piscina. Non una qualunque: questa è pubblica, e non lontana da casa.
Dice, e allora? Sai a me quanto.
E allora, ci si può andare anche senza costume, accappatoio e ciabattine infradito.
Vedo espressioni perplesse, e domande che affiorano come nuotatori in debito di ossigeno. Svelo subito il giochino: l’acqua neanche la vedo, perché varcato il cancello esterno mi fermo accanto alla porta a vetri dell’ingresso, per frugare nei due armadietti in vetro e metallo, con la scritta “Bookcrossing”.
A volte lascio qualche libro da cui ho deciso di separarmi e basta, a volte lascio e prendo. Qualche settimana fa, scorrendo i volumi presenti (di tutto, tra la chicca inattesa e il residuato bellico – dipende dalle volte) mi scappa l’occhio su due sottili dorsi bianchi (uno dei quali anche macchiato, per giunta). Inconfondibili, all’occhio un po’ allenato.
Allungo la mano, verifico, prendo e porto a casa.

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Nel proliferare di collane economiche, da libreria e da edicola, del secondo dopoguerra, uno spazio rilevante lo occupano le collezioni di libri gialli, create sia dai grandi editori che da altri marchi di cui oggi si sono perse le tracce. Tra le tante che nascono (e muoiono, talora anche in tempi brevi), un bel tentativo di entrare in concorrenza con i Gialli Mondadori, da sempre il leader in questo mercato, è rappresentato dai Gialli Rizzoli, il cui primo numero (Michael Collins, Un atto di paura) spunta dalle edicole italiane il 5 giugno 1975 (il giorno dopo avrei compiuto diciotto anni, ma questo è rilevante solo per me – e neanche più tanto, dopo tanto tempo).
Non mi dilungo qui sulla storia della collana (nell’immagine in alto, un’inserzione pubblicitaria dell’epoca), che resisterà meno di un anno e mezzo e in cui accanto ad autori poco o pochissimo noti (ma non per questo meno validi), e sotto belle immagini di copertina a colori (quadrate, per non evocare l’inconfondibile “cerchio” di Carlo Jacono), compariranno anche star non ancora tali – dalla britannica P.D. James allo statunitense Martin Cruz Smith – e solidi e prolifici artigiani dell’hardboiled e della spy-story quali Robert B. Parker e Brian Freemantle (rimando chi volesse approfondire la vicenda editoriale dei Gialli Rizzoli a questa interessante e dettagliata analisi).
Mi soffermo invece brevemente sui due titoli frutto del “passaggio” in piscina, perché utili a rispondere alla domanda iniziale: ribadito che li ho presi per l’appartenenza di collana (entrambi gli autori mi erano sconosciuti) e per le copertine accattivanti, anziché posizionarli in terza fila ho provato a leggerli subito (be’, quasi) – sono entrambi brevi.

Bottega di narrazione, Scrittura creativa

Ora, dell’ultima missione di John Miro, agente dell’antiterrorismo, mi sono stancato dopo poche pagine: sembrava la continuazione di precedenti avventure (sensazione confermata dalla lettura dell’articolo sopra citato), e forse la traduzione non era eccezionale (succede, da traduttore parlo per esperienza vissuta). Morale, mollato lì – è un mondo difficile, come predica il filosofo Carotone.
Invece, con L’ultima fermata a White Sands (“ultimo” è aggettivo gradito a titoli che vogliano evocare una qualche tensione: pensate a Ultima notte a Warlock o all’Ultimo dei Mohicani, ma anche all’Ultimo samurai, passando per Ancora vivo – in originale Last man standing, letteralmente “L’ultimo uomo in piedi”, fino all’Ultimo metrò), sono arrivato fino in fondo. L’inglese Fred e l’americano Gene si ritrovano riuniti dal caso: Fred ha un incidente sulle strade del New Mexico, e si imbatte in Gene, già ricercato, che uccide un poliziotto e si trascina dietro Fred, dapprima ostaggio e poi riluttante complice – fino all’inevitabile epilogo, intuibile dopo poche pagine. Nessuna traccia di giallo (a parte il sole, che picchia sulle teste dei due sempre più stanchi fuggiaschi) in questa sorta di romanzo di formazione venato di noir; un confronto a due (in cui uno solo potrà restare “in piedi”) attraverso una wilderness indifferente e inospitale, ben tratteggiata dal racconto di Edward Thorpe (il paesaggio, fino alle splendide dune bianche di White Sands, è a tutti gli effetti il terzo personaggio principale del romanzo).
Due libri imperdibili? Per carità. Ma la miscela di “celo, celo, manca” unita al senso-del-possesso-che-fu-prealessandrino, condita da copertine non banali e dal “dai, raccontami un’altra storia” – è più o meno così che funziona.
Anche passando da una porticina laterale un po’ ammaccata; da libri forse già destinati alla terza fila.
Matti per i gialli. Una malattia. C’è chi ne è guarito (forse perché colpito in forma leggera – asintomatica e non contagiosa), e io stesso in qualche occasione ho pensato di “stare meglio”, di poter “guarire”…
Ma intanto, cavoli, mi chiedo quando potrò tornare in quella piscina. Rigorosamente senza costume, accappatoio e ciabattine infradito.

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Edward Thorpe, Ultima fermata a White Sands, Gialli Rizzoli n. 24, 13/11/75 (The Night I Caught the Santa Fé Chief, 1972, traduzione dall’inglese di Michael Levy).
Shaun Herron, Ultima missione per Miro, Gialli Rizzoli n. 31, 1/1/76 (Miro, 1968, traduzione dall’inglese di Lia Defalco).

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Nota a margine / 1 – Ho finito di leggere Thorpe la mattina presto del 3 novembre 2020, alternando le ultime pagine ai refresh dello schermo dello smartphone, posizionato sulla prima pagina del New York Times con gli aggiornamenti sulle presidenziali Usa. Chiuso il volumetto, ho chiuso gli occhi nella penombra intorno all’alone della lampada da comodino, poi sono tornato indietro di poche pagine (saltando le vignette e i giochi, i quiz ecc. in coda al volume – delizioso tocco d’epoca) e ho riletto il commento di un poliziotto accanto al cadavere del personaggio che “non è rimasto in piedi”. “Robaccia bianca”. Non dispongo dell’originale, ma scommetterei che in inglese era White trash. Ho richiuso il libro. Ho guardato il numero dei voti per Trump. E niente, ho spento la luce e tentato di recuperare una mezz’ora di sonno.

Nota a margine / 2 – I due libretti li ho prima lasciati fuori sul balcone e poi in un angolo per qualche giorno, per lasciar svanire eventuali presenze virali e non violare qualche dpcm (uno dei temi del giallo non è forse il ripristino di un ordine violato?).

Nota a margine / 3 – Per chi fosse curioso, su e-bay si trovano diversi titoli dei Gialli Rizzoli, a prezzi variabili (ne ho recuperati alcuni mentre finivo la prima bozza di questo articolo, ma ve ne ho lasciati molti di più).

Nota a margine / 4 – ma perché Terza fila? Semplice, ho pensato ai libri che finiscono dietro nella libreria di casa, a volte anche in terza fila (coi tascabili ci si riesce, a fare tre file) e così si perdono pian piano nell’oblio, ingialliti e coperti di polvere. Salvo quando ti tornano in mente, o li ritrovi per sbaglio, mentre cerchi qualcos’altro. E ti si aprono possibili strade nuove – o se ne riaprono di vecchie, forse prematuramente abbandonate.

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Scrittura creativa, Creative writing, Editing, Consulenza narrativa, Consulenza letteraria