di Giulio Mozzi
[Diversi anni fa Gianni Bonina mi chiese di compilare per la rivista Stilos una rubrica che fosse qualcosa come “un corso di scrittura creativa a puntate”. Scrissi 100 puntate. Se le volete tutte in un colpo, le trovate qui. Rielaborate e aggiustate, le 100 puntate sono diventate anche un libro, pubblicato da Terre di mezzo: (non) un corso di scrittura e narrazione. Da oggi le ripubblicherò qui, una al giorno (salvo inconvenienti e incidenti); e cercherò di rispondere a eventuali domande, obiezioni, dubbi eccetera. Occasionalmente inserirò negli articoli, come approfondimento, qualcuna delle mie videolezioni].
Buongiorno, buongiorno. La settimana scorsa [cioè ieri…] dicevo: il romanzo imita il mondo anche nel senso che imita tutte le scritture del mondo. Nei Fratelli Karamazov di Dostoevskij troviamo, incastonati dentro il romanzo, addirittura tre interi libri: la vita del santo monaco Zosìma, scritta da Aleksèj Karamazov (un libretto edificante, un’agiografia); il racconto del poema La leggenda del Grande Inquisitore (non leggiamo il poema che Ivan ha scritto, ma ascoltiamo il racconto che Ivan ne fa a Dimitri); la requisitoria del pubblico ministero al processo che conclude il libro (un’ottantina di pagine, nella mia edizione). Quindi: scrittura agiografica, scrittura poetica o para-poetica, scrittura giuridica. Nel Moby-Dick di Melville troviamo infinite citazioni (vere, false) da testi che parlano di balene e capodogli; ma troviamo anche (occupa due capitoli) la predica d’un pastore sulla storia di Giona nel ventre della balena. Memoriale di Paolo Volponi è un romanzo che consiste tutto, appunto, di un “memoriale” scritto dal protagonista, un operaio molto nevrotico: vi parla dunque la lingua della nevrosi.
Del romanzo Vogliamo tutto l’autore, Nanni Balestrini, non ha scritta una sola parola: racconta i moti di fabbrica dei primi anni Settanta incollando pezzi giornalistici, comunicati sindacali, volantini, interviste registrate a operai e dirigenti, documenti interni dell’azienda (la Fiat). Gadda, come noto, usava tutte le parole che gli capitavano a tiro. Pasolini faceva parlare i suoi «ragazzi di vita» in un italo-romanesco insieme degradato e poetico; Marco Franzoso in Westwood dee-jay sembra ripetere l’operazione con l’italo-veneto d’oggi; Aldo Nove attribuisce a certi suoi personaggi la lingua di Novella 2000 o di Ok, il prezzo è giusto; Andrea Camilleri si diverte (nella Scomparsa di Patò e nella Concessione del telefono) a “far parlare i documenti”, costruendo narrazioni sotto forma di dossier: articoli di giornale, relazioni di polizia, corrispondenza burocratica (ma, diversamente da Balestrini, Camilleri inventa – così sembra – i suoi materiali e li tiene ben distinti, non li contamina tra loro). In somma, tutte le lingue che si parlano e si scrivono nel mondo possono entrare – citate, imitate, collageate, parodiate, evocate, filologizzate – dentro il romanzo.
«Nella pubblicità di un sapone si possono fare scoperte altrettanto preziose che nei Pensieri di Pascal»: non lo dice Aldo Nove, lo dice Marcel Proust (in Albertine scomparsa, cap. I): Proust, infatti, era un abilissimo parodista; e a ogni personaggio della Ricerca ha attribuita una sua specifica lingua (sintassi, lessico, registro, intonazione, gestualità), anche a rischio di rendersi insopportabile (quando parla la signora Verdurin, vengono i brividi tant’è sgradevole; la duchessa di Guermantes parla più per toni di voce, piccoli suoni gutturali, che per parole e frasi compiute; nel signore di Charlus, invece, risplende la gloria della lingua francese; ecc.).
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La prima imitazione che si attua nel romanzo è dunque l’imitazione delle lingue del mondo. È ovvio che per imitare bisogna conoscere; e per conoscere bisogna innanzitutto distinguere. Colui che fa «scoperte preziose» tanto nella pubblicità d’un sapone quanto nei Pensieri di Pascal non è il lettore indifferente, quello che “digerisce tutto”: è invece il lettore che sa distinguere i sapori e gli odori delle parole e dei giri di frase: non il lettore bulimico, ma il lettore bongustaio.
A chi desideri raccontare storie suggerirei di esercitarsi – per gioco, per esercizio – nelle imitazioni e nelle parodie. Anche tradurre può essere molto istruttivo. E perfino semplicemente copiare è un’attività molto utile. La lettura attentissima, lenta, che bisogna fare per copiare un testo è il modo più pratico per imparare come quel testo è fatto, come funziona la sua lingua. Ad esempio, se provate a copiare una pagina dei Promessi sposi, vi accorgerete di quanta punteggiatura vi si trovi dentro: punteggiatura che, a una lettura normale, quasi non si nota tanto è opportuna e ben sistemata.
Nessun manuale o dizionario, peraltro, potrà sostituire il puro e semplice godimento della lettura o dell’ascolto di lingue diverse. Io m’incanto spesso, in treno – viaggio moltissimo in treno – ad ascoltare le persone che parlano. È molto bello ascoltare i bambini, vedere come pian piano s’impadroniscono della lingua, come si divertono a usare le parole appena imparate (mio nipote Aldo, cinque anni, che dice: «Giochiamo a chi dice la parola più diversa»; sua sorella Anna, quattro anni, che gli chiede di farle spazio sul divano – per guardare i cartoni della Pimpa – e, dopo essersi sistemata, gli dice solennemente: «Sei proprio un gentiluomo»).

L’ha ribloggato su Flavio Firmo's Blog.