100 lezioni di scrittura creativa / 32 (dove si scopre che la puntata 32 sarebbe in realtà la 31, e viceversa)

Scrittura creativa, Corsi di scrittura creativa a Milano

di Giulio Mozzi

[Diversi anni fa Gianni Bonina mi chiese di compilare per la rivista Stilos una rubrica che fosse qualcosa come “un corso di scrittura creativa a puntate”. Scrissi 100 puntate. Se le volete tutte in un colpo, le trovate qui. Rielaborate e aggiustate, le 100 puntate sono diventate anche un libro, pubblicato da Terre di mezzo: (non) un corso di scrittura e narrazione. Da oggi le ripubblicherò qui, una al giorno (salvo inconvenienti e incidenti); e cercherò di rispondere a eventuali domande, obiezioni, dubbi eccetera. Occasionalmente inserirò negli articoli, come approfondimento, qualcuna delle mie videolezioni].

[Ho fatto un po’ di confusione. Questa lezione sarebbe in realtà la 31, e si riallaccia alla 30.gm]

Martedì scorso finivo citando una breve notizia di cronaca (dal Gazzettino, pagine provinciali di Padova). La ripeto:

Ieri pomeriggio a Monteortone due giovani a bordo di una motocicletta hanno rotto il vetro di un’auto parcheggiata in via Castello da una coppia di turisti tedeschi e si sono impossessati della busta di plastica lasciata sul sedile, contenente un pacco di fazzoletti di carta e alcune creme antisole. Gli agenti della polizia municipale hanno accompagnato la coppia a sporgere denuncia ai carabinieri.

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Clicca sulla Lettera 32 per leggere il bando della Bottega di narrazione 2015-2016
Si può dire che la notizia è insignificante. Eppure contiene una sorta di promessa di narrazione. A partire da questo fatto insignificante, potrebbe succedere di tutto. Perché mai due tizi in motocicletta dovrebbero rubare una busta della spesa abbandonata sul sedile di un’automobile? O sono due sciocchi, o avevano qualche ragione di credere che in quella busta potesse esserci qualcosa d’importante. Avendo una motocicletta, è molto più redditizio uno scippo al volo (mal che vada si porta a casa un portafoglio) che una simile rapina (di pochissimo conto, ma sempre rapina è).

Poi: chissà che cosa ci facevano, due turisti tedeschi, a Monteortone. Monteortone è, va l’assicuro, tra tutti i paesi della provincia di Padova, uno dei meno rilevanti turisticamente. Non c’è nessuna ragione precisa perché dei turisti debbano andare a Monteortone. E allora, che cosa ci facevano lì? E che cosa volevano veramente rubare i due motociclisti? E si è trattato veramente di un furto oppure di un modo, per chissà quali ragioni così stabilito, di far passare di mano un oggetto? In fondo, che dentro la busta ci fossero solo fazzoletti di carta e cosmetici, l’hanno detto i due turisti, non è mica un fatto accertato…

Molti romanzi o racconti cominciano così: con un fatto banale, anche futile, che tuttavia apre una promessa di narrazione: ossia, pur nella sua banalità, contiene qualcosa di inspiegabile, o almeno di illogico. L’abilità del narratore consiste, in questi casi, nel proporci un mondo nel quale le cose che avvengono sono banali (e perciò, va da sé, senza esitazione credibili) e tuttavia lievemente “sfasate” rispetto alla vera e autentica banalità (quella, per intenderci, che sperimentiamo nella nostra vita quotidiana).

La narrazione in somma ci propone avvenimenti perfettamente credibili, che però non sono davvero del tutto perfettamente credibili. Sono credibili, ma ci lasciano il sospetto che “ci sia sotto qualcosa”. Sono credibili, ma hanno un particolare che, a pensarci bene, è troppo strano per essere creduto così sui due piedi. Sono credibili, ma forse basterebbe osservarli da un altro punto di vista…

* * *

Eravamo forse una decina o qualcuno in più. Eravamo ai giardini pubblici. Era novembre. Era vino. Ce n’era tanto. Per tenersi caldi, per stare vicini. Qualcuno esagerò. Più di qualcuno, a dire il vero. Poi uno corse ad abbracciare un albero enorme e iniziò a sgranare parole senza senso circa la fecondazione e gli elefanti in Indonesia.

Questo è l’incipit di Come gli elefanti in Indonesia, romanzo assai bizzarro e non del tutto privo di qualità di Vanni Schiavoni, classe 1977, di Manduria (edizioni LiberArs). Anche qui abbiamo una situazione banale, nella quale irrompe un fatto inspiegabile. Che c’entrano gli elefanti, la fecondazione, l’Indonesia, con un normale pomeriggio di ragazzi che chiacchierano e bevono?

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Il fatto inspiegabile però qui è, se così si può dire, troppo inspiegabile. Può sembrare solo un’idea bislacca. Tuttavia anche l’incipit della Metamorfosi di Kafka («Gregorio Samsa, svegliandosi una mattina da sonni agitati, si trovò trasformato, nel suo letto, in un enorme insetto immondo») può sembrare solo un’idea bislacca. È necessario quindi che il narratore, subito dopo aver presentato il fatto inspiegabile, faccia di tutto perché esso venga riclassificato (dal lettore) tra i fatti spiegabili, magari appena un po’ inspiegabili. Non per niente il grosso problema di Gregorio Samsa, risvegliatosi «trasformato in un enorme insetto immondo», è sintetizzabile più o meno così: «Santo cielo, che cosa penserà il capufficio?». E i suoi familiari reagiscono al fatto più o meno così: «Santo cielo, guarda come si è ridotto Gregorio!». La realtà, “strappata” dal fatto inspiegabile, viene rapidamente “ricucita”.

Nel romanzo di Vanni Schiavoni, questo “ricucimento” della realtà tarda ad arrivare. Così che il lettore legge e legge le prime pagine, e non capisce bene quale sia la promessa narrativa. Che c’entrano gli elefanti? A un certo punto la risposta arriva, e la narrazione si fa leggere assai volentieri; tuttavia c’è stato uno iato, un momento di indecisione iniziale, un piccolo vuoto: proprio all’inizio, proprio lì dove, invece, il lettore dovrebbe (permettetemi questo verbo) essere incuriosito e irretito.

Perché lo scopo di ogni narrazione, si sa, è questo: essere letta, o ascoltata, o guardata, dall’inizio alla fine.

* * *

Quando il fatto che irrompe è veramente inspiegabile, o almeno straordinario, è necessario provvedere rapidamente a un “ricucimento” della realtà. Se il fatto che irrompe è sostanzialmente spiegabile, è necessario provvedere a instillare nel lettore il dubbio che così spiegabile in effetti non sia. Che cominciamo a raccontare in un modo o che cominciamo a raccontare in un altro, si arriva comunque a uno stesso punto medio: la presentazione di una realtà che è parzialmente spiegabile (e che quindi il lettore si spiega da sé) e parzialmente inspiegabile (e che quindi il lettore si aspetta che noi gli spieghiamo).

Una realtà tutta inspiegabile, sarebbe rifiutata dal lettore come una sciocchezza. Una realtà tutta spiegabile, non presenta il minimo interesse.

L’incipit di una narrazione, quindi, serve anche a questo: a promettere al lettore che, questa realtà dove qualcosa è inspiegabile, prima o poi gli sarà spiegata per filo e per segno. Promessa che, sia chiaro, non è poi così obbligatorio mantenere.

La prima macchina per scrivere veramente portatile
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Tutto sulla Lettera 32
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