di Giulio Mozzi
[Diversi anni fa Gianni Bonina mi chiese di compilare per la rivista Stilos una rubrica che fosse qualcosa come “un corso di scrittura creativa a puntate”. Scrissi 100 puntate. Se le volete tutte in un colpo, le trovate qui. Rielaborate e aggiustate, le 100 puntate sono diventate anche un libro, pubblicato da Terre di mezzo: (non) un corso di scrittura e narrazione. Le ripubblico qui, una al giorno (salvo inconvenienti e incidenti); e cercherò di rispondere a eventuali domande, obiezioni, dubbi eccetera. Occasionalmente inserirò negli articoli, come approfondimento, qualcuna delle mie videolezioni].
Una scuola media superiore di Treviso mi ha invitato a tenere, per un gruppo di insegnanti d’italiano, un paio di incontri di aggiornamento su «La nuova narrativa italiana». Sono andato fin lì, ho fatto quello che dovevo, ho parlato di Piervittorio Tondelli e di Enrico Palandri, di Marco Lodoli, di Aldo Busi, dell'”ondata emiliana” degli anni Ottanta e dell'”ondata veneta” degli anni Novanta, dei narratori-poeti romani, dei siciliani che secondo me non sono nemmeno italiani (nel senso che la letteratura siciliana, secondo me, è davvero una cosa per conto suo, con logiche e ragioni sue, che procede e si autogenera senza chiedere permesso a nessuno), dei narratori cannibali che in realtà non sono mai esistiti, e così via. Una serie di voci di enciclopedia snocciolate con garbo. Cose che quelle trenta persone che avevo davanti avrebbero potuto apprendere leggendo un qualsiasi buon saggio (ad esempio quello di Filippo La Porta, La nuova narrativa italiana, pubblicato qualche anno fa da Boringhieri e successivamente aggiornato). Ma, si sa, sentirsi raccontare una cosa e leggerne, è tutt’altro affare.
«Lei ha usato spesso una curiosa distinzione», ha detto una signora con la faccia larga durante la discussione conclusiva. «Di certi libri ci ha detto che sono belli, o molto belli; di altri che sono storicamente importanti, a prescindere dal fatto che siano belli o non belli. Vuole spiegarsi meglio?».
«Mi sembra chiarissimo», ho detto. «Altri libertini di Tondelli e Boccalone di Palandri sono libri storicamente importanti perché hanno, per così dire, sturato il Vaso di Pandora: una significativa porzione di una generazione ci si è riconosciuta, e ha cominciato a scrivere, a raccontarsi e a raccontare, partendo da quei due libri là: soprattutto, direi, da Boccalone. I due libri sono quindi importanti dal punto di vista storico. Poi, secondo me, Altri libertini è un libro assai più bello di Boccalone, che è davvero molto molto ingenuo; mentre un altro libro di Tondelli che a me sembra più bello di Altri libertini, e cioè Pao Pao, è un libro che mi sembra storicamente quasi inerte. Tondelli farà un altro libro storicamente importante, e cioè Camere separate, che è un cappello dal quale sta uscendo tutta un’altra generazione di narratori (vedi Il mondo senza di me del giovane Marco Mancassola) [giovane all’epoca in cui scrivevo queste lezioni…] e che ad alcuni sembra bruttissimo e ad altri sembra bellissimo. A me sembrò bellissimo quando lo lessi appena uscito: oggi ci andrei un po’ cauto».
«Ma signora», dico, «è un po’ come chiedere a un bambino se vuole più bene alla mamma o al papà. Veda un po’ lei».
Interviene un tipo barbuto. «Noi non dobbiamo insegnare letteratura», dice, «ma storia della letteratura. Quindi l’influenza storica di un testo ha la meglio sul giudizio squisitamente estetico».
«Se ragionassimo così», dico, «allora forse ci toccherebbe leggere Bonvesin de la Riva, in quanto inventore del genere “viaggio all’inferno e ritorno”, e lasciar perdere Dante: che in fondo è soltanto un epigono».
«Sta scherzando?», sbotta il preside: che siede in prima fila e del quale ho già sperimentato, nelle ore precedenti, l’assoluta mancanza di umorismo.
«Sto portando alle estreme conseguenze l’argomento fornito dal professore», dico indicando il tipo barbuto, «per far vedere come non sia poi così sicuro».
Il tipo barbuto fa per ribattere, ma per fortuna interviene una signora con i capelli bianchi cortissimi e la voce roca da fumatrice accanita (durante la conferenza è uscita un paio di volte). «Ma questi suoi giudizi, di valore storico o di valore estetico, su che cosa sono fondati?», dice. «Lei non ci ha fornita nessuna indicazione di bibliografia critica».
«Non è che ci sia molta bibliografia critica da citare», dico. «Io ho attraversata, da lettore, la narrativa di questi anni; e vi dico quel che mi sembra sensato. Non sono né un critico né un storico: sono un lettore e un narratore».
«Ma se lei non è un critico», insiste la signora con i capelli bianchi cortissimi, «su che cosa fonda i suoi giudizi?».
Subodoro la mina, ma non riesco a intuire dove la piazzerà. Dico: «Signora, io ho letti questi libri. Sono una persona nel pieno possesso delle sue facoltà mentali. Esprimo dei giudizi. In cinque ore complessive non abbiamo certo avuto il tempo di fare delle grandi analisi. Sostanzialmente vi ho detto: questi libri sicuramente vale la pena di leggerli, per una ragione o per l’altra; e questi altri forse non vale la pena».
Vedo che c’è dello sconcerto. Aggiungo: «Voi vi rendete conto, spero, che è possibile formulare dei giudizi basandosi unicamente sulle proprie competenze e sul proprio sentimento».
«Così, autocraticamente?», dice il tipo barbuto.
«Mica voglio imporre dei giudizi», dico. «Ma dopo che ho letto un libro, avrò il diritto di pensare che sia un libro buono o cattivo. O devo aspettare che me lo dica qualcun altro?».
L’uditorio ondeggia. Sembra incerto tra le proprie abitudini e il buon senso.
«Ma ci sono due autori che lei non ha citati», riprende imperterrita la signora con i capelli bianchi corti. «Eppure sono importantissimi. Invece, tutti quelli che lei ha citati, io non li ho mai sentiti nominare. E, badi», dice agitando l’indice della mano destra, «io sono una che s’informa, non sono una sprovveduta».
«Faccia i nomi», dico.
«Lei non ci arriva?», dice la signora.
«Senta», dico, «non facciamo gli indovinelli. Faccia i nomi».
La signora si prende una pausa drammatica. Poi scandisce: «Diego Cugia, Fabio Volo».
Respiro a fondo.
«Signora, Diego Cugia e Fabio Volo hanno scritto dei libri di valore letterario bassissimo e, per quello che ne so, del tutto ininfluenti storicamente. Soprattutto Fabio Volo».
«Però in televisione e nei giornali, è di loro che si parla», dice la signora, trionfante, guardandosi attorno.
«Lei ha letti i loro libri, signora?», domando.
«No», dice lei.
Mozzometro su scala decimale:
da 0 a 5: no comment.
da 5 a 6: mah.
da 6 a 7: interessante.
da 7 a 8: bello.
da 8 a 9: assai bello.
da 9 a 10: I promessi sposi.
11 e oltre: finalmente si sposano.
Adesso lo posto su FB. Spiace?
Ne hai il diritto, anche senza chiedere.