di giuliomozzi
1. L’apprendista Artemio espone il proprio progetto: “E’ una storia di fantascienza, nella quale degli alieni molto grossi e rugosi a forma di palla da rugby, color malva, contendono alla specie umana il possesso di un certo pianetino nella Nebulosa del Cavallo, fondamentale per la produzione dell’ingrediente segreto della Coca-cola; la guerra si risolve, dopo varie scaramucce e una sola vera battaglia interstellare, grazie all’intervento del quattordicimillesimo clone di Julian Assange, che pubblicando un miliardo di comunicazioni telepatiche segrete rivela la disponibilità della materia prima per la produzione del suddetto ingrediente in altri ottocento pianeti, peraltro quasi tutti di proprietà della Pepsi, che per secoli ha fatto il pesce in barile”. Giulio Mozzi guarda l’apprendista negli occhi e dice: “Questa storia è un mero pretesto. La verità è che tu vuoi raccontare della tua allergia agli acari”. L’apprendista scoppia a piangere. Scriverà poi un Trattato dell’arrotolare gli spaghetti in senso orario o in senso antiorario: differenze culturali e speciosità antropologiche, che nessuno vorrà mai pubblicare (è disponibile in rete, qui).
2. L’apprendista Ernesto espone il proprio progetto: una saga familiare che si svolge tra le 14.32 del 10 ottobre 2016 e le 14.58 del medesimo 10 ottobre 2016. In quel breve lasso di tempo il Padre muore d’infarto in salotto davanti alla televisione (e non se ne accorge nessuno); la Moglie, scesa in giardino per certi lavoretti da fare alle begonie, scopre appena coperto da un velo di terriccio, dietro la lagerstroemia, un sacco di juta contenente un centinaio di monete d’oro d’epoca napoleonica; il Figlio Maggiore, diciassettenne, nella sua stanza scopa per la prima volta con la Tenerissima July da lui concupita fin dai tempi della scuola materna (la Tenerissima July, durante l’operazione, si rifà il trucco; la musica, sparata al massimo perché i genitori non sentano i grugniti, è Stairway to Heaven nella cover di Paola e Chiara); la Figlia Mezzana, quindicenne, intravede, al di là della tendina del bagno nel quale sta rinchiusa da due ore nel tentativo di venire a capo di un’indigestione di castagne secche, lo sbarco sulla Terra di un manipolo di Viaggiatori Del Tempo (in effetti sono legionari romani; li comanda rudemente un certo Gaio Giulio, piuttosto stempiato); il Figlio Piccolo, dodicenne, fissa perplesso l’ultimo pezzo del puzzle di 32.000 pezzi regalatogli il Natale precedente e recante la riproduzione del quadro Susanna e i vecchioni di Guido Reni: il buco nero del pezzo non ancora posato, e da posarsi esattamente sul capezzolo destro di Susanna (sinistro per chi guarda), disegna la silhouette quasi perfetta di una W, ma il pezzo che il dodicenne tiene tra le dita ha la forma inequivocabile di una X. Giulio Mozzi guarda l’apprendista negli occhi e sussurra: “Hai mai pensato di scrivere una biografia di Magnus Lagerström?”. L’apprendista gli dà un ceffone.
3. L’apprendista Eusebio espone il proprio progetto: “La mia è una storia autobiografica”, comincia. Giulio Mozzi gli dà un ceffone. L’apprendista dà un calcio nelle palle a Giulio Mozzi. Giulio Mozzi, caduto a terra, morde il polpaccio dell’apprendista. Con l’altro piede l’apprendista dà un calcio in faccia a Giulio Mozzi. Giulio Mozzi, sputando con inaspettata energia un dente, colpisce l’apprendista nell’occhio sinistro. L’apprendista grida: “Eureka!”. Il romanzo, Fitto Club, una docufiction surrealista ambientata in Puglia nel mondo delle cooperative di servizi igienico-sanitari (appalti, minacce, tangenti, finanziamento illecito ai partiti ec.) sarà scritto dall’apprendista di getto, in trentadue ore di inesausta ispirazione. La conclusione, geniale, è una sentenza che assolve tutti gl imputati perché “la Puglia non sussiste”. L’asta per la vendita dei diritti di pubblicazione dell’opera, tenutasi a Teano (Ce), andrà deserta per intimidazioni politiche.
4. L’apprendista Onirio espone il proprio progetto: “Il mio romanzo s’intitola Salta in aria, Partenone! ed è ambientato in Grecia, ad Atene, nel 1687. La città, in possesso dei Turchi, è assediata dai Veneziani; i Turchi, che per un paio di secoli hanno utilizzato il Partenone come moschea, dotandolo anche di uno snello minareto, non esitano a farne un deposito di polvere da sparo (si tratta comunque, diciamolo, di difendere la Fede). Il 26 settembre un colpo di bombarda veneziana, sparato dalla collina di Filopappo, cade tra le botti di polvere e fa un massacro. Tutti gli spazi interni vengono devastati, alcune colonne spuntate, le sculture danneggiate”. “E la storia?”, domanda Giulio Mozzi. “La storia”, prosegue l’apprendista, “per la quale evidentemente le vicende storiche costituiscono un mero sfondo, è la storia dell’amore tra una giovane principessa turca e due scimmie babuine…”. “Non capisco”, interrompe Giulio Mozzi, “non basta una scimmia sola?”. “La principessa è ottomana”, spiega l’apprendista, “e le scimmie sono quadrumane”. “Quindi ce ne vogliono due”, conclude Giulio Mozzi. “Appunto”, commenta l’apprendista. Il giorno successivo la villetta nella quale risiede l’apprendista (a Ripatransone, provincia di Ascoli Piceno) va a fuoco. Si sospetta l’incendio doloso. I carabinieri indagano ma il magistrato, appassionato di Kinbaku, ha le mani legate.
5.L’apprendista Fantasio espone il proprio progetto: “In sostanza, una storia semplice, con un protagonista nel quale chiunque può identificarsi, che deve affrontare delle difficoltà alla portata di tutti, e alla fine riesce nel suo intento, lasciando al lettore un messaggio di conforto”. “Sì, ma”, dice Giulio Mozzi “la storia?”. “La storia è che ci sono lui e lei, che si vogliono sposare, ma si mette di mezzo un tipaccio. Costui sostiene di conservare alcune foto assai compromettenti di lei nel proprio telefonino, e lo fa sapere al parroco che deve celebrare il matrimonio. Il parroco, prudentemente, decide di rinviare affinché i due giovani possano chiarirsi tra di loro. Essi si rivolgono a un anziano frate francescano, già attore di cinema hard in gioventù, ma sinceramente pentito dopo l’andropausa, il quale consiglia alla coppia un periodo di riflessione, da trascorrere in luoghi separati: alla ragazza propone un monastero di Monza, dotato di foresteria…”. “Passami la katana”, dice Giulio Mozzi a Gabriele Dadati. Gabriele Dadati gliela passa.
6. L’apprendista Genesia espone il proprio progetto: “E’ un romanzo, no, non è un romanzo, è una cosa che vorrebbe essere un romanzo, o non lo vorrebbe essere, però lo è, senza peraltro esserlo, dal momento che il romanzesco è totalmente assente, in favore dell’introspettivo, cioè, nulla di ciò che avviene è reale, posto che avvenga qualcosa, poiché tutto è riflesso nella mente della protagonista, anzi lei stessa, potrebbe essere un’immaginazione di un’altra lei stessa, poiché lei stessa non esiste, infatti, esistendo ciascuno di noi solo come un pensiero pensato da un eterno pensante, una sorta di motore immobile immaginario, tomisticamente, con l’abolizione però di qualunque manfrina alla Sarraute, per dire, senza scivolamenti o slittamenti, no, no, una storia-non-storia raccontata crudamente, fatti e non parole, snow don’t tell per spiegarsi, ho letto molto Bukowski da giovane ma ho spesso, volevo dire ho smesso, credo che sia importante il ricupero della tradizione, anche in senso nazionale, lasciando perdere questi cascami postmodernistici che lasciano il tempo che trovano, tutto intelletto e niente cuore, non per essere femminista ma una faccenda schifosamente maschile, l’importante è dare alla consecutio temporum il suo significato originario, nell’articolazione temporale dei corsi e ricorsi storici, e dei flussi e riflussi della vita umana…”. “Come si chiama il protagonista?”, interrompe Giulio Mozzi. “Antani”, risponde l’apprendista, “Ugo Antani”. “Passami la katana”, dice Giulio Mozzi a Gabriele Dadati. “Un attimo che l’asciugo”, dice Gabriele Dadati.
7. L’apprendista Albanella espone il proprio progetto: “E’ un romanzo sulla resistenza. C’è un amperometro che ha una storia con un condensatore, che naturalmente tiene nascosta perché lui – dico l’amperometro – è fidanzato ufficialmente con una valvola. Ma il condensatore è variabile, e si sa, quando i condensatori sono variabili, non si può essere mai sicuri che la tensione del rapporto tenga. E, infatti, a un certo punto si mette di mezzo un diodo…”. “Scusa, scusa”, interrompe Giulio Mozzi, “com’è che fai tu di cognome?”. “Ravalico, perché?”, risponde l’apprendista. “E come finisce la storia?”, dice Giulio Mozzi. “Arriva un transistor che fa strage di cuori, e ciao”, dice l’apprendista. “E la resistenza?”, dice Giulio Mozzi. “In realtà c’entra marginalmente”, dice l’apprendista, “si tratta più che altro di un omaggio a Beppe Fenoglio”. “La katana è pronta tra un attimo”, dice Gabriele Dadati.
8. L’apprendista Suellen espone il proprio progetto: “Non è proprio un progetto. Praticamente è un’idea”. “Dilla”, dice Giulio Mozzi. “E’ un’idea molto semplice, direi elementare”, dice l’apprendista. “Dilla”, dice Giulio Mozzi. “Per carità, non pretendo che sia una gran cosa”, dice l’apprendista. “Dilla”, dice Giulio Mozzi. “Allora”, dice l’apprendista, “il tema è quello dell’incomunicabilità”. “La storia?”, dice Giulio Mozzi. “Allora”, dice l’apprendista, “ci sono lui e lei, che stanno insieme, e che in fondo si amano, però non comunicano”. “E dunque?”, dice Giulio Mozzi. “Passano giornate intere senza parlarsi”, dice l’apprendista. “E poi cosa succede?”, dice Giulio Mozzi. “Incontrano un monaco tibetano che è vissuto per ventidue anni in cima a un pinnacolo”, dice l’apprendista. “E dove lo incontrano?”, dice Giulio Mozzi. “Nella metropolitana di Milano, linea gialla”, dice l’apprendista. “Scusa”, dice Giulio Mozzi, “che ci fa un monaco tibetano che è vissuto per ventidue anni in cima a un pinnacolo, sulla linea gialla della metropolitana di Milano?”. “Ha cambiato vita”, dice l’apprendista, “ha scoperto che vivere in cima a un pinnacolo è una cazzata, e adesso sta a Milano e non fa altro che frequentare i centri estetici cinesi”. “Quelli dove fanno i massaggi?”, domanda Giulio Mozzi. “Sì”, dice l’apprendista, “e non solo i massaggi”. “Insomma, dopo ventidue anni trascorsi in cima a un pinnacolo”, dice Giulio Mozzi, “questo monaco qui si sta facendo una botta di vita. Ma che c’entra con l’incomunicabilità?”. “C’entra”, dice l’apprendista, “perché la scelta di vivere ventidue anni in cima a un pinnacolo è comunque una scelta di non-comunicazione, e lui si è ravvenduto”. “E come ogni buon convertito”, dice Giulio Mozzi, “fa proseliti”. “Appunto”, dice l’apprendista. “Ma senti”, dice Giulio Mozzi, “dove diavolo stava ‘sto pinnacolo?”. “E’ uno di quelli del Duomo di Milano”, dice l’apprendista. A questo punto Giulio Mozzi tace, chiude gli occhi, sembra addormentarsi o concentrarsi, e poi dice: “Ho avuto una visione”. L’apprendista dice: “Una visione?”. “Sì”, dice Giulio Mozzi, “ho visto i cinesi che si comperano, in contanti, dalla curia, il duomo di Milano, per farci un grande centro estetico; ma c’è questo monaco tibetano che da ventidue anni sta in cima a uno dei pinnacoli, senza contratto d’affitto né niente, e nel momento in cui i cinesi tentano di sloggiarlo chiama l’avvocato e tenta di far valere il diritto di usucapione. I cinesi propongono, come soluzione stragiudiziale, un abbonamento perpetuo a tutti i centri estetici, gratuito, inclusivo delle prestazioni speciali; il monaco tibetano chiede di sperimentare la faccenda, per poter valutare l’offerta, e superate alcune difficoltà esecutive (la prestazione viene erogata infatti sul pinnacolo, attorno al quale viene eretta un’impalcatura provvisoria, visto che il monaco tibetano non ha nessuna intenzione di fare, per così dire, un passo nel vuoto) il monaco tibetano resta entusiasta della faccenda, si dichiara d’accordo, manda a quel paese l’avvocato e scende giù dal pinnacolo. Il tutto naturalmente è un’allegoria dei rapporti Tibet-Cina, che come tutti sanno non sono particolarmente rosei…”. “Scusa”, dice l’apprendista. “Prego”, dice Giulio Mozzi. “E i due innamorati incomunicanti?”, dice l’apprendista. “Ma che vadano a farsi benedire”, dice Giulio Mozzi, “il tuo romanzo è un altro”.
9. L’apprendista Egista espone il proprio progetto: “Praticamente è costruito attorno al concetto di chi quadrato. Abbiamo uno scopatore seriale che ogni sera se ne va a caccia per locali milanesi, e naturalmente certe volte gli va dritta e certe volte no, e lui elabora una teoria statistica secondo la quale ogni certo numero di tentativi lui dovrebbe fare plof un certo numero di volte e bingo un altro certo numero di volte, e il suo sistema per capire se il suo fascino, ovvero la sua scopoattrattiva, è in crescita o in diminuzione, è quello di verificare le serie statistiche con il sistema del chi quadrato. Un giorno però si fa una ragazza, piuttosto cozza a dire il vero, ma lui comunque ogni tanto deve accontentarsi, la sua frenesia è quantitativa più che qualitativa, e questa qui gli si attacca come una cozza, ovvero lo segue nei locali e gli s’infila in mezzo mentre lui approccia un’altra chiamandolo Caro, Amore, quelle robe lì, rovinandogli tutto, e poi gli suona il campanello di notte, precipuamente…”. Giulio Mozzi interrompe: “Precipuamente?”. L’apprendista continua: “Sì, precipuamente quando lui è tutto intento a scoparsi una, e gli scampanella di continuo, dlindlon dlindlon, dlindlon dlindlon, finché a lui o a lei (dico la lei che è con lui) gli viene un calo netto del desiderio, e morta là. Solo dopo qualche settimana lui si rende conto che la cozza è in realtà una matematica, con la quale stoltamente lui si era vantato delle sue serie storiche, e che gli sta rendendo pan per focaccia incasinandogli il chi quadrato, e infatti…”. “Egista”, dice Giulio Mozzi. “Sì?”, dice Egista. “Tu cos’hai studiato?”, dice Giulio Mozzi. “Filosofia analitica”, dice l’apprendista. “Tesi di laurea?”, dice Giulio Mozzi. “Sexuelle Unterwerfung und Dominanz in der Vorstellung von Ludwig Wittgenstein. Ein Sadian Ansatz“, dice arrossendo l’apprendista, “Mi sono laureata a Coblenza”. Giulio Mozzi fissa l’apprendista negli occhi, molto a lungo, poi dice: “Da bambina desideravi tanto giocare col frullatore a immersione, ma non ti lasciavano”. L’apprendista sviene. Quattro anni dopo, grazie alla mediazione di un giovane italianista bolognese con cattedra a Seul, la storia diventerà un manga di enorme successo.
10. L’apprendista Ermengarda espone il proprio progetto: “E’ un romanzo storico di ambientazione lombarda. Carlomagno, per convenienze sue di realpolitik, ripudia la moglie Ermengarda, figlia del re longobardo Desiderio. Desiderio, per vendetta, tenta di far incoronare imperatori dal papa – imperatori al posto di Carlomagno, per intendersi – i figli del fratello di Carlomagno, Carlomanno, che alla morte del proprio padre si erano rifugiati (per sfuggire giusto a Carlomagno, che voleva farli fuori dalla linea ereditaria, ovvero appunto farli fuori) appunto presso Desiderio. Nel frattempo Carlomagno sposa Ildegarda, per imparentarsi col Duca d’Alemagna (che ne è il nonno materno), e la cosa viene saputa dalla povera Ermengarda, che sempre nel frattempo si era rifugiata presso la sorella monaca Anselperga nel monastero di San Salvatore a Brescia: la poveretta si dispera e ne muore. Carlomagno intanto conquista Pavia e altre cose varie, più grazie ad alleanze e tradimenti che combattendo sul campo. In realtà il protagonista è l’eroico Adelchi, figlio di Desiderio e da lui associato, ma solo per modo di dire, al trono: Adelchi tenterà di mettere pace tra le parti e di evitare la guerra tra longobardi e franchi, ben consapevole del fatto che contro Carlomagno, sia quanto a potere militare sia quanto ad alleanze, c’è poco da fare. Ma quando la guerra arriva, Adelchi combatte eroicamente. Ferito, catturato, viene portato insieme al padre Desiderio difronte a Carlomagno; chiede clemenza per il padre, non per sé; non l’ottiene; e Carlomagno li fa accoppare entrambi”. “Più che un romanzo, ‘sta roba qua mi pare piuttosto una tragedia”, dice Giulio Mozzi. “Infatti”, dice l’apprendista, “stavo giusto pensando di farne anche una versione teatrale, magari in versi…”. “Impossibile”, dice Giulio Mozzi, “non può funzionare”. “Katana?”, dice Gabriele Dadati. “Non esageriamo”, dice Giulio Mozzi, “c’è ancora tutto il pavimento da pulire”.
[E se avete avuta la pazienza di leggere fin qui, magari potreste farmi anche la gentilezza di dare un’occhiata al bando del Corso fondamentale di narrazione, che si terrà nei primi mesi del 2018 a Milano e a Cagliari. Grazie].
M’interessa la storia Fitto Club.
Qui però non risponde nessuno.
Mi sta crescendo la barba.