di Giulio Mozzi
Denis Diderot, nello scritto Sur le projet d’une Enciclopédie (vedi in Google Books), inventa o riporta questo aneddoto (il ragionamento all’interno del quale lo riporta, qui non ci interessa):
Uno spagnolo o un italiano, desideroso di possedere un ritratto della sua amante, che non poteva peraltro far vedere a nessun pittore, decise che non gli restava che farne per iscritto una descrizione dettagliata e precisa. Cominciò col determinare la giusta proporzione della testa intera; passò quindi alle dimensioni della fronte, degli occhi, del naso, della bocca, del mento, del collo; poi tornò su ciascuna di queste parti, e non risparmiò nulla perché il suo scritto imprimesse nell’animo del pittore l’autentica immagine che egli aveva sotto gli occhi; non dimenticò né i colori, né le forme, né nulla di tutto ciò che appartiene al carattere. Più confrontava lo scritto al viso della sua amante, più lo trovava somigliante; si convinse, soprattutto, che più avesse caricato la descrizione di minuti dettagli, meno libertà avrebbe lasciata al pittore; non dimenticò nulla di ciò che pensava dovesse catturare il pennello. Quando la descrizione gli parve finita, ne fece cento copie, che inviò a cento pittori, chiedendo a ciascuno di eseguire sulla tela esattamente ciò che avrebbero letto sulla carta. I pittori si mettono al lavoro, e nel giro di poco tempo il nostro innamorato riceve cento ritratti, tutti rigorosamente somiglianti alla descrizione, nessuno dei quali somiglia a uno degli altri – né alla sua amante.
Potremmo mettere alla prova questo aneddoto dando un’occhiata proprio ad alcuni ritratti di Diderot (e confrontandoli anche con quello in cima all’articolo):
Certo: sono ritratti eseguiti in diversi momenti della vita di Diderot. Tuttavia noi lo riconosciamo, di ritratto in ritratto – lo riconosciamo, ovvero diciamo: “Sì, è lui, è quello dell’altro, degli altri ritratti” – per alcune caratteristiche: qualcuno noterà le palpebre, per esempio, o la fronte e l’attaccatura dei capelli; qualcun altro il naso. In tutti questi ritratti (tranne forse nel terzo, che è il più differente da tutti gli altri) possiamo riconoscere forse anche un qualcosa di caratteriale: una certa dolcezza, una certa leggerezza, una certa disposizione allo scherzo. Impressione che forse ci viene da quel mezzo sorrisino, combinato con quegli occhioni spalancati.
Una descrizione meticolosa di quel viso – dei tratti che poco o nulla variano con l’età, come la forma dell’arcata sopracciliare e della fronte, come di quelli che invece con l’età cambiano parecchio come le dimensioni del naso e delle orecchie o le guance e (qui dipende anche tanto dalle vicissitudini della vita) l’espressione -, una descrizione ricca di dettagli, piena magari di misure fatte con strumenti antropometrici in stile Lombroso,
non necessariamente – anzi, suggerisce Diderot, inevitabilmente non – produce quell’effetto di istantantea riconoscibilità che siamo abituati a ricevere dalle immagini. Perché la nostra percezione delle immagini è sintetica: riconosciamo una persona per lo più alla prima occhiata, a meno che non sia una persona che non vediamo da tanto tempo; possiamo anche dirci “Questa faccia la conosco”, e non riuscire a connettere la faccia stessa a un nome e a una storia; ma comunque non è analizzando i dettagli di un viso uno a uno che arriviamo al riconoscimento. Invece la scrittura – la scrittura occidentale, almeno: quella alfabetica – è per sua natura analitica: e di un viso può darci un dettaglio per volta, magari in poche pochissime parole, ma sempre uno per volta.
Ma potremmo immaginare anche di servirci di una scrittura diversa. Osserviamo per esempio il lavoro di Lucia Biancalana, una giovane grafica e artista, intitolato 99 volte un volto e ispirato agli Esercizi di stile di Raymond Queneau:


Basta immaginare che i “volti” di Biancalana, anziché essere dei disegni, siano degli ideogrammi. E tutto, all’improvviso, cambia. (E: chissà che cosa penserebbe Diderot, di un lavoro come 99 volte un volto…).
[“Scritto ad arte”, organizzato dalla Bottega di narrazione, è un corso-laboratorio che fa uso delle arti figurative come strumento per immaginare, inventare e comporre un testo letterario. Si terrà a Milano, fra la Pinacoteca di Brera e la sede della Bottega di via Tenca 7, per due fine settimana: 22-23 febbraio e 4-5 aprile 2020. Sarà condotto da Demetrio Paolin e Valentina Durante. Per saperne di più].