di Grazia Bontiello
[Ecco la quinta “operetta morale” che scegliamo per la pubblicazione tra tutte quelle che ci sono pervenute nell’ambito del nostro concorso leopardiano. Vedi tutte le “operette”].
Nell’anno di grazia 1954, durante la quindicesima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, il presidente della Repubblica Luigi Einaudi incontrò a cena lo scrittore Ennio Flaiano, cosceneggiatore del film La strada di Federico Fellini, in concorso alla Mostra, e gli chiese quale fosse lo stato della letteratura italiana. Le fonti dell’epoca riportano in modo lacunoso e contraddittorio il dialogo tra questi due autorevoli protagonisti del convivio sociale italiano, tuttavia dopo lunga ricerca storica e filologica vi forniamo, a seguire, un resoconto accurato della loro conversazione.
Ennio Flaiano: Le racconterò, presidente Einaudi, i generi letterari che ho visto all’opera nella nostra Repubblica italiana, ex Regno d’Italia.
Luigi Einaudi: Non mi pentirò mai abbastanza di aver votato per la monarchia. La prego, Ennio, mi erudisca con la sua conoscenza.
Ennio Flaiano: Ebbene, ho girato a lungo la penisola e le isole, dalla Valle d’Aosta alla Puglia, da Trieste a Palermo, e mi sono persuaso di aver intravisto cinque generi di letteratura. Dico “intravisto” perché lo sguardo mio li trascolora e reinventa, li vede e li immagina allo stesso tempo. Sono, invero, letterature invisibili ai più ma che fanno breccia nella mia fantasia, come un camaleonte che fumi una sigaretta.
Luigi Einaudi: Mi dica ordunque, mio buon Ennio, non mi circuisca con discorsi dotti, da letterato, che hanno il difetto, o il merito, di palesare la mia ignoranza in materia.
Ennio Flaiano: Vi è in primis una letteratura, principalmente meridionale, che assume i contorni, per quanto sfuggevoli, indefiniti, della satira di costume, dello sberleffo volto a decostruire i canoni della maschia virilità afferente all’uomo italiano. Ora mi sfugge il nome del massimo rappresentante di questo genere letterario… credo si chiami Vittorio, Vittorio Brancicati. É un autore che possiede una scrittura intrisa di ironia e umorismo, con la quale mette alla berlina il gallismo nostrano. Lei sa bene quanto sia diffuso il mito dell’amante latino, focoso, geloso…
Luigi Einaudi: E borioso. E tedioso. Ennio, dopo la guerra fratricida che ha sconvolto l’Italia, i nostri concittadini hanno bisogno di qualcuno che li sproni a marciare come un virgulto sulla strada della ricostruzione materiale, spirituale ed economica del Paese. Non di una letteratura che fiacchi il morale, e si prenda gioco delle nostre ataviche virtù – per quanto fraudolente, glielo concedo. Possibile che non ci sia di meglio nello stivale?
Ennio Flaiano: Ma certo, presidente. Come le dicevo poc’anzi, ho intuito l’arcana presenza di altre quattro letterature lungo la dorsale alpino-appenninica. Ve n’è per ogni inclinazione estetica.
Luigi Einaudi: La prego, Ennio, prosegua. Mi renda felice.
Ennio Flaiano: Conoscendo i suoi gusti raffinati, forse la rallegrerà sapere che esiste, o assume talvolta la parvenza di un’entità concreta ai miei occhi, una letteratura surreale e melanconica, sospesa e astratta, che dice e non dice, racconta e non racconta ovvero narra…
Luigi Einaudi: Narra l’inenarrabile? Sarebbe stupendo.
Ennio Flaiano: Direi piuttosto che narra una storia che non inizia mai. Narra il silenzio, il deserto. L’attesa.
Luigi Einaudi: Purché non sia l’attesa del comunismo!
Ennio Flaiano: Non abbia téma, presidente, gli autori invisibili che stanno dietro a questa fievole letteratura sono conservatori come lei e me. Vede, tra i suoi migliori paladini vi è tal… Gino Buzzetti, credo si chiami. Mi perdoni, ma la mia memoria è in eterno conflitto con i cognomi e soprattutto con i nomi propri di persona, pertanto non posso garantire di compitarli con precisione.
Luigi Einaudi: Non si preoccupi, Ennio, non conosco nessuno di questi baldi e giovani scrittori. Un nome cos’è, infine? Nulla. A meno che sia il nome della rosa.
Ennio Flaiano: La ringrazio, presidente Einaudi: Riprendo il filo del discorso. Stavo parlando di… Pino Buzzetti, scrittore colto e di convinzioni liberali simili alle sue. Alla mia vista egli si esibisce in una scrittura leggera come una piuma, velleitaria come una farfalla, e i contenuti delle sue storie che non iniziano mai sono aleatori come una minaccia incombente e mai realmente compresa, mai realmente vissuta.
Luigi Einaudi: Le sue descrizioni sono molto pregnanti, buon Ennio, e sortiscono l’effetto di procurarmi una consistente noia al solo parlare della poetica di questo Buzzetti. Potrò mai leggere i suoi libri? Non credo che da questa letteratura possa mai scaturire il suggello della gloriosa storia della Resistenza.
Ennio Flaiano: Presidente, anche il suo occhio materializza ciò che desidera, vede l’invisibile. Come ha potuto carpire il segreto letterario che tenevo in serbo per lei?
Luigi Einaudi: Mi perdoni, Ennio, ma non la seguo più. Si è inoltrato in un sentiero impervio alla mia vista.
Ennio Flaiano: Ho scorto, nella penisola, o forse solo immaginato, una letteratura più immanente, storica, direi quasi materialistica. Questa letteratura vorrebbe narrare la realtà con una lingua ad essa aderente, una lingua che erompa essa stessa dalla realtà narrata. Le dirò di più, questa letteratura vorrebbe fosse la realtà stessa a narrarsi.
Luigi Einaudi: A quale realtà si riferisce?
Ennio Flaiano: Alla Storia con la esse maiuscola, così come l’ha vissuta il popolo, la povera gente. Questa letteratura si prefigge di avere connotati e ricadute sociali, ambisce ad incidere nel presente narrando la Storia.
Luigi Einaudi: Ma quale futuro ci riserva questa letteratura, buon Ennio? Da quel che mi racconta, stavolta sono certo che vi siano celati dei militanti comunisti dietro questa letteratura civilmente impegnata.
Ennio Flaiano: Non le nascondo che molti autori di questo impercettibile genere letterario sono tali. Ma vede, presidente, occorre distinguere l’artista dall’opera d’arte. Il visibile dall’invisibile. Questi autori sono convinti di fare la rivoluzione con le loro opere ma in realtà scrivono delle favole. Infatti, i loro maestri teorizzavano il tramutarsi della realtà in mito, e su questa scorta, se non ricordo male, il loro movimento, che è il filone letterario più in voga nell’Italia repubblicana, è stato chiamato neofavolismo. Il massimo esponente di questa letteratura si chiama… proprio non ricordo, azzardo Ippolito Calviniano, ed è famoso per il successo avuto con il suo Percorso fra i nidi di usignolo, un romanzo raccontato con gli occhi di un bambino.
Luigi Einaudi: Prima il comunismo, poi le favole! Noi abbiamo bisogno della cruda realtà, Ennio. I rischi del futuro richiedono di stare con i piedi ancorati bene a terra. Non è auspicabile coltivare i sogni, i grandi ideali, serve solo il duro lavoro.
Ennio Flaiano: Le confesso che molti di questi neofavolisti non mi sono per niente simpatici. Alcuni di essi si sono intimamente burlati della mia opera. Per costoro non è mai tempo di uccidere. E lei capisce bene a cosa intendo alludere.
Luigi Einaudi: Presumo lei voglia dire che sono dei pacifisti.
Ennio Flaiano: Ecco, a dire il vero…
Luigi Einaudi: Comunisti e pacifisti! Una combinazione micidiale. Il panorama letterario che lei mi sta descrivendo, buon Ennio, mi sembra vieppiù scabroso. E lei è uno dei maggiori intenditori di letteratura! Ricordo bene, io, che si è aggiudicato la prima edizione del premio Befana. Chi altri se non lei, Ennio, può emanciparmi sullo stato della letteratura italiana? Debbo quindi crederle. Ma il paesaggio che sta disegnando è sconfortante.
Ennio Flaiano: È un paesaggio invisibile. La nostra letteratura assume consistenza, solidità, solo nei crani dei suoi autori. La narrativa italiana è misconosciuta all’estero e laddove viene letta passa inosservata, come oggetto senza peso, intangibile – la poesia, invece, vibra con maggiore forza. E a rincarare la dose, ovvero ad aggravare la desolazione del paesaggio, si aggiunge il quarto genere di invisibilità di cui vorrei renderla edotto.
Luigi Einaudi: La ascolto in preda a uno sgomento prossimo alla disperazione.
Ennio Flaiano: Ho visto, presidente Einaudi, una letteratura cattolica fare capolino nella penisola, specialmente al nord, da cui proviene il suo più qualificato rappresentante, Egidio Salvucci è il suo nome… almeno credo. Si tratta di una letteratura dove il Cristo riverbera di una luce forte ma soffusa, che non sconfina nell’indottrinamento. Tra i generi che vado descrivendo è forse la più riconoscibile, ma è anche molto controversa poiché da una parte i cattolici la esaltano, strumentalizzandola per fini di proselitismo che non le sono propri, e dall’altra parte i laici, ossia la maggioranza del consesso letterario, la ripudiano, la disconoscono, condannandola all’irrilevanza.
Luigi Einaudi: Ho grande rispetto per la religione cattolica, e mi annovero tra i suoi fedeli, ma da laico sono sempre stato contrario alle sue ingerenze in campo politico. È mio vanto non aver partecipato alla votazione in Parlamento sui Patti Lateranensi.
Ennio Flaiano: Presidente, a dire il vero qui stiamo parlando dei rapporti tra la religione cattolica e la letteratura, non tra il cattolicesimo e la politica.
Luigi Einaudi: Non vedo alcuna differenza. La religione ha un suo ambito, in cui è sovrana, ma quando penetra in altri domini culturali della società civile produce solo confusione e diverbi. Ha dunque finito il suo resoconto? Possiamo concludere che la rampante letteratura italiana è in realtà una letteratura monca, dimezzata, o forse addirittura inesistente?
Ennio Flaiano: Io dapprincipio ho usato il concetto di invisibilità per descriverne la sua natura, poiché esiste, in realtà, ma non si vede. È una presenza impalpabile. E Dio sa quanto io mi sia sforzato di dare il mio contributo per renderla più manifesta.
Luigi Einaudi: Mio buon Ennio, lei si è impegnato ad arricchire la nostra letteratura, a renderla più concreta, ma spero non vorrà sedersi sugli allori del premio Befana che ha vinto. Io dubito della serietà dei premi letterari, delle befane, delle streghe. Lei li prende davvero sul serio?
Ennio Flaiano: Presidente, io prendo sul serio soltanto i giochi. E a pensarci bene, l’ultimo genere letterario che le vorrei illustrare è assimilabile al gioco d’azzardo. Il suo propugnatore, ossia… Tommaseo Lancidolfi, se la memoria mi sorregge, ha creato una letteratura minacciosa e irreale, inconsistente, un gioco di finzioni metaletterarie, un lavoro sul linguaggio volto a plasmare vicende e atmosfere ripugnanti. Tra tutte le letterature che ho provato a tratteggiare, questa è la più invisibile e infatti, proprio perché non vista, non riconosciuta, viene ignorata.
Luigi Einaudi: Sa cosa le dico, mio buon Ennio? Credo che sia mio dovere aprire una casa editrice per rilanciare la letteratura italiana. È tempo di realizzare una nuova letteratura, ben visibile in tutto il mondo. Non lo dico per vanità personale, ma per amor di patria. Conosce l’adagio, Non sibi sed Patriae.
Ennio Flaiano: Presidente, temo che suo figlio abbia già aperto una casa editrice vent’anni fa.
Luigi Einaudi: Mio figlio Giulio?
Ennio Flaiano: Sì, la casa editrice Giulio Einaudi, molto prestigiosa. Dal tempo del fascismo sta cercando di dare risalto all’invisibile letteratura italiana. Spiritus durissima coquit.
Luigi Einaudi: Non ne ho avuto notizia, ma le credo sulla parola. Ordunque, ci siamo inoltrati in un labirinto senza via d’uscita? Sono scoraggiato. Mi dica lei, Ennio, cos’altro possiamo escogitare per dare la vita a questa evanescente letteratura italiana?
Ennio Flaiano: Amare nostra moglie. Vede, presidente, io sono convinto che la situazione letteraria in Italia sia grave ma non seria. Io cercavo la sapienza nei libri, ma ora so che la possiedono solo gli occhi della donna amata.