di Giulio Mozzi, direttore della Bottega di narrazione
Provo a spiegarmi con un esempio. L’esempio è molto piccolo, ma ci vuole un minimo di pazienza per arrivarci.
Leggiamo un sonetto di Luis de Góngora (1561-1627), considerato uno dei sonetti più belli della letteratura spagnola:
«Mientras, por competir con tu cabello,
oro bruñido al Sol relumbra en vano;
mientras con menosprecio en medio el llano
mira tu blanca frente el lilio bello;
«mientras a cada labio, por cogello,
siguen más ojos que al clavel temprano,
y mientras triunfa con desdén lozano
del luciente cristal tu gentil cuello;
«goza cuello, cabello, labio y frente,
antes que lo que fue en tu edad dorada
oro, lilio, clavel, cristal luciente,
«no sólo en plata o vïola troncada
se vuelva, mas tú y ello juntamente
en tierra, en humo, en polvo, en sombra, en nada.»
Ecco la traduzione che ne diede Giuseppe Ungaretti:
«Finché dei tuoi capelli emulo vano,
Vada splendendo oro brunito al Sole,
Finché negletto la tua fronte bianca
In mezzo al piano ammiri il giglio bello,
«Finché per coglierlo gli sguardi inseguano
Più il labbro tuo che il primulo garofano,
Finché più dell’avorio, in allegria
Sdegnosa luca il tuo gentile collo,
«La bocca, e chioma e collo e fronte godi,
Prima che quanto fu in età dorata,
Oro, garofano, cristallo e giglio
«Non in troncata viola solo o argento,
Ma si volga, con essi tu confusa,
In terra, fumo, polvere, ombra, niente.»
La poesia è difficilina (Góngora è famoso per non essere un poeta facile), ma il succo del contenuto è chiaro: cara mia, dice il poeta a una donna, finché sei giovane e bella, finché i tuoi capelli biondi fanno invidia al sole, la tua pelle è più bianca del bianco dei gigli, eccetera, tutto bene; ma il tempo passa, e prima o poi diventerai anche tu, come tutti, «terra, fumo, polvere, ombra, niente».
Questo sonetto di Góngora, e in particolare il suo ultimo verso, furono molto imitati. Ora vi propongo un sonetto del poeta italiano Ciro di Pers, della generazione successiva a quella di Góngora (1599-1663):
«Io serbo, Lidia, ancor l’antico stile
poiché in te gli occhi sospirando giro,
ma d’aver sospirato io sol sospiro
per beltà già sì rara et or sì vile.
«Nel volto, che dagli anni è fatto un Sile,
i fasti tuoi, le mie sciocchezze ammiro
e rido dentro il cor mentre ti miro
la morte accarezzar col vezzo anile.
«Varcato il mezo hai de l’etade, o stolta,
più d’appresso il feretro è che la culla,
ceda l’orgoglio omai, ceda una volta.
«Oggi sei vecchia e fosti ier fanciulla,
diman Lachesi ria t’avrà disciolta
in terra in polve in fumo in ombra in nulla.»
Il volto di Lidia è «fatto un Sile», ovvero è pieno di rughe: il Sile è un fiume la cui foce era all’epoca una rete paludosa di fiumiciattoli e rigagnoli; «Lachesi» è una delle tre Parche, le dee che (secondo la mitologia greca) filavano la vita degli uomini.
Ora facciamo un confronto:
«en tierra, en humo, en polvo, en sombra, en nada»
«in terra in polve in fumo in ombra in nulla»
I due versi sono quasi identici; l’unico cambiamento è nell’ordine delle parole. In Góngora «humo» (fumo) precede «polvo» (polvere), in Pers «polve» (polvere) precede «fumo»
Un cambiamento minimo, si dirà. Eppure decisivo.
Pensate alla consistenza dei materiali. Nel verso di Ciro di Pers l’ordine delle parole porta a una progressiva smaterializzazione del corpo: la polvere è meno consistente della terra, il fumo meno della polvere, l’ombra meno del fumo, il nulla meno dell’ombra. Nel verso di Góngora questa progressione non è così perfetta: il fumo è meno consistente della terra, ma la polvere più del fumo.
Intendiamoci: il sonetto di Góngora è bellissimo, e Góngora è un poeta molto più grande di Ciro di Pers. Ma il piccolo Ciro di Pers — un uomo che visse quasi sempre molto ritirato nel suo paesello, appunto Pers — con il semplice spostamento di una parola è riuscito a migliorare, in un dettaglio, anche un sonetto già di per sé bellissimo.
In sostanza Ciro di Pers è riuscito — anche grazie alle diverse risorse della lingua italaian — a realizzare una più perfetta climax. Che cos’è la climax? Dal Vocabolario Treccani: « Figura retorica, detta anche gradazione o gradazione ascendente, consistente nel passare gradatamente da un concetto all’altro, o nel ribadire un concetto unico con vocaboli sinonimi via via più efficaci e intensi, o più genericamente nel disporre i termini di una frase in ordine crescente di valore e di forza» .
Se pensate che non solo, come diceva quello, «le parole sono importanti», ma che anche l’ordine delle parole può essere importante, e se vi interessa approfondire l’argomento, allora potreste dare un’occhiata al programma del corso Fondamenti di stile, organizzato da Bottega di narrazione e da Ma.Ma. Photo Edition, da me condotto con l’affiancamento di Manuela Mazzi.
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(Il quadro su in alto è Le tre età della vita, del Giorgione).