di Giulio Mozzi, direttore della Bottega di narrazione
Oggi è martedì 10 agosto 2021. «Martedì 10 agosto 2021» è una data, e quando inseriamo una data in una narrazione tendiamo a considerarla una pura e semplice informazione. E così è, a non essere pignoli.
Ma, a essere pignoli, «martedì 10 agosto 2021» è una locuzione tutt’altro che neutra.
Riflettiamo:
Martedì = giorno di Marte: non il pianeta, ma il dio venerato con questo nome dagli antichi romani.
Martedì è il secondo giorno della settimana secondo il calendario civile, ma il terzo secondo il calendario cristiano (che fa cominciare la settimana con la domenica).
La settimana è di sette giorni; quattro settimane fanno ventotto giorni, ovvero un mese lunare.
La parola «mese» deriva, alla lontana, da una parola sanscrita che significa propriamente «luna».
La parola «mestruo» deriva a sua volta da «mese». C’è quindi, nella nostra cultura, una correlazione tra il ciclo femminile e la misura del tempo.
La settimana di sette giorni rimanda ai sei giorni, più uno di riposo, nei quali il Signore creò il creato secondo la mitologia israelita (libro della Genesi). Quanto nomi dei giorni, da lunedì a venerdì il riferimento è alla mitologia latina, «sabato» è parola ebraica («sciabbath», che significa «riposo»), «domenica« (= «dies dominica«, giorno del Signore) è un’invenzione cristiana ed è l’unico giorno della settimana rimasto di genere femminile.
Agosto = mese dedicato (nell’anno 8 a.C., prima era dedicato alla dea Cerere) a Cesare Ottaviano Augusto.
2021 = gli anni dalla presunta data di nascita (stimata anticamente) di Gesù di Nazareth (oggi si pensa, a prescindere dalla questione dell’esistenza storica di Gesù di Nazareth, che la data sia sbagliata). Questo conteggio si basa su un calendario stabilito sotto l’autorità di Giulio Cesare, e successivamente riformato da papa Gregorio Magno a partire dal 4 ottobre 1582.
Quindi nella data di oggi si sommano, o forse si direbbe meglio si ammucchiano, riferimenti alla mitologia latina, a quella israelita, al potere imperiale dei Cesari, al potere della chiesa cattolica, agli antichi calendari lunari, alla sessualità femminile, e via dicendo.
Dicendo «oggi è martedì 10 agosto 2021», insomma, io certifico la mia appartenenza a un miscuglio di culture, talvolta ufficialmente in lotta tra loro, in realtà sedimentate l’una sopra l’altra.
Ovviamente c’è anche un discorso di potere: non è un caso, per esempio se in Francia, dal 24 ottobre 1793, fu introdotto un nuovo calendario: che calcolava il tempo a partire dal 22 settembre 1792, giorno in cui fu proclamata la Repubblica (fu poi abolito nel 1805). Ma non furono cambiati solo, come tutti sanno, i nomi dei mesi, adeguati ai cicli stagionali e agricoli: la riforma penetrò nelle settimane, nei giorni, nei minuti e nei secondi. Ritaglio e riassumo da Wikipedia:
«Un anno del calendario rivoluzionario era diviso in dodici mesi di trenta giorni ciascuno (360 giorni) più cinque (sei negli anni bisestili) aggiunti alla fine dell’anno per pareggiare il conto con l’anno astronomico (365 giorni, 5 ore, 48 minuti e 46 secondi). Ciascun mese era diviso in tre decadi; in ciascuna decade vi erano otto giorni e mezzo di lavoro e uno e mezzo di riposo (il pomeriggio del quintidì e il decadì). Ogni giorno era composto da dieci ore, divisa ciascuna in dieci decimi o cento minuti (centesimi); ogni minuto aveva cento secondi e ogni ora corrispondeva perciò a due ore e ventiquattro minuti dell’orologio classico.» (Vedi, nell’illustrazione in alto, un orologio «repubblicano».)
Fu molto più moderato il regime fascista, che semplicemente impose di accostare alla data classica la dicitura: «anno tale [espresso in numeri ovviamente romani] dell’Era Fascista [abbreviata in E.F.]».
Ora, a noi che scriviamo, che ce ne importa di tutto questo? Ce ne importa, ce ne importa. La questione della data è solo un esempio per ricordare che ogni parola che adoperiamo ha una sua storia, e porta con sé dei significati dei quali non siamo sempre consapevoli (poco fa, per esempio, avevo scritto automaticamente «battezzati secondo i cicli stagionali e agricoli»; poi ho corretto in «adeguati ai cicli stagionali»: una parola così intrisa di significato religioso mi pareva fuori luogo, visto che la riforma rivoluzionaria del calendario fu una delle imprese più laicizzanti mai tentate).
Possiamo, con un bel volo pindarico, paragonare la storia delle parole (non solo l’etimologia, ma anche la storia del loro uso: vedi a es. «ragazzo» che arriva dall’arabo per significare «palafreniere», ovvero «colui che si occupa dei cavalli», e poi per successive metonimie passa a significare genericamente «apprendista, giovane di bottega», quindi «colui che non è più un fanciullo e non è ancora un giovanotto», e in tempi recenti viene usata sempre più spesso per indicare i coetanei, ec.) alla ben nota faccenda del ritorno del rimosso. Anche se non ce ne rendiamo conto, anche se li ignoriamo (e l’ignoranza, in letteratura, è pressoché sempre colpevole), al limite: anche non se li ricorda nessuno, gli antichi significati tuttora operano nelle parole.
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