100 lezioni di scrittura creativa / 47 (dove si comincia a parlare dell’autore, e pure dell’autrice)

Scrittura creativa, Corsi di scrittura creativa a Milano

di Giulio Mozzi

[Diversi anni fa Gianni Bonina mi chiese di compilare per la rivista Stilos una rubrica che fosse qualcosa come “un corso di scrittura creativa a puntate”. Scrissi 100 puntate. Se le volete tutte in un colpo, le trovate qui. Rielaborate e aggiustate, le 100 puntate sono diventate anche un libro, pubblicato da Terre di mezzo: (non) un corso di scrittura e narrazione. Le ripubblico qui, una al giorno (salvo inconvenienti e incidenti); e cercherò di rispondere a eventuali domande, obiezioni, dubbi eccetera. Occasionalmente inserirò negli articoli, come approfondimento, qualcuna delle mie videolezioni].

Bene. Buon anno ancora (fino all’Epifania si può fare gli auguri, si dice dalle mie parti; dopo, porta male). Non so bene di che cosa abbiamo parlato, nelle settimane scorse; ero partito con la faccenda del plot, della trama, dell’intreccio; e poi, non so nemmeno io come, mi sono ritrovato a dire cose fumose sulla verità della letteratura e cose simili. Portate pazienza. Comunque credo di avere scritto su plot trama e intreccio più o meno tutto quello che so, cioè quasi niente; e così considero chiuso l’argomento. Continuo quindi con le cose fumose.

Ciò di cui comincio a parlare oggi, è: l’autore. Ne ho già parlato diverse volte; ma ora cerco di andare con ordine.

Chi è l’autore di questo articolo? «Be’, sei tu», mi direte voi. E ci avete pure ragione. D’altra parte, esistono certo diverse maniere di “fare l’autore”. Nel primo capoverso di questo articolo io “ho fatto l’autore” in un certo modo. Potevo farlo anche in un altro modo.

Pensate al povero Alessandro Manzoni. Lui finge di essere un semplice trascrittore, un traduttore in italiano contemporaneo (dei suoi tempi) di un manoscritto anonimo, nel quale si racconta la storia di Renzo, Lucia e tutti gli altri. Questo gli consente, di tanto in tanto, e direi abbastanza spesso, di prendere le distanze da ciò che racconta, e financo dai capoversi sfacciatamente moraleggianti che qua e là gli scappano. Naturalmente nessuno dei lettori crede davvero che ci sia un autore anonimo dal quale Manzoni si limita a trascrivere.

È un gioco? Sì, certo, è un gioco. Che Manzoni a suo piacimento sospende: quando abbandona l’anonimo e si prende due capitoli per raccontare, da storiografo e non da romanziere, la peste di Milano; o quando termina la storia di Gertrude con il famoso: «La sventurata rispose», che dice tutto e non dice niente, e non si ferma nemmeno cinque minuti, come sarebbe naturale, e come in altri luoghi fa, a notare come l’autore anonimo, tanto ricco di particolari fino a quel punto, sia improvvisamente ammutolito. E noi, che sappiamo giocare al gioco che Manzoni ci propone, non battiamo ciglio.

Ma dire: «È un gioco» mi sembra, per quanto sia vero, un po’ poco. Anche perché spesso, quando si parla di “giochi letterari”, ci si dimentica che i “giochi letterari” sono sempre giochi di relazione: di relazione con il lettore.

Tom Jones, la prima edizione (credo)
Tom Jones, la prima edizione (credo)
In queste settimane ho letto un romanzo settecentesco, il Tom Jones di Henry Fielding (scritto tra il 1745 e il 1749), e me ne sono innamorato (consiglio l’edizione nei Grandi Libri Garzanti).

Il Tom Jones comincia così:

L’autore dovrebbe considerare se stesso non come un gentiluomo che offra un pranzo in forma privata o d’elemosina, bensì come il padrone d’una taverna aperta a chiunque paghi. Nel primo caso, colui che invita offre naturalmente il cibo che vuole, e quand’anche questo sia mediocre e magari sgradevole ai loro gusti, gli ospiti non debbono protestare; ché l’educazione impone loro d’approvare e lodare qualunque cosa venga loro posta dinanzi. Proprio il contrario accade al padrone d’una taverna. Quelli che pagano vogliono dar soddisfazione al proprio palato, anche quando questo sia raffinato e capriccioso, e se non è tutto di loro gusto, si sentono in diritto di criticare, di protestare, d’imprecar magari contro il pranzo, senz’alcun ritegno.

Manzoni non avrebbe mai paragonato il proprio romanzo a una taverna, credo; piuttosto a una civile conversazione; ma, se ci pensate, il “gioco” che lui fa con noi lettori e con il suo autore anonimo, è proprio questo. Manzoni interloquisce con l’anonimo, lo prende garbatamente in giro, mette in dubbio ciò che dice, lo corregge, lo scorcia, in somma: non fa il chiasso da taverna prospettato da Fielding ma, mettendosi nei panni del trascrittore e quindi, per così dire, del “primo lettore” del manoscritto dell’autore anonimo, provvede per conto nostro (di noi lettori) a «criticare, protestare, imprecar magari contro il pranzo». Con un certo ritegno, però.

Tom Jones, il film (strampalatissimo)
Tom Jones, il film (strampalatissimo)
A questo punto provo a dire: l’autore è un modo di relazione con il lettore. Il signor Alessandro Manzoni si inventa, per stare in relazione con il lettore, di “fare l’autore” in un certo modo. Così come io, per stare in relazione con voi, mi sono inventato di “fare l’autore” in un certo modo.

Ecco, l’importante è questo, secondo me: ricordarsi che l’autore è un’invenzione, e che questa invenzione serve a stare in relazione con il lettore.

* * *

Naturalmente, uno stesso autore può “fare l’autore” in modi molto diversi. Ci sono autori che “fanno l’autore” sempre nello stesso modo, in tutte le loro opere; e autori che si divertono a “fare l’autore” in modi sempre diversi. Italo Calvino, ad esempio, era uno di questi. Palomar, Se una notte d’inverno un viaggiatore, Il visconte dimezzato e Il sentiero dei nidi di ragno a me non sembrano nemmeno scritti dalla stessa persona, benché non siano poi così diversi, nella scrittura, l’uno dall’altro. Il che mi fa pensare a volte che Calvino, come il visconte d’un suo altro romanzo, sia per così dire uno scrittore inesistente. E allora devo dire che, alla fin fine, Calvino “fa l’autore” sempre allo stesso modo: fa l’autore inesistente.

Invece Susanna Tamaro, pur avendo scritti tutti (mi pare) [e fino all’epoca in cui scrivevo questi articoli…] i suoi romanzi e racconti in prima persona, ed essendosi inventata quindi una grande quantità di “io”, di “personaggi narratori” molto diversi tra loro, “fa l’autore” sempre nello stesso modo, e cioè suscitando una forte empatia nel lettore: tanto che, quando ha voluto dar voce a un personaggio orribile e disgustoso (l’anziana Olga di Va’ dove ti porta il cuore: «Una donna acuta, crudele, di una crudeltà che spesso sfiora il cinismo, […] confusa, egoista», come l’ha definita la stessa Tamaro*) ha ottenuto l’effetto paradossale (e del tutto indesiderato) di farlo percepire come amabile.

Ma di questi incidenti che possono capitare a un autore, vero o inventato che sia, esistente o inesistente che sia, parleremo con comodo nelle prossime settimane. Di nuovo buon anno.

* In Famiglia Cristiana del 22.1.97.