di giuliomozzi
Il fatto che questi dieci romanzi (che poi non sono dieci, e non sono tutti romanzi; ma vabbè) siano qui definiti “indispensabili” non significa che i romanzi “indispensabili” siano solo questi dieci.
1. Luciano di Samosata, Una storia vera. Anagraficamente Luciano visse nel secondo secolo della nostra èra; ma si sarebbe trovato benissimo, così m’immagino, in compagnia di Denis Diderot. Da Luciano e da Una storia vera (o Storia vera, o Di una storia vera, ec.) s’imparano tre cose fondamentali: (a) che, se non il romanzo, almeno il romanzesco è un’invenzione mediorientale; (b) che la storia del romanzo è la storia della parodia del romanzo; (c) che la pretesa di verità della narrazione romanzesca – ciò che oggi chiameremmo l’istanza realistica – fu avanzata fin dalle origini, e da subito messa in ridicolo. La traduzione classica è quella di Luigi Settembrini (sì, il patriota al quale tante vie e tanti viali sono intitolati: lo tradusse in galera), e l’edizione più amabile è quella con prefazione e illustrazioni di Alberto Savinio, Bompiani (si trova di seconda mano facilmente). La traduzione di Settembrini è peraltro tutta disponibile in Wikisource.
2. Torniamo indietro di quattro secoli circa, e leggiamo un romanzo serio: il Libro di Giuditta (accolto nella Bibbie cattolica e ortodossa, escluso da quella riformata; considerato libro importante nella tradizione israelitica, ma non compreso nel Tanakh – nel canone, diremmo noi). La storia è quel che è: Israele (inteso come popolo) è sotto assedio da parte del cattivissimo Oloferne; Giuditta, vedova israelita ancor giovane e bella nonché assai ricca, si presenta a Oloferne simulando di voler tradire; lo seduce (ovviamente senza farsi toccare); lo fa bere; e quando è ciucco gli taglia la testa. Sempre del secondo secolo a. C. (ma con aggiunte posteriori) è il Libro di Ester: Israele è in esilio in Babilonia; il re babilonese assuero, dopo aver ripudiata (per futili motivi, direi) la moglie, decide di sposare Ester senza sapere che è ebrea; il perfido consigliere del re, Aman, produce un falso editto che ordina lo sterminio degli ebrei; Mardocheo, tutore di Ester (che è orfana ed è sua nipote), la spedisce a svelare il complotto al re; ma nessuno, neanche la sposa, può presentarsi al re senz’essere convocato: pena la morte; Ester prega, poi osa, si presenta al re e lo commuove con la sua bellezza; dopodiché spiega l’inganno, il re stermina Aman e i suoi, tarallucci e vino. Per approfondire il concetto che il romanzesco, se non il romanzo, nasce in Medio Oriente. (Tra l’altro, le storie di Ester e di Giuditta furono tra le più frequentate, dall’umanesimo in su, dai tragediografi cristiani; e si può dire che la tragedia europea classica – quella di Corneille e di Racine, diciamo – sia frutto del connubio tra queste storie e la tecnica della tragedia greco-antica; poiché da questa viene Shakespeare, e da Shakespeare il cinema, se vi piace Quentin Tarantino non potete perdervi Giuditta ed Ester). L’edizione ufficiale della chiesa cattolica si trova (non ve l’aspettavate, eh?) nel sito del Vaticano: qui Giuditta, qui Ester.
3. Tito Livio, Storia di Roma (dalla sua fondazione). Perché? E’ un po’ un azzardo, ma: perché Livio fu, per tutto il periodo medievale e umanistico, un modello di prosa narrativa: grande senso drammatico e grande capacità di forgiare i personaggi, unite a uno stile che scorre facile e piacevolissimo “come un fiume di latte” (Quintiliano dixit). D’accordo, non è romanzo. Ma i venti libri superstiti, quelli sui sette re di Roma (Totti non c’era ancora) e soprattutto quelli sulle guerre con Cartagine, hanno una materia romanzeschissima e romanzeschissimamente trattata. Erodoto, come molta cultura greca, fu ricuperato molto più tardi: e non sarà un caso se a volgarizzarlo per la prima volta integralmente fu un “romanziere” (occhio alle virgolette): Matteo Maria Boiardo.
4. E Boiardo arriveremo, ma prima bisogna dare un’occhiata alla materia di Francia e alla materia di Britannia. Sono narrazioni che io trovo noiosissime, ma che a ri-raccontarle (vedi quanto cinema ne è derivato…) possono diventare splendide. Il gioiello è comunque La canzone di Orlando (qui potete sfogliarne il venerabile manoscritto), che è peraltro la meno romanzesca di tutte (consiglio l’edizione Bur). Per Il cavaliere della carretta, Il romanzo di Renart e compagnia briscola, invito a consultare il catalogo delle Edizioni dell’Orso, in particolare la collana Gli Orsatti.
5. E siamo dunque a Boiardo, e dunque alla definitiva trasformazione in “favola” di contenuti narrativi e immaginativi che nelle opere citate al punto precedente sono ancora intrisi di religione e moralità. L’Orlando innamorato di Boiardo è un romanzo (in versi e in ottave: ma non conta) ormai del tutto laico, nel quale la “materia” conta solo per le sue possibilità narrative. Il guaio (per Boiardo) è che il suo continuatore, Ludovico Ariosto, con l’Orlando furioso, ebbe un successo ineguagliabile nonché meritatissimo (e un’enorme influenza). Il Furioso è il completo dispiegamento di qualcosa che nell’Innamorato si sente ancora solo in potenza. Il Furioso è più bello dell’Innamorato in ogni suo punto e complessivamente. Mentre Boiardo sembra sempre entusiasta della sua materia, e sembra quasi – nonostante tutto – volerci credere, è palese che Ariosto non crede a nulla di ciò che racconta e non fa il minimo sforzo perché ci crediamo anche noi (e pertanto il Furioso è, volendo esagerare, il primo romanzo postmoderno della letteratura italiana). Per somma sfiga, il volgare fortemente colorito di ferrarese adoperato dal Boiardo (che è una delle bellezze dell’opera, per il lettore d’oggi) faceva storcere il naso ai lettori cinquecenteschi, tanto che Francesco Berni (non solo lui; ma la sua ebbe successo) ne procurò una “traduzione” decisamente più toscana (e, ahimè, purgata della ricca carnalità boiardesca): e in questa “traduzione” Boiardo fu letto fino alla “romantica” riscoperta dell’originale. E dunque: leggete l’Innamorato se vi piace (si consiglia l’edizione a cura di Giovanni Anceschi, Grandi Libri Garzanti), ma quello veramente indispensabile è il Furioso. Si consiglia l’edizione a cura di Lanfranco Caretti (Einaudi).
6. Da qui in poi, è tutta discesa. Non ci si può dispensare dal Don Chisciotte, dai due Don Chisciotte, anzi dai tre Don Chisciotte. Il primo è la prima parte del romanzo, che Miguel de Cervantes scrisse in galera (faceva l’esattore delle tasse, come tutti gli esattori delle tasse faceva la cresta, e come tutti gli esattori delle tasse che facevano la cresta finiva di tanto in tanto in galera: non tutti gli esattori delle tasse che facevano la cresta e finivano di tanto in tanto in galera, però, ci scrivevano robe tipo il Don Chisciotte). Tornato in libertà, il buon Miguel pensò ad altro che a scrivere la seconda parte; ma il pubblico la chiedeva; e così un tale Alonso Fernández de Avellaneda (un nome finto, dietro al quale non si è mai capito chi si nascondesse) la scrisse lui e la pubblicò (questo è il primo dei due secondi Don Chisciotte). Tornato in galera, Cervantes si mise di buzzo buono: e scrisse tutta la seconda parte (dunque il secondo dei due secondi Don Chisciotte) nella forma di solenne smentita del “falso” libro di Avellaneda. Al di là di tutto, al di là del magnifico personaggio dell’ingenioso hidalgo, al di là delle spassosissime avventure, al di là del racconto della vita materiale di quei tempi e di quei luoghi, eccetera eccetera, è questa folle metatestualità a fare del Don Chisciotte un romanzo supremamente istruttivo per chi voglia scrivere romanzi (soprattutto romanzi metatestuali, com’è ovvio: ma quale romanzo non è metatestuale, al giorno d’oggi?). Sono buone più o meno tutte le edizioni italiane a me note; il Don Chisciotte di Avellaneda è stato tradotto da Gilberto Beccari per i tipi di Guida, nel 1983; introduzione di Giovanna Calabrò (si trova facilmente di seconda mano).
7. Indispensabile è Vita e opinioni di Tristram Shandy, gentiluomo, di Lawrence Sterne: uno dei libri più strampalati che siano mai stati scritti, uno dei romanzi che più porta vicino al punto di rottura l’elasticissima idea di “romanzo”. Non ha né capo né coda; sembra incompiuto, ma è da dubitare che se avesse progredito di altri due o tre libri avrebbe avuto più capo o più coda; i capitoli si possono leggere in qualunque ordine, ma conviene cominciare dal primo e andare in buon ordine perché, tanto, un disordine organizzato come quello concepito da Sterne non saremmo mai capaci di comporlo, nemmeno facendoci aiutare dal caso. Dalla lettura del Tristram Shandy si ricava questo insegnamento: che col romanzo di può fare tutto e di tutto, ma proprio tutto e di tutto, e nientemeno: ma nulla di più, purtroppo. L’edizione disponibile negli Oscar Mondadori, a cura di Lidia Conetti, assai ricca di annotazioni, fornisce una traduzione un po’ ispida per il lettore italiano, assai “fedele” all’originale per punteggiatura, tic linguistici, piccole manie; l’edizione Einaudi, tradotta da Antonio Meo (e con una bella prefazione di Carlo Levi), non è annotata ma è linguisticamente più cordiale. Non so l’edizione Bur. Io preferisco quella Mondadori. Se non ve la sentite di leggere quel librone che in fondo è il Tristram, potete leggere Jacques il fatalista e il suo padrone, di Denis Diderot, che ne è insieme un’imitazione e uno spin-off (una fan story, si direbbe oggi). Se non ve la sentite di leggere né questo né quello, date un’occhiata a questo articolo di Antonella Sbrilli: dove si spiega come Sterne già facesse ciò che i dadaisti duecentotrent’anni dopo si limitarono in sostanza a teorizzare.
8. Indispensabile è La principessa di Clèves, della celebre signora de La Fayette. Un romanzo ordinatissimo, essenziale, perfettamente regolato. E perché, mi si dirà, un romanzo ordinato e regolato dopo tante sregolatezze? Per tirare il fiato, vi dirò, e per ricordare che ogni variazione ha bisogno di un pattern iniziale. Io ho la traduzione di Sibilla Aleramo, per la Biblioteca Romantica Mondadori.
9. Indispensabili sono I promessi sposi (non ve l’aspettavate, eh?): non per la forma-romanzo, non per tutte quelle faccende della Provvidenza e così via, ma per godere dei continui bisticci tra il Narratore del romanzo (da non confondersi con quel sant’uomo del conte Alessandro Manzoni, che era un bel pezzo di nevrotico) e il fittizio Anonimo dal quale il Narratore pretende di aver cavato la storia. E’ un po’ come se scoprissimo che dietro il nome di Alonso Fernández de Avellaneda di nasconde Miguel de Cervantes. Maggiori dettagli qui. L’edizione che avete in casa va benissimo.
10. Emilio Salgari, I misteri della jungla nera. Oppure Harper Lee, Il buio oltre la siepe. Oppure quello che volete, basta che sia un romanzo che avete letto da bambini o da ragazzi e che vi sia rimasto nel cuore. Leggetelo e rileggetelo.
Per il Novecento, se ne parla un’altra volta.