di Giulio Mozzi
direttore della Bottega di narrazione
1. Già l’idea di scrivere un romanzo autobiografico, anziché un’autobiografia, è in fin dei conti piuttosto curiosa. La differenza tra un romanzo e un’autobiografia è che nel romanzo i patti col lettore sono chiari (“Ti sto raccontando una storia inventata”), e nell’autobiografia i patti col lettore sono altrettanto chiari (“Ti sto raccontando una storia vera”). L’autore di un’autobiografia può essere accusato, prove alla mano, di aver mentito; l’autore di un romanzo può essere accusato di aver scritto un romanzo atroce, ma non di aver mentito. Ma: che cosa sarebbe, dunque, un romanzo autobiografico? Che cosa sarebbe, per la precisione, un romanzo che si qualifica come autobiografico? (Ipotesi di lavoro: un romanzo autobiografico è una forma paracula di autobiografia).
2. Un’autobiografia, per sua natura, o più esattamente per convenzioni storicamente costituitesi del genere letterario (perché anche nelle autobiografie, benché vi sia un impegno a dire la verità, vi sono delle convenzioni), comincia dal principio e finisce col momento presente. Una narrazione autobiografica che non abbia questa forma sarà chiamata piuttosto “memoria” (es. Un anno sull’Altipiano di Emilio Lussu, o La giovinezza di Francesco De Sanctis) o “scritto autobiografico” (es. Walter Benjamin, Scritti autobiografici). Una narrazione autobiografica relativa a un singolo evento sarà piuttosto una “testimonianza” (es. Francesco De Sanctis, Un viaggio elettorale). Un romanzo autobiografico sceglie il proprio arco temporale, invece, al modo dei romanzi: sceglie una tranche de vie del personaggio e a quella si limita. E’ il caso, per esempio di Prima di sparire di Mauro Covacich: dove, nonostante la pretesa di verità espressa nella nota finale (e della cui sincerità il lettore non ha ragioni di dubitare), è chiaro che il semplice fatto di circoscrivere un periodo della propria vita, al centro del quale c’è un evento-chiave, dà al tutto un aspetto irresistibilmente romanzesco.

per la Bottega di narrazione
3. Qui non parleremo della cosiddetta autofiction, se non per ricordare che si tratta di un termine importato dalla lingua francese; quindi va pronunciato alla francese, non all’inglese; o se ne può fare un calco dicendo: “autofinzione”, o “finzione di sé”. Tanto per capirsi: se racconti di aver fatto un viaggio sulla Luna, raggiungendola a nuoto, stai contando una balla, o al massimo una favola; se racconti di aver partecipato all’organizzazion dell’omicidio di J.F. Kennedy, tu che sei nato il 22 novembre del 1963, stai facendo dell’autofiction, ossia una narrazione “in cui l’autore stesso è il protagonista delle vicende di finzione narrate” (Traccani, s.v.). E così, non volendo parlare di autofiction, ne abbiamo parlato: abbiamo fatto una preterizione.
4. Ovviamente non puoi essere tu il protagonista del tuo romanzo autobiografico. Protagonista ne sarà il nonno, la zia, il padre, la madre, il fratello mai conosciuto (un esempio illustrissimo: La vera vita di Sebastian Knight, di Vladimir Nabokov), i debiti di famiglia, la magione avita, e così via. Ricoda: solo le persone la cui vita è priva di qualunque interesse sono convinte che la loro via sia mooolto interessante. Vige nel desiderio di scrivere un’autobiografia una sorta di effetto Dunning-Kruger, “l’insidioso cortocircuito mentale che condanna chi è incompetente a non accorgersi della propria incompetenza” (Annamaria Testa).
5. Se proprio vuoi mettere te stesso al centro del tuo romanzo autobiografico, abbi almeno l’accortezza di non scriverlo in prima persona. In alcuni racconti del libro Cosa voglio da te l’autore Tiziano Scarpa introduce un personaggio, spesso secondario, spesso appena accennato, spesso piuttosto spregevole, che si chiama appunto Tiziano Scarpa. Giulio Cesare scrisse i suoi Commentarii sulla guerra in Gallia e sulla guerra civile usando la terza persona. Boris Schreiber, nel bellissimo romanzo Un silence d’environ une demi-heure, mette in campo tre istanze narrative: “Boris et moi” “Boris sans moi” e “Boris tout seul”, ossia “Borise e io”, “Boris senza di me”, “Boris da solo”: tre modi di nominare il personaggio evitando l’io, e caratterizzandolo secondo la sua evoluzione personale.
6. Peraltro, non sta scritto da nessuna parte che uno debba affidare a sé stesso la narrazione del proprio romanzo autobiografico. Non stiamo parlando del ghost-writing (che talvolta è di altissimo livello, come nel caso di Open, l’autobiografia di Andre Agassi scritta da J. R. Moehringer). Stiamo dicendo che se proprio vuoi raccontare romanzatamente (o romanzescamente: ma non è proprio la stessa cosa) la tua vita o qualcosa della tua vita, puoi sempre affidare la voce narrante, che so: a tua madre, alla tua ex moglie, al figlio che non hai mai avuto, a un tuo omonimo che hai conosciuto per caso durante un blocco ferroviario (siete rimasti per dodici ore l’uno accanto all’altro, al buio, in una galleria; e tu gli hai raccontata tutta la tua vita, e/o lui ha raccontato a te tutta la vita sua, non è chiaro), a un personaggio che è palesemente una proiezione di te ma non è te. Un’esplorazione dell’opera di Philip Roth potrebbe, a questo punto, esserti utile.

con Giulio Mozzi
7. Ma: “romanzare”, che cosa significa esattamente? Significa: dotare di un senso narrativo. le nostre vite, lo sai, non hanno alcun senso narrativo. Hanno lunghe parti noiose, incidenti del tutto casuali (e il caso non sta bene mai in un romanzo), colpi di scena sfasati o sgonfiati, e così via. Soprattutto, non hanno quasi mai un finale degno di questo nome. “Romanzare” significa, pertanto, scrivere la tua autobiografia come se tu fossi già morto. Un buon esempio è quello del signor Palomar, personaggio di Italo Calvino: “Palomar pensando alla propria morte pensa già a quella degli ultimi sopravvissuti della specie umana o dei suoi derivati o eredi: sul globo terrestre devastato e deserto sbarcano gli esploratori d’un altro pianeta, decifrano le tracce registrate nei geroglifici delle piramidi e nelle schede perforate dei calcolatori elettronici: la memoria del genere umano rinasce dalle sue ceneri e si dissemina per le zone abitate dell’universo. E così di rinvio in rinvio si arriva al momento in cui sarà il tempo a logorarsi e ad estinguersi in un cielo vuoto, quando l’ultimo supporto materiale della memoria del vivere si sarà degradato in una vampa di calore, o avrà cristalizzato i suoi atomi nel gelo d’un ordine immobile. “Se il tempo deve finire, lo si può descrivere, istante per istante, – ensa Palomar, – e ogni istante, a descriverlo, si dilata tanto che non se ne vede più la fine”. Decide che si metterà a descrivere ogni istante della sua vita, e finché non li avrà descritti tutti non penserà più d’essere morto. In quel momento muore”.
8. Visto che nel romanzo autobiografico, a differenza che nell’autobiografia, non vige, o non vige del tutto, il patto di verità, tanto vale mentire. Mentire, però: non inventare. Attenzione. Se ti dico che ho lavorato per sette anni, negli anni Ottanta, presso la Confartigianato veneta, dico la verità. Se ti dico che ho lavorato per cinque anni, negli anni Ottanta, presso l’Agenzia Pubblicitaria Pallino di Padova, invento. E come si fa a mentire, allora? Si mente non negando nessun fatto vero, non mutando alcun fatto vero, ma semplicemente cambiandone il senso e significato. Se ti dico che purtroppo, negli anni Ottanta, per sette anni ho lavorato presso la Confartigianato veneta, quel “purtroppo” contiene la menzogna. Perché io lì, benché non siano state tutte rose e fiori, ci sono stato anche bene, e ho imparato una quantità di cose. La menzogna, insomma, non si annida nei fatti ma nella loro percezione, nella loro coloritura.
9. Scritto sul corpo di Jeannette Winterson è un romanzo scritto in prima persona nel quale nemmeno si capisce se a raccontarci la storia è una donna o un uomo. Des hommes illustres di Jean Rouaud (tradotto in italiano col titolo Fermi così) è un romanzo autobiografico nel quale il protagonista è il padre del narratore: narratore che peraltro mai e poi mai, in nessuna pagina, dice “io”. Le Vite di uomini non illustri di Giuseppe Pontiggia sono, con tutta evidenza, una raccolta di tutte le vite che l’autore non ha vissuto: potremmo definirle un’autobiografia mancante.
10. Insomma: un romanzo autobiografico si può fare, eccome se si può fare, ma è prudente considerare che non è detto che la nostra vita sia poi così interessante, né è detto che la nostra persona sia poi così interessante. E ciò che distingue il romanzo dalla narrazione autobiografica è non solo il diverso patto col lettore sulla realtà dei fatti, ma anche la forma stessa della narrazione. Un romanzo autobiografico può anche assomigliare moltissimo a un’autobiografia, purché non sia l’autobiografia dell’autore.